Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5965 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. III, 03/03/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 03/03/2020), n.5965

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21636/2018 proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) SPA, IN LIQUIDAZIONE in persona del Curatore,

domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO ALLORO;

– ricorrente –

contro

AM-RE S.R.L., già ARIMETAL SRL in persona del Presidente dei

Consiglio d’Amministrazione B.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA OMBRONE, 14, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE CAPUTI, rappresentata e difesa dall’avvocato CATERINA

ANTONELLA BLAZICH;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 688/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

con contratto del 4.4.2012, la COGEIS s.p.a. – capogruppo e mandataria di una ATI che comprendeva anche (OMISSIS) s.p.a. e UBI Leasing – cedette alla (OMISSIS) s.p.a., che l’accettò pro soluto, un credito risarcitorio vantato nei confronti della ARI METAL s.r.l., che aveva eseguito opere in subappalto affidate dall’ATI, tramite la COGEIS;

successivamente, la (OMISSIS) s.p.a., in concordato preventivo, agì in giudizio nei confronti della ARI METAL facendo valere il credito risarcitorio e chiedendo la condanna della convenuta al pagamento di oltre 277.000,00 Euro;

la ARI METAL resistette alla domanda, eccependo – fra l’altro – il divieto contrattuale di cessione dei crediti derivanti dal subappalto, ai sensi della clausola 8.2 del relativo contratto;

il Tribunale di Torino rigettò la pretesa della (OMISSIS) s.p.a. ritenendo che il credito da essa vantato fosse oggetto di un divieto di cessione, che era opponibile alla parte attrice e che doveva ritenersi esteso anche ai crediti risarcitori derivanti da inesatto adempimento;

la Corte di Appello di Torino ha rigettato il gravame della (OMISSIS) s.p.a. (dichiarata fallita in corso di giudizio), condannandola al pagamento delle spese di lite;

ha proposto ricorso per cassazione il Fallimento della (OMISSIS) s.p.a. in liquidazione, affidandosi a tre motivi; ad esso ha resistito la AM-RE s.r.l. (già ARIMETAL) con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 e art. 345 c.p.c., per “erroneo rinvenimento di “profili di inammissibilità” dell’appello”: la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha rilevato che il motivo di appello concernente l’erronea interpretazione della clausola concernente il divieto di cessione presentava “profili di inammissibilità” per il fatto che la parte attrice aveva omesso di prendere posizione sull’eccezione sollevata dalla convenuta, cosicchè erano “maturate ineluttabilmente le preclusioni assertive di cui nell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1” e l’appellante non poteva proporre difese ex novo sul punto, “ostandovi anche l’art. 345 c.p.c.”; assume la ricorrente che gli oneri di tempestiva asserzione e contestazione non concernono le questioni di diritto, “la cui risoluzione è demandata al Giudice, a prescindere da specifiche e tempestive repliche della controparte”, giacchè “la presa di posizione” prevista a pena di decadenza, può (…) riguardare esclusivamente l’esistenza o meno dei fatti (…), non certo la loro valenza giuridica”;

il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 1362 c.c. e art. 116 c.p.c., contestando che la conclusione della Corte di Appello circa il fatto che il divieto di cui alla clausola 8.2 del contratto di appalto (secondo cui “è vietata altresì la cessione dei crediti derivanti dal presente contratto”) fosse “tale da farvi rientrare chiaramente ogni credito che in qualche modo si ricolleghi, anche indirettamente, all’accordo contrattuale, e dunque, logicamente, anche il credito di natura risarcitoria derivante da inadempimento al contratto stesso”: assume la ricorrente che proprio il “senso letterale della pattuizione” consente di pervenire a conclusione opposta, in quanto “il credito ceduto a (OMISSIS) non è sorto ex artt. 1665 c.c. e segg., per effetto diretto del sinallagma creatosi con l’appalto e dunque non può dirsi “derivante dal contratto”, ma trae autonoma origine da una obbligazione nuova, ben distinta, differente e successiva (…) che incombe sul contraente inadempiente ex art. 1218 c.c.”;

col terzo motivo (che denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e art. 1363 c.c.), la ricorrente lamenta che la Corte non ha svolto una interpretazione sistematica del contratto di appalto, considerando anche la clausola 8.3 (secondo cui “la violazione di quanto pattuito sub punto 8.2 determinerà ex art. 1456 c.c., la risoluzione del presente contratto, fatti in ogni caso salvi il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni subiti”) che deponeva nel senso che la clausola 8.2 riguardava “unicamente i crediti contrattuali sorti per effetto dell’iniziale sinallagma, non certo quelli risarcitori futuri ed eventuali”.

Considerato che:

è erronea l’affermazione compiuta dalla Corte di Appello in punto di esistenza di “profili di inammissibilità” del motivo concernente il divieto di cessione, giacchè l’esame della questione (di diritto) relativa all’ambito di operatività del divieto era comunque rimesso al giudice a prescindere dalla posizione assunta sul punto dalla (OMISSIS) s.p.a.;

ciò premesso, deve tuttavia ritenersi che il primo motivo sia inammissibile per difetto di concreto interesse, dal momento che la Corte non ha fatto discendere dagli anzidetti “profili” l’inammissibilità del motivo ed ha ritenuto di esaminarlo nel merito, affrontando la questione – fondante – concernente l’estensione oggettiva del divieto di cessione del credito;

la censura dedotta col secondo motivo è inammissibile in quanto si limita a proporre una lettura alternativa della clausola 8.2, che tuttavia non vale – di per sè – a prospettare effettivamente una violazione del criterio interpretativo individuato in rubrica;

il motivo di ricorso in esame si risolve dunque – di fatto – in una censura di merito, in quanto contesta un esito interpretativo, senza evidenziare specificamente una effettiva e concreta violazione della norma ermeneutica di cui all’art. 1362 c.c.;

la censura svolta col terzo motivo è, a sua volta, inammissibile per novità della questione, giacchè introduce un tema non esaminato dalla Corte di Appello e rispetto al quale la ricorrente non ha indicato se, come e quando sia stato dedotto nel giudizio di merito;

all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre al rimborso delle spese forfettarie e degli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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