Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5961 del 14/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5961 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: SESTINI DANILO

SENTENZA
sul ricorso 14429-2008 proposto da:
ROCCA

SABINA

RCCSBN43D55F712H,

elettivamente

domiciliata in ROMA, P.ZZA S. GIOVANNI IN LATERANO
18-B, presso lo studio dell’avvocato CAVALLARO
DOMENICANTONIO, che la rappresenta e difende giusta
procura speciale in calce;
– ricorrente –

2014
194

contro

BACCALINI GIOVANNI BCCGNN36T15F205G, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA TOSCANA 10, presso lo studio
dell’avvocato RIZZO ANTONIO, che lo rappresenta e

1

Data pubblicazione: 14/03/2014

difende unitamente agli avvocati GRASSI MANLIO
ALBERTO, STEFANO OTTORINO FABBRI giusta procura
speciale a margine;
COMUNE DI MILANO 01199250158, in persona del sindaco
pro tempore LETIZIA BRICHETTO ARNABOLDI MORATTI,

3, presso lo studio dell’avvocato IZZO RAFFAELE, che
lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati
MARIA RITA SURANO, ARMANDO TEMPESTA dell’Avvocatura
Comunale di Milano giusta procura speciale in calce;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 2547/2007 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/09/2007, R.G.N.
3797/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/01/2014 dal Consigliere Dott. DANILO
SESTINI;
udito l’Avvocato GRAZIA FIERAMONTE per delega;
udito l’Avvocato RAFFAELE IZZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine per il rigetto del
ricorso;

2

elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MARZIO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 20.9.90, Stefania
Rocca conveniva in giudizio il Comune di Milano e
Giovanni Baccalini (già Assessore all’Edilizia
Privata del medesimo comune) per sentirli

dalla stessa subiti a seguito di condotte
asseritamente illegittime che avevano comportato
un ingiustificato ritardo nel rilascio di
un’autorizzazione edilizia per interventi di
ristrutturazione da eseguirsi in Milano,
sull’immobile denominato “Cascina dei Pomm”.
Costuitisi entrambi i convenuti (che
resistevano alla domanda), sia il Tribunale che la
Corte di Appello di Milano affermavano la
giurisdizione

del

giudice ordinario,

ma

respingevano la domanda ritenendo che la
violazione di un interesse legittimo non potesse
trovare tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c..
Con sentenza n. 11920 del 2002, la Corte di
Cassazione, richiamato l’orientamento espresso
dalle Sezioni Unite con sentenza n. 500/99,
cassava con rinvio ad altra Sezione della Corte
milanese.
Decidendo in sede di rinvio, la Corte di
Appello di Milano pronunciava sentenza (n.
2547/2007) con cui rigettava l’appello e
condannava la Rocca alla rifusione delle spese del
grado in favore dei resistenti, disponendo 3

condannare, in solido, al risarcimento dei danni

altresì- la condanna dei medesimi resistenti a
rifondere alla Rocca le spese del precedente
giudizio di cassazione.
A fondamento del rigetto, la Corte milanese
assumeva che la mancanza di prova dell’esistenza
del danno (“nella sua specificazione e nel suo

consulenza tecnica richiesta dall’appellante e
precludeva, altresì, la liquidazione in via
equitativa.
Contro tale sentenza propone ricorso per
cassazione la Rocca, affidandosi a tre motivi;
resistono con controricorso sia il Comune di
Milano (che ha depositato memoria) che il
Baccalini.

moTrvI DELLA DEECISIONE
l. Al ricorso in esame si applica, ratione
temporis, il disposto dell’art. 366 bis C.P.C., in
quanto la sentenza impugnata è stata depositata il
27.9.2007.
2. Col primo motivo (che deduce “violazione o
falsa applicazione di norme di diritto ai sensi
dell’art. 360 comma l n 3 c.p.c. in relazione
all’art. 2043 c.c.”), la Rocca lamenta che la
Corte territoriale ha “disatteso il principio di
diritto espresso dalla Corte di Cassazione con la
sentenza di rinvio”; assume, in particolare, di
avere “dimostrato” e “quantificato” i danni subiti
4

ammontare”) non consentiva l’ammissione della

e che “non si può assolutamente condividere la
decisione della Corte d’Appello di Milano, nella
parte in cui afferma che la Rocca non avrebbe
provato la colpa del Comune e che non l’avrebbe
neanche dedotta”.
2.1. A corredo del motivo, la ricorrente ha

