Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5961 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. I, 23/02/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 23/02/2022), n.5961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26314/2016 proposto da:

P.R., P.M.R., R.R., n.q. di eredi

di P.F., P.M., P.E., T.L.,

P.R., Pa.El., n.q. di erede di P.G.,

Pa.Gi., Pa.Ra., P.P., Pa.Ma., P.A.,

tutti in proprio e n.q. di eredi del defunto fratello

Pa.Ar., elettivamente domiciliati in Roma, Via Germanico, 172,

presso lo studio dell’Avvocato Nicola Bultrini, e rappresentati e

difesi dall’Avvocato Raffaele Marciano, per procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Consorzio Consafrag, in persona del legale rappresentante p.t.,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Monte Santo, 25, presso lo

studio dell’Avvocato Luigi Cesaro, e rappresentata e difesa

dall’Avvocato Carmela Sarnataro, per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

nonché

Città Metropolitana di Napoli, subentrata alla Provincia, in persona

del Sindaco Metropolitano, domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione e

rappresentata e difesa dall’Avvocato Maurizio Massimo Marsico, per

procura speciale a margine del controricorso con ricorso

incidentale;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del legale

rappresentante p.t., domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi 12

presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la

rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1454/2016,

depositata il 13/04/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/11/2021 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Casoria, con la sentenza n. 311 del 2010 ha rigettato le domande proposte da P.F., M., G., Gi., in proprio e nella qualità di eredi del defunto Pa.Ar., e da Pa.Ra., P., Ma. e A., quali eredi di Pa.Ar., di riconoscimento del diritto all’indennità di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 46, anche per il mancato godimento del bene in loro proprietà, nonché quella di condanna dei convenuti al ripristino dello stato dei luoghi ed al pagamento dell’indennità di occupazione legittima.

La domanda era stata proposta nei confronti del Consorzio Consafrag, in qualità di concessionario dell’opera pubblica, e della Città Metropolitana di Napoli e della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l’occupazione protrattasi dal 17 gennaio 1987 al 13 gennaio 1994 di mq. 320 della particella n. (OMISSIS) (in comproprietà degli attori, su cui insisteva un fabbricato con area di pertinenza) effettuata per la realizzazione di opere di sistemazione della Circonvallazione esterna di (OMISSIS), i cui lavori avevano determinato l’edificazione di un viadotto stradale sopraelevato, distante tra i diciotto ed i quindici metri lineari dalla facciata e la proiezione dei balconi del fabbricato degli attori la cui entrata era divenuta pericolosa, perché resa angusta dalla presenza di un pilone in prossimità del cancello automatico del passo carraio, che rendeva difficile l’immissione nel flusso veicolare a scorrimento veloce posto sotto il viadotto.

Il tribunale aveva rigettato la domanda nel ritenuto carattere abusivo del fabbricato per un principio che, destinato a valere, nella normativa urbanistica ed espropriativa, anche nelle ipotesi di cd. espropriazione larvata, non consente al proprietario del bene così qualificato di trarre beneficio dalla sua attività illecita.

E’ stata esclusa la ricomprensione dell’area su cui insisteva il fabbricato nel perimetro del centro abitato dovendo in tal senso valere la nota n. 12579 del 1969 con cui l’amministrazione provinciale di Napoli comunicava di non poter accogliere l’istanza avanzata da P.A., diretta ad ottenere un permesso per la costruzione di un muro, perché il fabbricato era in contrasto con la Legge Urbanistica n. 765 del 1967 e dal successivo D.M. 1 aprile 1968, che stabiliscono le distanze minime da rispettarsi per l’edificazione fuori dal perimetro del centro abitato, con la precisazione che in tal caso la distanza minima è di 30 mt. dal confine della proprietà provinciale.

