Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5962 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. I, 23/02/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 23/02/2022), n.5962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26789/2016 proposto da:

Comune di Poggiomarino, in persona del Sindaco in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Giuseppe Ferrari, 4, presso

lo studio dell’Avvocato Dario Andreoli, e rappresentato e difeso

dall’Avvocato Carmine Gragnaniello, per procura speciale a margine

del ricorso e Delib. G. C. 20 ottobre 2016, n. 151;

– ricorrente –

contro

Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di (OMISSIS),

in persona del legale rappresentante p.t., domiciliato in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di

cassazione e rappresentato e difeso dagli Avvocati Cinzia Coppa, e

Roberto Ferrari, per procura speciale in calce al controricorso e

determina di conferimento incarico n. 1110 del 18/11/2016;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 2804/2016,

depositata il 11/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe indicata, ha rigettato l’impugnazione proposta dal Comune di Poggiomarino nei confronti dello I.A.C.P. della Provincia di (OMISSIS) avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata che ha, per l’effetto, confermato.

1.1. Il giudice di primo grado aveva respinto le domande proposte dal Comune di Poggiomarino di condanna dello I.A.C.P. al pagamento della somma di Euro 470.616,00, versate dall’amministrazione, in esecuzione di sentenze emesse dal Tribunale e confermate dalla Corte d’Appello di Napoli, quale unico legittimato, per differenze tra indennità di esproprio ed occupazione, ai proprietari dei suoli ablati per la realizzazione di un programma di edilizia economica e popolare predisposto dall’istituto ai sensi della L. n. 513 del 1977, previo accertamento della validità ed efficacia dell’art. 7 dello Schema di Convenzione stipulato dall’amministrazione comunale con lo I.A.c.p., ai sensi della L. n. 868 del 1971, art. 35 e quella, subordinata, di accertamento dell’intervenuta accessione degli immobili edificati sul fondo di proprietà comunale.

1.2. La Corte di merito, nel dare conferma alle statuizioni del primo giudice, ha ritenuto la tardività, perché intervenuta in sede di deposito della comparsa conclusionale e quindi oltre i termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, della produzione dello “Schema di Convenzione” e tanto nella necessità che la Convenzione rivesta, nel resto, la forma dell’atto pubblico al fine di vincolare l’ente territoriale, nella conseguenza, ritenuta dal primo giudice, che in sua mancanza il provvedimento di assegnazione resta inefficace e che nessun vincolo poteva dirsi formalmente assunto dall’istituto.

1.3. I giudici di appello hanno ritenuto altresì la novità delle ulteriori domande del Comune di Poggiomarino di accertamento dell’ascrivibilità al soggetto delegato, che aveva agito in nome e per conto del delegante – quando la p.A. si avvalga dello schema di cui alla L. n. 865 del 1971, artt. 35 e 60, della responsabilità per l’illegittima occupazione delle aree o, quantomeno, la sola corresponsabilità con il primo dell’ente delegante che si era avvalso dell’affidamento in concessione per la realizzazione dell’opera pubblica.

1.4. La genericità delle prove con cui non erano state indicate le aree occupate con la realizzazione del programma edilizio, aveva impedito di accogliere altresì la subordinata di accertamento dell’accessione degli immobili realizzati dallo Iacp.

2. Il Comune di Poggiomarino ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza con due motivi cui resiste con controricorso l’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di (OMISSIS).

Il Comune ha fatto pervenire, a mezzo posta e presso la cancelleria di questa sezione, memoria tardiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di Poggiomarino denuncia la violazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 345 c.p.c., ratione temporis applicabile, prima delle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 143 del 2012, artt. 112, 115,116 c.p.c., art. 167 c.p.c., comma 1, art. 111 Cost., L. n. 865 del 1971, art. 35, in vigore dal 31 ottobre 1971 al 14 marzo 1992, applicabile ratione temporis, degli artt. 1218,1326,2043,2909 c.c., dell’art. 329 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..

1.1. La Corte d’Appello ha ritenuto che lo schema di convenzione, con cui era stato concesso il diritto di superficie allo IACP, del 7 giugno 1978, n. 64, adottato con Delib. comunale ed intercorso tra amministrazione ed istituto, non meritasse disamina sia perché depositato tardivamente insieme alla comparsa conclusionale sia perché privo della forma dell’atto pubblico.

