Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5964 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. I, 23/02/2022, (ud. 20/01/2022, dep. 23/02/2022), n.5964

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 25868/2016 proposto da:

Centro Medico S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Gramsci, 24, presso lo studio

dell’Avvocato Maria Stefania Masini, e rappresentato e difeso

dall’Avvocato Massimo Lai, per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Cagliari, in persona del

legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, Via

Portuense, 104, presso Antonia De Angelis e rappresentata e difesa

dall’Avvocato Sergio Segneri per procura speciale in calce al

controricorso contenente ricorso incidentale e Delib. 14 dicembre

2016, n. 1518;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 263/2016 della Corte d’Appello di Cagliari,

pubblicata il 05/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2022 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Centro Medico, società a r.l., conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Cagliari la ASL n. (OMISSIS) di Cagliari, d’ora in poi anche solo Azienda o ASL, di cui chiedeva la condanna al pagamento, tra l’altro, delle somme di Euro 46.431,76, per prestazioni di radiologia, e di Euro 305.742,00 per prestazioni di medicina fisica erogate presso la struttura corrente in (OMISSIS), pagamento che era stato sospeso nel periodo compreso tra il settembre 2002 e l’ottobre 2004 per il difetto di autorizzazione sanitaria e del relativo accreditamento della struttura.

L’Azienda, nel costituirsi in giudizio, deduceva che la Centro Medico, attrice, non era stata accreditata transitoriamente ad erogare prestazioni di medicina fisica presso l’ambulatorio di (OMISSIS) per mancanza della relativa autorizzazione sanitaria, ragione per la quale la convenuta aveva sospeso tutti i pagamenti richiesti in attesa di quantificare le somme indebitamente pagate per le prestazioni rese nella struttura, alla quale negava il diritto a percepire compensi, attese le gravi carenze strutturali riscontrate dai N.A.S. (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) e dall’Assessorato regionale dell’Igiene e Sanità che ne aveva disposto la chiusura.

2. Il Tribunale di Cagliari con sentenza n. 2192 del 2014 accoglieva la domanda proposta da Centro Medico S.r.l. di pagamento delle prestazioni di medicina fisica e radiologia erogate nel periodo compreso tra il settembre 2002 ed il luglio 2003 presso la sede operativa di (OMISSIS), ritenendo che la struttura fosse in regime di accreditamento provvisorio e, in ogni caso, che la ASL avesse accettato le prestazioni, conoscendo l’intervenuto incasso da parte dell’ambulatorio dei relativi ticket.

La struttura, soggetto già convenzionato con il SSN, aveva accettato il nuovo sistema di remunerazione in accreditamento provvisorio, prorogato con l’art. 10, comma 2, del D.A.I.S., Decreto dell’Assessorato Igiene e Sanità, del 29.6.1998 n. 1957/3 Serv., adottato ai sensi della Delib. G.R. 4 giugno 1998, n. 26/21, che aveva previsto la proroga del regime sulla base di una domanda formulata dalla struttura che autocertificasse la sussistenza dei requisiti strutturali e la capacità operativa, con riferimento alle singole prestazioni.

3. La Corte d’Appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla ASL, ha dichiarato l’appellante non tenuta al pagamento in favore del centro specialistico dei corrispettivi per le prestazioni rese per gli importi residui, pari ad Euro 305.742,00, perché, pur avendo la struttura avanzato istanza di accreditamento automatico ex lege per la sede di (OMISSIS), essa non avrebbe ottenuto l’accreditamento transitorio in difetto, al momento della domanda e nel vigore della D.G.R. 4 giugno 1998, n. 26/21 (art. 2, punto 6), di autorizzazione sanitaria.

La società Centro Medico a r.l. non aveva inoltre reiterato la domanda di accreditamento una volta ottenuta l’autorizzazione, che, con Det. Regionale 11 novembre 1999, n. 3017, non era stata peraltro concessa con efficacia retroattiva, ed in sanatoria, e, comunque, non aveva richiesto, e neppure prospettato, un ingiusto arricchimento ex art. 2041 c.c., non avendo la ASL neppure accettato le prestazioni erogate in detta sede.