2. La Corte d’appello, investita dai privati proprietari della impugnazione della sentenza di primo grado, ha condiviso con il primo giudice la natura abusiva del fabbricato scrutinando, in tal senso, i contenuti del verbale di sottomissione redatto il 18 aprile 1967 n. 5004, come richiamato nell’ordinanza n. 1158 del 24 marzo 1967 in cui i germani P. prendevano atto che l’amministrazione provinciale aveva loro dato licenza di costruire un fabbricato di civile abitazione a mt. 3 dal confine della proprietà provinciale e di aprire un accesso carrabile per mt. 3, a condizione di accettare, tra le altre condizioni, che la licenza non fosse produttiva di una servitù alla strada né della limitazione del diritti dell’amministrazione di rettificare il livello della strada ed ogni altro lavoro, restando altresì convenuto dalle parti che “in tali casi non spetti indennizzo alcuno ai titolari della licenza edilizia che restano invece obbligati a coordinare le loro opere col nuovo livello stradale e ad eseguire le demolizioni e dimissioni disposte loro”.

I giudici di appello dopo aver rilevato che il fabbricato si trovava a distanza inferiore ai 30 metri dall’opera pubblica rispetto alla preesistente strada provinciale, in relazione ai limiti previsti dal D.M. n. 1404 del 1968, trattandosi di edificio edificato fuori del perimetro urbano, hanno concluso nel senso che, per l’indicato verbale di ricognizione, i proprietari avessero sì goduto del nulla-osta da parte del gestore della strada ma, subordinatamente, al riconoscimento del diritto dell’ente a realizzare ogni tipo di intervento sulla prima, anche di rettifica del livello stradale, con conseguente espressa rinuncia dei privati ad ogni indennità che dovesse, in tesi, derivare in loro favore dall’esecuzione dell’opera.

La Corte di merito, ancora confermando la decisione di primo grado, ha poi escluso l’indennità dell’occupazione per essere rimasta l’area occupata di mq. 320 nella disponibilità degli attori.

I signori P., in epigrafe indicati, hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 15 novembre 2016, articolato su quattro motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorso le amministrazioni e la concessionaria, proponendo altresì la Città Metropolitana di Napoli ricorso incidentale condizionato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti fanno valere error in iudicando ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

1.1. La Corte d’Appello aveva erroneamente valutato la documentazione in atti non apprezzando, come già il primo giudice, quanto prodotto dagli appellanti (licenza edilizia rilasciata dal Sindaco del Comune di Casoria n. (OMISSIS); licenza edilizia n. (OMISSIS) rilasciata dal Sindaco del Comune di Casoria per la variante alla precedente licenza e la realizzazione in sopraelevazione di un quarto piano; licenza edilizia n. (OMISSIS) rilasciata dal Sindaco del Comune di Casoria per la realizzazione di un quinto piano e la variante alle precedenti licenze edilizie; licenza di abitabilità del fabbricato rilasciata dal Sindaco del Comune di Casoria il 30 gennaio 1971) e per esso la piena legittimità del fabbricato in proprietà degli attori.

1.2. In ogni caso, deducono i ricorrenti, la legittimità edilizia non è presupposta alla indennità richiesta non essendo prevista dalla L. n. 2359 del 1865, art. 46.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono error in iudicando ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, e, ancora, error in procedendo per violazione dell’art. 112 c.p.c..

La sentenza impugnata è illegittima nella parte in cui la Corte d’Appello nell’apprezzare il verbale di sottomissione rep. n. (OMISSIS) ne ha dato una interpretazione errata e parziale.

Il nulla osta dell’Amministrazione provinciale era stato rilasciato prima della firma del verbale di sottomissione in cui veniva chiarito che la licenza era subordinata, unica condizione cui la stessa veniva subordinata, al pagamento di cinquecento lire annue per l’uso concesso del vano carrabile.

La sentenza impugnata aveva poi obliterato quanto rilevato nella disposta consulenza tecnica di ufficio in ordine al peggioramento della salubrità del luogo e l’ostacolo che all’accesso della proprietà dei germani P. veniva dal pilone del viadotto e comunque al godimento del bene. I giudici di appello erano incorsi ex art. 366 bis c.p.c., in vizio di omessa motivazione non avendo preso in considerazione, nell’esaminare i motivi, le risultanze istruttorie acquisite in primo grado.