L’amministrazione, che aveva adottato Delib. 7 giugno 1978, n. 64, di approvazione dello Schema di convenzione, “di fatto espressamente accettata” (p. 8 ricorso) dallo IACP, aveva premesso che nella ritenuta indispensabilità ai fini della decisione dello schema di convenzione, la stessa era legittimata “a depositarlo contestualmente all’atto di appello” (p. 8 ricorso).

In tal modo l’appellante aveva richiamato il contenuto dell’art. 345 c.p.c., applicabile ratione temporis, e lo schema in quanto indispensabile alla decisione doveva essere, come tale, ammesso.

In ragione delle previsioni dell’art. 7 della Convenzione, poi, le somme a titolo di differenze tra indennità di esproprio e di occupazione derivanti dalle sentenze del Tribunale di Napoli nn. 148/92, 1794/92, 1798/92 e 2865/95, confermate in appello, dovevano porsi a carico, in via esclusiva, dello IACP che, quale delegato, aveva assunto l’obbligo di sostenere gli oneri di concessione.

La Corte d’Appello non si era pronunciata sul carattere indispensabile della prova documentale

1.2. I giudici di appello inoltre nel dichiarare l’inefficacia della Convenzione L. n. 898 del 1971, ex art. 35, perché non stipulata per atto pubblico, non avevano accertato che da parte dello IACP vi erano state delibere – richiamate nelle note prot. nn. 33864 del 1978 e 4995 del 1978, riscontrate dal Comune, e con cui si chiedeva dall’Istituto che si disponesse l’occupazione temporanea ed urgente delle aree interessate dalla edificazione e la notifica agli espropriandi dell’avviso di deposito – di accettazione dello schema di convenzione adottate dal C.d.A., con assunzione dell’obbligo da parte dell’Istituto di corrispondere ai privati le somme a titolo di differenze di indennità di esproprio e di occupazione.

Trattandosi, quanto a quelle esposte, di circostanze pacifiche tra le parti, per i principi di economia processuale e per l’art. 167 c.p.c., comma 1, esse, e quindi la conclusione stessa della convenzione, dovevano ritenersi acquisite al processo.

1.3. La L. n. 865 del 1971, art. 35, comma 19, applicabile ratione temporis, ai fini della nullità ivi prevista, che può essere fatta valere dal Comune, da chiunque via abbia interesse e può essere dichiarata d’ufficio dal giudice, richiama i quattro commi precedenti e quindi non il comma 7, in cui è previsto che la concessione venga deliberata dal consiglio comunale e con la stessa Delib. determinato il contenuto della convenzione da stipularsi, tra concedente e richiedente, per atto pubblico da trascriversi presso il competente ufficio dei registri immobiliari.

I giudici di merito avrebbero dovuto pertanto condannare lo IACP al pagamento in favore del Comune delle differenze da queste corrisposte agli espropriati tra indennità di esproprio e di occupazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 934 c.c., artt. 115,116 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 100 c.p.c..

L’avvenuta stipula della convenzione doveva ritenersi circostanza pacifica tra le parti e la subordinata del Comune di acquisto delle edificazioni per accessione invertita, nell’automatica operatività del meccanismo, certi i fatti ed i luoghi di causa come indicati nella Delib. prot. n. 64 di adozione richiamata nelle note dello IACP nn. 33864 e 24880.

3. Il primo motivo, per i plurimi profili di sua articolazione, è infondato.

3.1. La questione relativa alla producibilità in appello della prova documentale in ragione della sua “indispensabilità” ex art. 345 c.p.c., ante modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 143 del 2012, è stata risolta da questa Corte nel senso che, nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. SU 04/05/2017, n. 10790; Cass. 13/10/2017, n. 24164; Cass. 03/10/2018, n. 24129).

Il giudizio di ammissibilità dei nuovi documenti prodotti in appello deve formularsi sotto il profilo della rilevanza degli stessi in termini di indispensabilità ai fini della decisione con valutazione della potenziale idoneità dimostrativa in rapporto al “thema probandum”, avuto riguardo allo sviluppo assunto dall’intero processo (Cass. 20/03/2019, n. 7883).

3.2. La Corte partenopea nella indicata prospettiva di valutazione ha ritenuto, in ogni caso, la documentazione prodotta in primo grado dal Comune di Poggiomarino oltre i termini di formazione della prova ex art. 183 c.p.c., comma 6, non idonea ad eliminare ogni margine di incertezza nell’accertamento del fatto, nel rilievo della nullità che inficiava la convenzione di concessione del diritto di superficie allo IACP per consentire l’edificazione degli alloggi ERP, in quanto non redatta per atto pubblico L. n. 865 cit., ex art. 35, comma 13 (“contestualmente all’atto di cessione della proprietà dell’area, tra il comune, o il consorzio, e il cessionario, viene stipulata una convenzione per atto pubblico”).