4. Centro Medico S.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza d’appello con sei motivi cui resiste con controricorso l’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Cagliari che propone, altresì, ricorso incidentale affidato ad un unico motivo. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente articola il proposto mezzo in quattro motivi, in punto di sussistenza dell’accreditamento per l’erogazione di prestazioni di medicina fisica nella sede operativa di (OMISSIS), in Cagliari, ed in due motivi, quanto all’obbligo della ASL di pagamento delle prestazioni comunque erogate.

1.1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la Corte d’Appello di Cagliari considerato che la struttura specialistica in (OMISSIS) non poteva ritenersi priva di autorizzazione sanitaria allo svolgimento dei servizi in quei locali al momento della presentazione della domanda di accreditamento, godendo, a detta data, dell’autorizzazione dell’Assessorato Igiene e Sanità, avente prot. n. 15814 del 5 agosto 1982.

La sentenza impugnata era, infatti, fondata sulla ritenuta assenza di un’autorizzazione sanitaria precedente a quella rilasciata con Det. 11 novembre 1999, n. 3017, considerata, a sua volta, intempestiva.

1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 115 c.p.c. e L. n. 833 del 1978, art. 43, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La sentenza mancava di ogni motivazione circa la non rilevanza dell’autorizzazione sanitaria la cui esistenza peraltro non era stata contestata in modo tempestivo, ma solo in comparsa conclusionale di primo grado (in cui l’azienda sanitaria convenuta deduceva che il decreto n. 15814 riguardava esclusivamente l’autorizzazione al convenzionamento esterno, assumendo che, all’epoca, l’autorizzazione sanitaria all’apertura fosse di competenza del Medico Provinciale), non rilevanza che, ove ritenuta ai fini dell’accreditamento, avrebbe integrato la violazione da parte della corte di merito dell’art. 115 c.p.c. e della L. n. 833 del 1978, art. 43.

1.3. Con il terzo motivo la ricorrente fa valere la violazione della normativa sull’accreditamento (L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 6; art. 2, comma 6, e art. 10, comma 2, D.G.R. n. 26 del 26/21 del 1998, e del D.Lgs. n. 502 del 1992, artt. 8 e 8-quater, ratione temporis vigente), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Centro Medico S.r.l. doveva ritenersi struttura provvisoriamente accreditata ai sensi dell’art. 10, comma 2, del D.A.I.S. 29 giugno 1998 n. 1957/3 Serv., quanto meno dall’11 novembre 1999, data in cui era stata rilasciata alla società la nuova autorizzazione, la n. 3017 del 1999; la normativa richiamata non avrebbe stabilito infatti che l’autorizzazione dovesse essere posseduta alla data di presentazione dell’istanza di accreditamento, ma al momento del suo rilascio.

Non vi era, pertanto, come invece erroneamente ritenuto nella sentenza impugnata, alcun obbligo di reiterare l’istanza di accreditamento. L’accreditamento provvisorio previsto dalla L. n. 724 del 1994, art. 6, comma 6, poi prorogato con la DGR 26/21 del 1998, si sarebbe realizzato in modo automatico, senza la necessità di un atto amministrativo costitutivo, al verificarsi del perfezionamento della fattispecie per possesso dei requisiti e presentazione di una istanza nel termine concesso e prorogato.

1.4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce omesso esame di un fatto storico decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, integrato dalla pendenza dei termini per l’accreditamento provvisorio, ai sensi della Delib. n. 26/21 del 1998, art. 10, comma 2, al momento del rilascio dell’autorizzazione n. 3017 del 1999.

Il termine per il perfezionamento delle istanze di accreditamento provvisorio, erroneamente individuato nella sentenza di appello in quello del 15 settembre 1998, era stato prorogato dalla Delib. Giunta regionale (DGR) 6 luglio 1999, n. 30/12, ed era ancora pendente alla data del rilascio della nuova autorizzazione n. 3017 dell’11 novembre 1999.