3. Con il terzo motivo, erroneamente indicato come quarto, i ricorrenti deducono error in iudicando ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).

I giudici di appello avevano richiamato “in modo semplicistico” la sentenza di primo grado senza sostenerla con un valido ragionamento, escludendo, nel negare l’indennizzo da occupazione legittima, la materiale apprensione del bene da parte del concessionario.

A differenza dell’indennità di esproprio diretta ad attribuire un serio ristoro al proprietario per la perdita del bene ablato, quella prevista dalla L. n. 2359 del 1865, art. 46, vale a ristorare il pregiudizio effettivo ed attuale subito a causa dell’opera pubblica e va riconosciuta là dove il fondo sia temporaneamente occupato.

4. Nel controricorso, la Città Metropolitana di Napoli deduce l’intervenuta formazione del giudicato in ordine alla propria carenza di legittimazione passiva, non avendo in appello i ricorrenti censurato il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Amministrazione Provinciale di Napoli (ora Città Metropolitana di Napoli) e del funzionario del CIPE.

Ai sensi della L. n. 219 del 1981, le opere attuative dei piani di ricostruzione e sviluppo nei territori attinti da eventi sismici sono oggetto di concessione traslativa con attribuzione al concessionario dei poteri pubblicistici, compresi quelli occorrenti per l’espletamento delle procedure ablatorie, con riguardo alla domanda di liquidazione della indennità di occupazione e di indennizzo da erroneità della progettazione dell’opera.

4.1. L’Amministrazione di Napoli doveva pertanto ritenersi estranea ad ogni rivendicazione relativa al periodo anteriore al trasferimento della Circumvallazione (OMISSIS) e della strada (OMISSIS), su cui erano stati realizzati i lavori, intervenuto il 29 marzo 1996, giusta ordinanza n. 2233/EST del funzionario CIPE, ai sensi della L. n. 219 del 1981, art. 84, dovendo per il periodo precedente le rivendicazioni essere invece riferite all’originario concedente e quindi all’Amministrazione Statale, rappresentata e vincolata attraverso gli atti adottati dal Commissario Straordinario del Governo prima, e successivamente.

4.2. La liquidazione della indennità di occupazione legittima per il periodo 17 ottobre 1987-13 gennaio 1994 non poteva essere richiesta all’Amministrazione provinciale perché con la L. 17 maggio 1999, n. 144 e con il D.Lgs. 20 settembre 1999, n. 354, gli oneri per il contenzioso per fatti anteriori al trasferimento delle opere sono a carico dello Stato anche per le opere già trasferite ex D.L. n. 244 del 1995 e Legge di Conversione n. 341 del 1995.

La controricorrente deduce la prescrizione decennale del diritto alla indennità di occupazione legittima dalla data di emanazione del provvedimento che autorizzava e quindi dall’ordinanza commissariale n. 709 del 12 novembre 1986 e quella degli interessi sulla indennità di occupazione, per, poi, con ricorso incidentale condizionato al riconoscimento della legittimazione passiva dell’Amministrazione ed alla fondatezza del ricorso, reiterare domanda di garanzia e manleva nei confronti del Consorzio concessionario, e dell’Amministrazione dello Stato, risultando i danni denunciati anteriori al trasferimento alla Provincia del tratto stradale.

5. La difesa erariale, per la Presidenza del Consiglio dei Ministri conclude per l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso, difese riprese, anche, dal Consorzio Consafrag.

6. La vicenda in esame muove e si articola nell’ambito della fattispecie in cui alla realizzazione di un’opera pubblica, lineare, si accompagni una dedotta riduzione o eliminazione di qualità relative al diritto di proprietà di beni che non siano stati già espropriati, nella titolarità di terzi che dalla prima si assumano pregiudicati.

Il tema e quindi quello di cui della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46 – successivamente riprodotto, con modifiche, nel D.P.R. n. 327 del 2001, art. 44, contenente il Testo Unico sugli Espropri – secondo il quale “e’ dovuta una indennità ai proprietari dei fondi, i quali dall’esecuzione dell’opera di pubblica utilità vengano gravati di servitù, o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto” per quanto è stato qualificato in termini di responsabilità c.d. da asservimento o “espropriazione larvata”.