3.3. La deduzione del ricorrente per la quale l’adozione dell’indicata forma non rientrerebbe nel novero delle nullità espressamente previste dall’art. 35, il quale, al successivo comma 19, nel qualificare nulli gli atti compiuti ai sensi dei “precedenti quattro commi”, relativi alle vicende traslative degli alloggi e dei correlati diritti, non ricomprenderebbe, per l’appunto, l’ipotesi della mancata osservanza della forma pubblica della convenzione che segue all’adozione della Delib. di concessione del diritto di superficie ad aedificandum, è infondata.

La Corte d’Appello di Napoli, indagando sulle due connesse questioni (quella della indispensabilità della prova ex art. 345 c.p.c., e quella della necessità che la convenzione che accede alla concessione del diritto di superficie rivesta la forma pubblica), in adesione alle conclusioni raggiunte dal primo giudice, ha escluso l’idoneità della prova offerta – consistente nella Delib. Comune 7 giugno 1978, n. 64, avente ad oggetto l’approvazione dello schema di convenzione per la concessione del diritto di superficie dello IACP di Napoli e nelle note dello IACP che si vorrebbero dal ricorrente, di menzione ed accettazione della convenzione – e tanto nella rimarcata necessità che la convenzione venga sottoscritta da entrambe le parti nell’osservanza della forma dell’atto pubblico.

3.4. Quanto rimarcato in ricorso sulla nullità sostenuta dai giudici di secondo grado che non troverebbe conferma nel testo della L. n. 865 del 1971, oltre che rivestire carattere di novità, non risultando oggetto di censura nel giudizio di appello, in ogni caso, nel rilievo ufficioso da riconoscersi ad una siffatta sanzione dell’atto negoziale, è infondato.

Risponde a principio generale l’affermazione per la quale i contratti della p.A. devono essere redatti, a pena di nullità, in forma scritta con la sottoscrizione di un unico documento (Cass. n. 11687 del 16/10/1999Cass., 3 agosto 2004, n. 14808, Cass., 26 ottobre 2007, n. 22537, Cass. n. 5263 del 17/03/2015), regola che può dirsi espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione posti dall’art. 97 Cost., e che assolve a funzione di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, permettendo di identificare con precisione l’obbligazione assunta ed il contenuto negoziale dell’atto, così controllabile da parte dell’autorità tutoria (Cass. 26/10/2007, n. 22537; Cass. 11/09/2020, n. 18904).

Si tratta di evidenza, quella indicata, univocamente richiamata dalla previsione contenuta nell’art. 35 cit., secondo la quale la stipula della convenzione, che accede alla concessione del diritto di superficie per la realizzazione di alloggi popolari, deve avvenire per atto pubblico.

L’invocata, dal ricorrente, soddisfazione del requisito di forma della convenzione accessiva alla concessione del diritto di superficie ad aedificandum per mero richiamo alla prima operato nella Delib. di approvazione dello schema di convenzione e, ancora, nelle successive note dello IACP neppure realizza l’esigenza di dare ricostruzione ai contenuti della convenzione che, come indicati dall’art. 35, comma 19 cit., comprendono l’oggetto ricostruito con riguardo: all’area di riferimento; ai corrispettivi; alle caratteristiche degli edifici da realizzare; alle sanzioni da porre a carico del concessionario in caso di inadempimento.

3.5. Il principio di non contestazione, connotato peraltro nella sua deduzione in ricorso da novità, non può poi valere a supplire alla mancanza della forma scritta ad substantiam e nel suo rilievo resta come tale assorbito.

Il principio, sancito dall’art. 115 c.p.c., comma 1, secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova, non opera nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta “ad substantiam”, dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta “ad probationem”, l’osservanza dell’onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l’esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte (Cass. 17/10/2018, n. 25999; Cass. 10/08/2001, n. 11054).

4. Nella premessa che si ha domanda nuova – inammissibile in appello – per modificazione della “causa petendi” quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (Cass. n. 15730 del 23/07/2020; Cass. n. 2201 del 16/02/2012), il secondo motivo di ricorso per cassazione è inammissibile perché non diretto a superare il giudizio di novità, della connessa evidenza in fatto, e quindi di inammissibilità, formulato dal giudice di appello.

5. In via conclusiva il ricorso è infondato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo indicato.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 6.000,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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