La Delib. Giunta n. 30/12 cit. avrebbe consentito infatti ai soggetti già convenzionati che non avevano presentato domanda della Delib. n. 26/21 cit., ex art. 10, o che l’avevano presentata oltre i termini, di perfezionare gli atti alla scadenza di quindici giorni decorrenti dalla data di ricevimento di apposita comunicazione per raccomandata a/r loro inviata dall’Assessorato.

In mancanza di siffatta comunicazione, intervenuta prima della nuova autorizzazione, alla data di adozione della Delib. n. 3017 del 1999, la struttura era ancora nei termini per ottenere l’accreditamento.

1.5. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia omessa pronuncia ex dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La sentenza impugnata non aveva pronunciato sulla eccezione di inammissibilità dell’appello che non aveva censurato in modo specifico il capo della sentenza di primo grado, secondo il quale la ASL avrebbe dovuto comunque retribuire le prestazioni in quanto consapevolmente accettate.

La sentenza aveva omesso di pronunciare inoltre sulla domanda di pagamento riproposta in appello dalla ricorrente ove la sede che aveva erogato le prestazioni fosse stata ritenuta non accreditata.

La corte di merito si era limitata ad affermare che la ASL non avrebbe accettato le prestazioni, ma non si era pronunciata sulla legittimità del rifiuto di pagamento a fronte di prestazioni effettivamente rese.

1.6. Con il sesto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1455 c.c. e art. 1460 c.c., comma 2, letti in combinato con gli artt. 1366 e 1375 c.c..

Là dove la sentenza impugnata avesse pronunciato per implicito sulla domanda subordinata di pagamento svolta dal ricorrente, ciò sarebbe avvenuto nella inosservanza delle norme di disciplina del contratto sinallagmatico intercorso tra le parti.

Il centro specialistico sarebbe incorso in una mera irregolarità nelle modalità di erogazione del servizio quanto al luogo fisico (la sede di (OMISSIS)) in cui le prestazioni venivano rese, che non avrebbe integrato inadempimento o inesatto adempimento, non difettando la prestazione di alcuna delle sue caratteristiche essenziali (adeguatezza della prestazione perché resa da soggetto legittimato, attraverso dipendenti muniti di titolo, in locali indicati nell’accreditamento e muniti di autorizzazione).

2. Con il controricorso la ASL fa valere l’improcedibilità ex art. 369 c.p.c., comma 2, dei primi due motivi dell’avverso mezzo per mancato deposito della nota prot. n. 15814 del 5 agosto 1982, deducendo, anche, la mancanza di autosufficienza del ricorso quanto ai primi indicati e, nel resto, la sua infondatezza.

3. L’Azienda sanitaria articola, altresì, ricorso incidentale affidato ad un unico motivo con cui deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La corte di merito aveva condannato la ricorrente incidentale, appellata nel grado, al pagamento delle spese di lite nella misura di 2/3 nonostante essa fosse stata vittoriosa in appello.

4. E’ preliminare ad ogni altro esame, la valutazione dell’eccezione con cui la controricorrente fa valere l’improcedibilità “parziale” del ricorso per cassazione in quanto relativa a taluni soltanto dei motivi proposti perché non sostenuti, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dai relativi documenti, non depositati insieme all’atto di impugnazione.

4.1. L’eccezione è infondata.

La categoria della improcedibilità è relativa, infatti, all’intero ricorso per cassazione per ipotesi tassativamente previste e consistenti nel mancato rispetto dei termini di deposito o nel mancato deposito di atti e documenti normativamente indicati (art. 369 c.p.c., commi 1 e 2).

Le cause di improcedibilità attengono infatti ad un’attività processuale successiva all’atto introduttivo del giudizio, priva di influenza sul merito, da cui neppure trae ragione.