Il danno permanente derivante dalla perdita o diminuzione di un diritto in conseguenza dell’esecuzione dell’opera pubblica, come chiarito da questa Corte nella vigenza della L. n. 2359 del 1865, riguarda quei soggetti che, quand’anche un procedimento espropriativo vi sia stato, ne siano rimasti completamente estranei (in quanto proprietari di suoli contigui a quelli sui quali è stata eseguita l’opera) o abbiano subito un danno non per effetto della mera separazione (per esproprio) di una parte di suolo, ma in conseguenza dell’opera eseguita sulla parte non espropriata ed indipendentemente dall’espropriazione stessa ovvero in conseguenza della sua utilizzazione in conformità della funzione cui è destinata (Cass. 16/09/2009, n. 19972; Cass. 23/11/2015, n. 23865).

6. Negli stimati margini di qualificazione della vicenda dedotta, i motivi di ricorso si prestano, tutti, ad una valutazione di certa inammissibilità, ora perché nel denunciare la violazione di legge ed il vizio di motivazione, quest’ultimo quale omesso esame di fatto decisivo ai fini del giudizio, sortiscono, in realtà, l’effetto di sollecitare a questa Corte una inammissibile alternativa lettura del fatto, per rivisitazione del materiale probatorio in atti, ora perché nella dedotta violazione di legge neppure provvedono ex art. 366 c.p.c., n. 4, a segnalare la norma violata in un necessario confronto tra il portato della stessa e l’applicazione, erronea, fattane nell’impugnata sentenza.

6.1. Venendo alle singole censure, poi, partitamente, si osserva.

Il primo motivo è inammissibile perché non dialoga con tutte le rationes decidendi adottate dall’impugnata sentenza nel rigetto del primo motivo di appello.

La Corte territoriale ritiene il rilievo ostativo che, al riconoscimento dell’indennità da deprezzamento ed occupazione, L. n. 2359 del 1865, ex art. 46, è assolto dalla natura abusiva dell’opera realizzata dal privato.

I giudici di secondo grado a tal fine apprezzano, ritenendone l’applicabilità alla fattispecie esaminata – in cui il fabbricato degli appellanti viene ritenuto non compreso nel perimetro del centro urbano – la portata del D.I. 1 aprile 1968, n. 1404 che, relativo alle “Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella edificazione fuori del perimetro dei centri abitati, di cui alla L. n. 765 del 1967, ex art. 46”, impone per le costruzioni poste al di fuori del perimetro urbanizzato la fascia di rispetto stradale, e tanto là dove invece il fabbricato degli istanti, in violazione della prima, si trova ad una distanza media di 16.50 mt. dall’opera pubblica stradale per cui è richiesta di indennizzo.

L’indicato passaggio è sostenuto dal rilievo operato dalla Corte partenopea che la certificazione del 3 febbraio 2011, n. prot. U/0212/PT del dirigente del competente settore del Comune di Casoria, prodotta dagli appellanti ed attestante che il fondo su cui insiste il fabbricato (f. n. (OMISSIS), p.lla (OMISSIS)) rientra nel perimetro del centro abitato di cui alle L. n. 765 del 1967, non ha carattere di decisività, nulla indicando sull’epoca in cui è intervenuta la perimetrazione dell’abitato del Comune e tanto nell’apprezzato rilievo della verifica di detta estensione all’epoca di edificazione del fabbricato.

Siffatta ratio resta del tutto estranea alla censura portata alla sentenza impugnata dal primo motivo, in cui i ricorrenti fanno valere violazioni di legge e vizi di motivazione all’interno dei quali convergono: l’assunto, in diritto, della riconoscibilità della indennità di cui all’art. 46 L. cit. anche ad immobili abusivi; la legittimità dell’immobile edificato dai P. in quanto assentita: da una pluralità di licenze edilizie rilasciate, per una prima edificazione e per quelle in sopraelevazione, dal Sindaco del Comune di Casoria; da una licenza di abitabilità; il tutto secondo produzioni documentali mancate nella valutazione dei loro decisivi contenuti da parte dei giudici di appello.