che nel caso di specie venga affermato
l’applicazione dell’art. 97 Costituzione, secondo
cui la P.A. nel proprio agire deve uniformare la
propria condotta ai principi di buon andamento e
imparzialità, onde per cui, la violazione di tale
principio, per qualunque fatto doloso o colposo, è
fonte di un danno ingiusto a carico del privato
come tale risarcibile, ai sensi dell’art. 2043
c.c.”.
2.2. Tale quesito non risulta adeguato, in
quanto non attinge la ratio decidendi censurata
(che, peraltro, va individuata esclusivamente nel
rilievo della mancanza della prova del danno,
giacché la Corte territoriale non è giunta ad
affrontare il diverso tema della colpa), ma si
limita ad un’affermazione generica che non
contiene i necessari elementi di
contestualizzazione rispetto al caso esaminato e
che non consente di cogliere la difformità tra la
regula iuris applicata nella sentenza e quella di
cui la parte richiede l’applicazione: ne consegue
l’inammissibilità del motivo.
5

formulato il seguente quesito di diritto: “chiede

3. Col secondo motivo (che deduce “violazione o
falsa applicazione delle norme di diritto in
correlazione all’art. 360 n. 3 relativa alla prova
del danno in relazione all’onere della prova ex
art. 2697 c.c. e all’art. 62 C.P.C.”), la Rocca
censura la Corte milanese “nella parte in cui

specificazione del danno e sul suo ammontare” e
contesta che la C.T.U. richiesta dall’appellante
costituisse “mezzo di soccorso volto a sopperire
la inerzia delle parti”, in quanto “era da
considerare solo quale mezzo per quantificare
l’importo del danno”.
3.1. Anche in questo caso, il quesito di
diritto (“chiede che venga affermato il principio
in base al quale, in presenza di una
quantificazione del danno da parte dell’attore
risulta assolto l’onere della prova, ai sensi
dell’art. 2697, e nel dubbio dell’entità dello
stesso, in presenza di un’espressa richiesta della
parte di consulenza tecnica, il giudice deve
applicare 1′ art. 62 c.p.c., in base al quale, il
consulente compie le indagini che gli sono commese
dal giudice e fornisce in udienza, e in camera di
consiglio, i chiarimenti che il giudice gli
richiede a norma degli artt. 194 e seguenti, e
degli articoli 424 e 425, rivolti a stabilire
l’entità del danno consistente nel maggior costo
sopportato dalla ristrutturazione dell’immobile
rispetto alla spesa che sarebbe stata necessaria
6

afferma che manca qualsiasi prova sulla

ove le opere fossero state tempestivamente
autorizzate”) risulta inadeguato e si risolve in
una mera richiesta di accoglimento del motivo,
vale a dire nell’interpello della Corte in ordine
alla fondatezza della censura così come proposta,
senza costituire la chiave di lettura delle

Corte di Cassazione in condizione di rispondere al
quesito con l’enunciazione di una regula iuris
(come richiesto, ex plurimis, da Cass., Sez. Un.,
ord. n. 2658/2008).
3.2. In realtà, la censura svolta dalla Rocca
non attiene tanto ad un vizio di impostazione
giuridica circa i criteri di distribuzione
dell’onere probatorio, quanto piuttosto alla
valutazione compiuta dalla Corte milanese circa il
materiale probatorio offerto dall’attrice (che è
stato ritenuto inidoneo a dimostrare l’esistenza
del danno), cui è conseguita la decisione di non
ammettere la consulenza (in quanto non finalizzata
a valutare tecnicamente elementi già provati, ma a
sopperire ad una prova mancante): è ovvio,
tuttavia, che l’errata individuazione del motivo e
il totale difetto di autosufficienza del ricorso
(che neppure indica gli elementi in base ai quali
il danno avrebbe dovuto essere ritenuto provato)
non consentono di esaminare il motivo neppure
sotto il profilo del vizio di motivazione.
4.

Il terzo motivo concerne espressamente un

vizio di motivazione (“omessa, insufficiente o
7

ragioni illustrate nel motivo e senza porre la

contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo del giudizio ai sensi
dell’art. 360 1 Co. N. 5 c.p.c. in correlazione
alla richiesta di C.T.U.”), ma risulta anch’esso
inammissibile per totale carenza del necessario
‘momento di sintesi’ previsto dall’art. 366 bis

5. Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso
e condanna la ricorrente a rifondere le spese di
lite agli intimati, liquidate in euro 5.200,00 (di
cui euro 200,00 per esborsi) in favore del Comune di
Milano ed in euro 4.200,00 (di cui euro 200,00 per
esborsi) in favore di Baccalini Giovanni, il tutto
oltre accesori di legge.
Roma, 23.1.2014

C.P.C..

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