E’ nelle conclusioni della più attenta dottrina il rilievo che le cause di improcedibilità sono la conseguenza, di natura sanzionatoria, e come tale doverosamente testuale, di un comportamento procedurale omissivo, derivante dal mancato compimento di un atto, espressamente configurato come necessario, della sequenza di avvio di un dato processo, anche impugnatorio.

Rispetto all’attività introduttiva del processo ed alla legittimità di esercizio del correlato potere, l’improcedibilità non può pertanto che aversi con l’atto introduttivo del giudizio, anche di impugnazione, nel suo complesso inteso, senza che vengano in considerazione i singoli motivi destinati a rilevare, invece, a definizione della diversa categoria della inammissibilità, da difetto di autosufficienza, nel rapporto tra la censura proposta, il documento su cui la prima si fonda e l’allegazione e la trascrizione in ricorso ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

4.2. Ciò posto, esclusa la improcedibilità, i primi due motivi non si espongono neppure ad un giudizio di inammissibilità per difetto di autosufficienza, per non avere allegato il ricorrente, a sostegno dei primi, la Delib. dell’assessorato regionale della sanità, prot. 15814 del 5 agosto 1982.

Il ricorrente ha provveduto infatti a riportare all’interno del ricorso i contenuti dell’indicata Delib. (p. 12 par. I.1, ultimo periodo) segnalando in ogni caso gli atti del giudizio in cui il documento è stato prodotto (p. 8 e ss.), dando in tal modo conto dello sviluppo del processo e del rispetto delle relative scansioni.

E’ dato modo, quindi, a questa Corte, di conoscere i contenuti del documento rilevante nell’apprezzare il relativo motivo e la sua introduzione in lite, senza che possa essere di ostacolo alla ammissibilità della censura così proposta, la mancata produzione del documento, che integra una ipotesi solo alternativa rispetto alla diversa ricostruzione dei contenuti del primo per richiamo fattone in ricorso e per menzione degli atti processuali, il tutto secondo la sequenza processuale: produzione dell’atto o documento o esatta indicazione del momento processuale in cui esso è stato prodotto, con indicazione del relativo contenuto (cfr. Cass. 13/11/2018, n. 29093).

I requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, come la sentenza impugnata o il controricorso, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (Cass. 13/11/2018, n. 29093).

4.3. Tanto ritenuto, i motivi sono però inammissibili perché, nell’individuare il fatto rilevante che si assume mancato nelle valutazioni condotte dalla Corte d’Appello di Cagliari, ovverosia la portata autorizzatoria della Delib. dell’assessorato prot. n. 15814 del 5 agosto 1982 – che avrebbe consentito al ricorrente di godere del regime di accreditamento provvisorio per la sede di (OMISSIS) – non si confrontano con la ratio su cui si fonda la sentenza impugnata.

I giudici di appello muovono infatti dai contenuti della distinta nota dell’Assessorato regionale del 25 giugno 1998, che richiama, a sua volta, la precedente, avente prot. n. 15023, del 5 maggio 1998, per escludere il possesso, in capo all’ambulatorio con sede in (OMISSIS), di “regolare autorizzazione” per l’accreditamento della branca di medicina fisica e di fisiokinesiterapia.

La ricorrente nel far valere la decisività della diversa Delib. dell’Assessorato regionale, prot. n. 15814 del 5 agosto 1982, deduce, in modo generico, l’erroneità della sentenza di appello, nell’assunto che la Delib. omessa nella valutazione avrebbe avuto, invece, natura di autorizzazione all’apertura della struttura sanitaria per l’erogazione delle indicate prestazioni sanitarie e che sarebbe stata quindi rilevante al fine dell’accreditamento transitorio D.G.R. 4 giugno 1998, n. 26/21, ex art. 10.

L’accertamento in fatto operato dalla corte di merito viene in tal modo contestato per mera contrapposizione senza che il ricorrente provveda a confrontarsi con i contenuti delle diverse delibere menzionate nell’impugnata sentenza a sostegno della decisione adottata o a segnalare di siffatti atti – che, di natura ricognitiva, danno conto che “la struttura non è risultata in possesso di regolare autorizzazione” – i loro erronei contenuti.