Nulla e’, quindi, detto sul passaggio, presente invece nella sentenza impugnata, relativo alla portata della certificazione del 2011 circa la ricomprensione del fabbricato all’interno del perimetro urbano che, nella articolata motivazione dei giudici di appello, non riveste un ruolo di dettaglio valendo, piuttosto, a dare conto della abusività dell’opera, come tale ostativa al riconoscimento in capo al privato della indennità L. n. 2359 del 1865, ex art. 46.

D’altra parte, poi, ferme le più generali ragioni di inammissibilità più sopra indicate, l’argomento, che si vorrebbe di per sé in astratto dirimente, sul riconoscimento dell’indennità di occupazione e deprezzamento, conseguente alle ipotesi di “esproprio larvato” di cui all’art. 46 cit., anche al proprietario di opera abusiva è questione solo genericamente censurata in ricorso, in cui si fa un mero cenno alla giurisprudenza (Cass. n. 10012 del 1998) già fatta valere in appello e contrastata, nei suoi esiti, dai giudici di secondo grado per richiamo a successive e contrarie pronunce espressive, invece e proprio, della equazione: bene abusivo in quanto privo di concessione=bene non indennizzabile L. n. 2359 del 1865, ex art. 46 (vd. Cass. 04/09/2004, n. 17881; Cass. SU 13/09/2005, n. 18125; Cass. 15/11/2007, n. 23627).

Nella ipotesi in esame quanto rileva non è il carattere abusivo della costruzione del privato, in quanto non assentita da concessione edilizia, ma l’inosservanza delle distanze dall’opera viaria così come disciplinata ex D.M. n. 1404 del 1968 – insuperata, per quanto più sopra affermato, l’evidenza che l’immobile dei ricorrenti non rientrava nel perimetro abitativo – nel suo combinarsi con i contenuti di una autorizzazione all’accesso sulla strada pubblica data dall’ente gestore, la Provincia, condizionata al riconoscimento di una servitù per vantaggio futuro, con rinuncia del privato proprietario dell’immobile ad ogni indennità ex art. 46 Legge cit..

6.2. Il secondo motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.

6.2.1. Esso è inammissibile perché si trova a censurare il negozio concluso tra privati ed amministrazione giusta atto di sottomissione, rep. n. 5004 del 18 aprile 1967 – per una operazione che accede al provvedimento amministrativo e che va ascritta allo schema del cd. modulo convenzionale del procedimento, strumentale all’emissione del provvedimento amministrativo – senza neppure individuare i canoni interpretativi della volontà negoziale rimasti inosservati e segnalare come il giudice se ne sia discostato, nella non idoneità, nel resto, di una mera contrapposizione dell’esito interpretativo sortito dalla proposta critica.

Gli accordi con i quali il privato, al fine di ottenere il rilascio della concessione edilizia su suoli di sua proprietà, si obbliga a tenere determinati comportamenti nei confronti della p.A. o compia determinate rinunce non assumono autonoma rilevanza rispetto al provvedimento amministrativo – che rimane quale unica fonte del regolamento degli interessi in conflitto – ponendosi, piuttosto, in rapporto di strumentalità con i contenuti del provvedimento.

Detti accordi nel loro contenuto negoziale, pur nel rapporto di strumentalità in essere con il provvedimento amministrativo, sono censurabili in cassazione, ferma l’indagine di fatto riservata al giudice del merito sui loro contenuti, per violazione dei canoni legali di interpretazione della volontà negoziale specificamente indicati e segnalazione di come il giudice se ne sia discostato (vedi: Cass. 09/04/2021, n. 9461; Cass. 28/11/2017, n. 28319; Cass. 15/11/2013, n. 25728).

L’accordo in questione è poi, più puntualmente, inquadrabile nella convenzione di cui dell’art. 1029 c.c., comma 2, sulla servitù per vantaggio futuro a favore o a carico di un edificio da costruire ovvero ad un fondo da acquistare, che è ragione, nell’immediato, di un rapporto obbligatorio, suscettibile di effetti reali differiti al momento in cui l’edificio sarà costruito o il fondo acquistato e che si differenzia in tal modo dall’ipotesi prevista dell’art. 1029 c.c., comma 1, ad effetti immediatamente reali, in cui sono esistenti tutti gli elementi necessari per la costituzione della servitù (Cass. 14/11/1989, n. 4839; Cass. 02/02/2011, n. 2432).

Nessuna prospettiva di critica nei termini sopra indicati è nel proposto motivo che mancando, anche, di indicare le norme interpretative violate, deduce soltanto una diretta, diversa e contrapposta interpretazione – che sconfina pienamente nel fatto e che si lascia apprezzare come inammissibile pure per novità – dell’atto negoziale, secondo la quale l’autorizzazione ottenuta dai privati all’esito della sottoscrizione dell’atto di sottomissione, era subordinata, unicamente, al pagamento di una somma di denaro, per l’uso di un concesso vano carrabile senza censurare i contenuti dell’accordo ritenuti nell’impugnata sentenza.

6.2.2. L’ulteriore profilo del motivo con cui si fa valere l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e’, ancora, inammissibile.

Le valutazioni condotte nella disposta consulenza tecnica di ufficio e richiamate in ricorso (“dalla sentenza gravata non si rinviene il minimo cenno a quanto emerso dalla CTU… l’elaborato peritale ha accertato..” pp. 14 e 15 del ricorso), in termini di compromessa salubrità dei luoghi per l’inquinamento acustico ed ambientale sofferto dal fabbricato degli istanti in esito alla realizzazione della rampa di accesso alla strada provinciale, nella pure pregiudicata agibilità del passo carraio, non assumono carattere e contenuto di un motivo di appello su cui possa aversi omessa pronuncia ai sensi di cui all’art. 112 c.p.c..

Si assiste, piuttosto, di un vizio di motivazione che, non è stato puntualmente dedotto e che sarebbe stato comunque rilevante esclusa la configurabilità del “fatto decisivo” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non integrato dall’argomentare speso dall’ausiliare del giudice – solo là dove ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, avesse incrinato, irreversibilmente il ragionamento seguito dalla Corte di merito.

Si tratta di profilo di critica del tutto mancante nella svolta censura che si lascia così apprezzare per la sua natura di puro merito, nel sortito effetto di operare una diretta contrapposizione tra “valutazioni condotte” e “valutazioni dedotte”.

6.2.3. Il diverso contenuto delle rinunce poste in essere nell’atto di sottomissione, che, come si sostiene in ricorso, non avrebbero investito in alcun modo il diritto alla salubrità dei luoghi, tocca, ancora una volta, la portata dell’atto negoziale in modo generico e senza la necessaria mediazione della indicazione della regola violata e della sua incidenza sul dato convenzionale.

6.3. Il terzo motivo relativo ai contenuti del “verbale di consistenza del 27 gennaio 1987”, avente ad oggetto l’area da occupare, e del successivo “verbale di consistenza del 13 gennaio 1994”, redatto in sede di restituzione del terreno, e quindi alla questione del diritto alla indennità di occupazione del fondo maturata dai ricorrenti per il periodo interessato dalla realizzazione dell’opera pubblica viaria, è anch’esso inammissibile per genericità.

Il richiamo operato nel corpo del motivo al principio secondo il quale l’indennità di occupazione L. n. 2359 del 1865, ex art. 46, a differenza di quella di esproprio, è volta a ristorare il privato del pregiudizio “effettivo ed attuale subito a causa dell’opera pubblica” (p. 18) non vale a dare conto di una puntuale critica non valendo, in alcun modo, a superare quanto ritenuto nell’impugnata sentenza.

La Corte merito valorizza infatti il mancato svolgimento delle operazioni di immissione in possesso da parte della concessionaria, quanto ai contenuti del primo verbale, e, in sede di restituzione, l’attestazione, contenuta nel relativo verbale, che il terreno non era stato occupato, per poi escludere del fondo dei ricorrenti l’intervenuta temporanea occupazione, ragione del reclamato credito indennitario.