Non è in rilievo in giudizio, nel raffronto tra la deliberazione del 1982 e le successive – di mera ricognizione -, l’esistenza di una qualunque autorizzazione dell’Assessorato regionale, quanto, e piuttosto, di una “regolare” autorizzazione sanitaria all’apertura della sede in cui venivano rese prestazioni di medicina fisica, che contestata dall’amministrazione nell’antefatto di lite, giusta determine del 1998, e ripresa come tale dalla corte territoriale, resta invece obliterata dalla ricorrente nella condotta critica.

4.4. Il pure dedotto profilo di nullità della sentenza per assenza di motivazione, non avendo la Corte cagliaritana motivato sulla Delibera del 1982, è infondato nel carattere assorbente del diverso ragionamento svolto e secondo il quale la irregolarità dell’autorizzazione sottrae, per ciò stesso, ogni decisivo rilievo alla Delibera indicata.

A questo punto, poi, ogni rilevanza toccherebbe, ormai, l’atteggiarsi in concreto delle ragioni della decisione a soddisfazione di un interesse che è quello alla “migliore motivazione” che, come tale, non trova tutela nell’ordinamento destinato, esso com’e’, a collocarsi oltre quel minimo motivatorio a previsione costituzionale ragione di nullità della sentenza (art. 111 Cost., comma 6; Cass. SU 07/04/2014 n. 8053).

4.5. Il profilo poi della incompetenza della L. n. 833 del 1978, ex art. 43, u.c., fatto ancora valere nel primo motivo di ricorso in cui si deduce, più puntualmente, in ragione della norma richiamata, la competenza dell’Assessorato regionale ad adottare la Delibera è comunque questione infondata.

La L. n. 833 del 1978, art. 43, u.c., istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, stabilisce che: “Sino alla emanazione della legge regionale di cui al comma 1, rimangono in vigore della L. 12 febbraio 1968, n. 132, artt. 51, 52 e art. 53, commi 1 e 2, e il D.M. sanità 5 agosto 1977, adottato ai sensi del predetto art. 51 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 31 agosto 1977, n. 236, nonché gli artt. 194, 195, 196, 197 e 198 del Testo Unico delle leggi sanitarie approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, intendendosi sostituiti al Ministero della sanità la regione e al medico provinciale e al prefetto il presidente della giunta regionale”.

La competenza, quindi, nel regime transitorio e fino all’adozione della legislazione regionale di disciplina, su autorizzazione e vigilanza in ordine alle istituzioni sanitarie di carattere privato, quelle Convenzionate e le aziende termali, spetta al Presidente della giunta regionale.

E’ pertanto infondato il profilo del motivo di ricorso con cui si fa valere la violazione dell’art. 43, nella parte in cui si deduce la competenza dell’assessorato regionale al rilascio dell’autorizzazione sanitaria.

L’art. 193 del Testo Unico leggi sanitarie, ratione temporis vigente, prevedeva che nessuno potesse “aprire o mantenere in esercizio ambulatori, case o istituti di cura medico-chirurgica o di assistenza ostetrica, gabinetti di analisi per il pubblico a scopo di accertamento diagnostico, case o pensioni per gestanti, senza speciale autorizzazione del prefetto, il quale la concede dopo aver sentito il parere del consiglio provinciale di sanità”.

La mancanza dell’autorizzazione del prefetto comportava la chiusura della struttura ed integrava una fattispecie contravvenzionale punita con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda.

Il rilievo penale della condotta sostiene una lettura restrittiva della norma in cui è chiara l’individuazione dell’organo competente nella figura del Presidente della Regione e non nell’Assessorato regionale.