Per l’interpretazione del dato documentale fornito dalla sentenza di appello si apprende dell’esistenza di un fatto, quello della non occupazione temporanea del terreno per cui è domanda di indennizzo, che il motivo non riesce ad attingere in quanto non sostenuto da una pregressa iniziativa per querela di falso.

In tema di occupazione destinata alla realizzazione di un’opera pubblica il verbale di consistenza redatto dal concessionario in quanto di attestazione della condizione dei luoghi, e quindi della intervenuta o meno pregressa occupazione al fine di realizzare l’opera pubblica, ha natura pubblica sia perché atto di esecuzione di un provvedimento della P.A. che agisce “iure imperii” sia in ragione della qualità di pubblico ufficiale di colui che lo redige, posto che detto verbale è redatto a cura dell’ente espropriante o dei suoi concessionari, i quali, pertanto, esercitano per delega funzioni pubbliche; pertanto il verbale di consistenza, diversamente per i contenuti di stima ivi pure presenti, fa piena prova delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti alla sua presenza, a norma dell’art. 2700 c.c., e resta come tale assoggettato alla querela di falso e, ancora, ricorribile in cassazione nei limiti e contenuti consentiti dal mezzo (vd. Cass. 03/05/2010, n. 10651).

7. Con la memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, i ricorrenti deducono circa le sorti di un giudizio pendente dinanzi la Corte d’Appello di Napoli (definito, si indica, con sentenza n. 5652 del 2018) e relativo a vicenda che, omologa a quella scrutinata in questo giudizio, ha ad oggetto le posizioni ex art. 46 cit. di altro privato proprietario di fondo limitrofo a quello dei ricorrenti ed anch’esso interessato dalla realizzazione dell’opera pubblica.

Gli argomenti utilizzati in memoria sulla ricomprensione del fabbricato del proprietario confinante nel perimetro urbanizzato, e quindi non assoggettati alle previsioni di cui al D.M. n. 1404 del 1968, per accertamenti condotti in quel giudizio di merito (consulenza tecnica di ufficio), non hanno carattere dirimente della controversia qui esaminata.

Essi attengono a distinto giudizio la cui identità nei contenuti al presente non si apprezza come soddisfatta e neppure valgono a sostenere le posizioni fatte valere in giudizio dai ricorrenti, nella rilevata non specificità del primo motivo, incapace di dialogare con la sentenza qui impugnata e con l’adottata ratio nella parte in cui contesta i contenuti della Delib. del dirigente del Comune del 2011 in quanto ricognitiva della natura dell’area su cui insiste il fabbricato dei ricorrenti.

L’inammissibilità del motivo, per il rilevato profilo, non consente ai richiedenti di avvalersi della memoria ad integrazione del primo, nel rilievo che, il vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 380-bis c.p.c., comma 2, la cui funzione – al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di “ratio” – è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (Cass. 23/08/2011, n. 17603; Cass. 29/03/2006, n. 7237).

8. In via conclusiva, il ricorso principale è inammissibile ed il ricorso incidentale condizionato resta assorbito, come ogni altra censura della Città Metropolitana di Napoli sulla questione relativa alla legittimazione passiva all’azione.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo indicato.

La controversia è esente dal versamento del C.U. L. 14 maggio 1981, n. 219, ex art. 73 (“Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 19 marzo 1981, n. 75, recante ulteriori interventi in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981. Provvedimenti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti”).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso principale e, assorbito il ricorso incidentale condizionato, condanna i ricorrenti principali a rifondere alla Città Metropolitana di Napoli, al Consorzio Consafrag ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, le spese di lite che liquida, in favore di ciascuna controparte, in Euro 5.000,00 per compensi e, quanto ai primi due, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge, e, quanto alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, in misura pari all’importo delle spese prenotate a debito.

Si dà atto, che il procedimento è esente dal pagamento del doppio contributo.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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