4.6. L’ulteriore profilo della seconda censura relativo alla violazione del principio di cui all’art. 115 c.p.c., comma 1, che si assume violato dalla corte territoriale per aver ritenuto la irrilevanza della Delib. 5 agosto 1982, tardivamente contestata nella comparsa conclusionale di appello dalla Asl, è di certo assorbito nella ritenuta non decisività in fatto della determina in questione.

La ricorrente assume l’intervenuta formazione di “fatti non contestati” quanto a quelli da dedotti per la prima volta (così per la Delib. 5 agosto 1982, ed il rilievo avuto nella fattispecie dell’accreditamento provvisorio) nella comparsa conclusionale di primo grado, depositata il 29 settembre 2010 (p. 5 ricorso), e quindi oltre le scansioni processuali la cui osservanza presiede alla formazione del tema di decisione (arg. ex Cass. 06/10/2015, n. 19896; in termini: Cass. 26/11/2020, n. 26908).

La tardività della introduzione all’interno del giudizio di merito di una circostanza di fatto da parte dell’attore fa sì che il convenuto non sia chiamato ad insorgere tempestivamente al fine di precludere la formazione del “fatto non contestato” su cui, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., il giudice può fondare la propria decisione.

La tardività della deduzione in fatto operata dall’attore nel giudizio di primo grado una volta che siano decorsi i termini di formazione del tema di decisione (art. 163 c.p.c. e art. 183 c.p.c., commi 5 e 6) sottrae alla stessa consistenza processuale e non provoca “a cascata” ulteriori adempimenti in rito a carico dell’altra parte. Nella fattispecie in scrutinio in ogni caso il difetto di rilevanza della prima assorbe l’esigenza di una tempestiva contestazione dei relativi contenuti.

5. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

Il D.G.R. n. 26/21 del 1998, art. 7, lett. a), con riferimento all’accreditamento delle strutture private non ancora autorizzate alla data di entrata in vigore della stessa Delibera, sanciva l’immediata efficacia delle nuove regole stabilite dall’art. 6, relativo all’iter ordinario di accreditamento. Alle strutture non autorizzate era preclusa la procedura semplificata prevista dall’art. 8, e quella per l’accreditamento provvisorio e ai sensi del comma 3, della medesima norma, l’art. 7, era stabilito che gli ambulatori non ancora autorizzati del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, ex artt. 193 e 194, contenente l’approvazione del testo unico delle leggi sanitarie (T.U.L.S.), erano soggetti alla disciplina prevista per le strutture di cui alla lettera a) dell’art. 6 cit. alla lett. a).

La Centro Medico società a r.l. una volta ottenuta l’autorizzazione sanitaria, ex art. 194 del R.D. cit., in data 11 novembre 1999, solo allora avrebbe potuto chiedere l’accreditamento per prestazioni di medicina fisica da erogare nell’ambulatorio di (OMISSIS) ai sensi dell’art. 6 DGR cit., senza così fruire del regime transitorio D.G.R. n. 21/26 del 1998, ex art. 10, per difetto del requisito dell’autorizzazione sanitaria alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni.

In ogni caso non è rilevante che con D.G.R. 6 luglio 1999, n. 30/12, fossero stati prorogati i termini per l’accreditamento transitorio, atteso che, ferma l’applicabilità dell’art. 7 cit. che preclude l’accreditamento alle strutture prive di autorizzazione alla data di entrata in vigore della Delibera, Centro Medico S.r.l. dopo il rilascio dell’autorizzazione sanitaria in data 11 novembre 1999 avrebbe dovuto formulare nuova domanda ai sensi dell’art. 6 DGR cit., cosa che non aveva fatto, non derivando l’accreditamento provvisorio in via automatica dal riconoscimento dell’autorizzazione sanitaria.

6. Il quarto motivo è infondato.

La corte di merito ha vagliato quanto dedotto dall’appellante, odierna ricorrente, apprezzando il rilascio dell’autorizzazione sanitaria successiva alla domanda di accreditamento transitorio quale ragione attributiva al Centro ambulatoriale della legittimazione a presentare una nuova domanda D.G.R. n. 21/26 del 1998, ex art. 6 (p. 8 sentenza). Non vi è pertanto omesso esame di un fatto decisivo, risultando il fatto invece vagliato dai giudici di appello che ne hanno poi escluso rilevanza.

Il fatto manca di decisività in ragione dell’esito del giudizio; la proroga dei termini del regime transitorio ex art. 10 DGR cit. ne è infatti priva.

Anche ove poi la proroga disposta con la D.G.R. n. 30/12 del 1999, avesse potuto giovare alla ricorrente, evidenza preclusa dal D.G.R. n. 26/21 del 1998, art. 7, lett. a), la Centro Medico non avrebbe comunque perfezionato l’originaria domanda di accreditamento transitorio in ragione dell’automatico acquisto della relativa qualifica.

7. Il quinto motivo ed il sesto motivo, da trattarsi congiuntamente perché connessi, sono infondati.

La corte d’appello si è pronunciata sull’eccezione di inammissibilità sollevata avverso il gravame della ASL.

Tale eccezione era fondata sull’assunto che l’Azienda sanitaria, nell’impugnare la sentenza del tribunale, non avesse contestato il punto della decisione di primo grado secondo il quale la pretesa avanzata da Centro Medico trovasse un proprio autonomo fondamento nell’accettazione implicita delle prestazioni che, per il primo giudice, avrebbe dovuto desumersi dall’incasso dei tickets.

La corte di merito accogliendo la censura della ASL ha escluso che quest’ultima avesse mai tacitamente accettato le prestazioni oggetto di lite.

E’ infondato l’ulteriore profilo degli indicati motivi di ricorso per il quale si deduce che l’ASL non avrebbe potuto rifiutare il pagamento delle prestazioni rese in una struttura priva dell’autorizzazione sanitaria, trattandosi di mera irregolarità non costituente inadempimento grave secondo le norme di disciplina del rapporto contrattuale e della buona fede.

Un rapporto di accreditamento con le strutture facenti parte del SSN non può costituirsi per comportamento concludente, in forza di un’accettazione tacita delle prestazioni rese prescindendosi dai requisiti generali e specifici previsti per il rilascio dell’attestato di soggetto accreditato ad esercitare per conto del SSN.

Ne’ è prevista altra modalità di resa della prestazione.

La decisione d’appello ha deciso implicitamente per il rigetto delle domande, in tal senso formulate da Centro Medico S.r.l. sulla dedotta esistenza di un rapporto contrattuale tra le parti per le prestazioni di medicina fisica erogate nella sede di (OMISSIS), rapporto invece ritenuto dai giudici insussistente.

In ogni caso, la volontà di obbligarsi della P.A. non può desumersi per implicito da fatti o atti, dovendo essere manifestata nelle forme richieste dalla legge, tra le quali l’atto scritto “ad substantiam”; sicché non è configurabile il rinnovo tacito del contratto, né rileva, per la formazione del contratto stesso, un mero comportamento concludente, anche se protrattosi per anni (cfr. Cass. 11/11/2015, n. 22994).

8. Il ricorso incidentale è poi infondato e, come tale, va rigettato.

La corte di merito ha deciso per la parziale compensazione, nella misura dei due terzi dell’intero, delle spese di lite, in ragione dell’esito complessivo del giudizio, avuto riguardo, quindi alla parziale soccombenza della ASL quanto alle maggiori somme ex adverso reclamate.

Vero è infatti che il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle

spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass. 12/04/2018, n. 9064; Cass. 06/10/2021, n. 27056).

9. Le spese di lite del giudizio di legittimità sono liquidate come in dispositivo indicato in applicazione del criterio di preponderanza della ragioni di soccombenza.

Sussistono i presupposti per il pagamento del doppio contributo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso principale e quello incidentale proposti e condanna Centro Medico S.r.l. al pagamento in favore dell’Azienda Sanitaria Locale n. 8 di Cagliari delle spese di lite che liquida in Euro 7.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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