Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5960 del 14/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5960 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: SESTINI DANILO

SENTENZA

sul ricorso 9254-2008 proposto da:
PALLADINO VINCENZO PLLVCN33B09A064A,

DEL PRETE

CARMELA DLPMRA37L64A064M, elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA PRENESTINA 369/D, presso lo studio
dell’avvocato SACCO GIUSEPPINA, rappresentati e
difesi dall’avvocato PADULA CAMILLO giusta mandato
é

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2014

a margine;
– ricorrenti –

186
contro

CAIAZZO

GIUSEPPE

CZZGPP36P20A064I,

considerato

domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

1

Data pubblicazione: 14/03/2014

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dagli avvocati ALBANESE MARIO, RIANNA ANDREA giusta
procura a margine;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 35/2007 del TRIBUNALE DI

il 15/02/2007, R.G.N. 230/2005;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 23/01/2014 dal Consigliere
Dott. DANILO SESTINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;

2

NAPOLI SEZIONE DISTACCATA DI AFRAGOLA, depositata

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I coniugi Vincenzo Palladino e Carmela Del
Prete venivano convenuti in giudizio, avanti al
Giudice di Pace di Afragola, da tale Giuseppe
Caiazzo che lamentava l’avvenuto danneggiamento di

proprio fondo e quello dei convenuti e chiedeva la
condanna di questi ultimi al risarcimento dei
danni (nella misura di

e

900,00) e al ripristino

dello status quo ante.
Costituendosi in giudizio, entrambi i convenuti
eccepivano l’incompetenza per territorio e per
valore del giudice adito; inoltre, il Palladino
riconosceva di avere fatto tagliare la suddetta
lamiera in quanto ostacolava arbitrariamente
l’accesso dei propri veicoli, mentre la Del Prete
eccepiva il proprio difetto di legittimazione
passiva; veniva altresì proposta -secondo
l’assunto ribadito nel ricorso per cassazionedomanda riconvenzionale per la condanna del
Caiazzo al risarcimento dei danni provocati
all’impresa edile del Palladino, da liquidare in
separata sede.
Il Giudice di Pace di Afragola respingeva tutte
le eccezioni dei convenuti, rigettava la domanda
riconvenzionale e accoglieva la domanda del
Caiazzo (che in memoria conclusionale aveva
rinunciato alla richiesta di ripristino),
condannando i convenuti al pagamento della somma
3

una lamiera dallo stesso posta a confine fra il

di C 900,00, oltre al rimborso delle spese
processuali.
Pronunciando in sede di appello, il Tribunale
di Napoli, Sez. Dist. di Afragola confermava la
sentenza impugnata, rilevando -fra l’altro- che
quella formulata in via riconvenzionale dai

eccezione riconvenzionale.
Per la cassazione della sentenza, propongono
ricorso il Palladino e la Del Prete, affidandosi a
sette motivi, illustrati da memoria. Resiste, a
mezzo di controricorso, il Caiazzo.

moTrvI DELLA DECISIONE
1. Al ricorso in esame si applica, ratione
temporis, il disposto dell’art. 366 bis c.p.c. in
quanto la sentenza è stata pubblicata in data
15.2.2007.
2.

Col primo motivo, i ricorrenti lamentano

(deducendo cumulativamente violazione e falsa
applicazione di norme di diritto e vizio di
motivazione) che il giudice di appello abbia
tenuto conto -ai fini della statuizione
sull’eccezione di incompetenza per valore- della
rinuncia parziale alla domanda effettuata dal
Caiazzo con la memoria conclusionale; il relativo
quesito di diritto (“se la memoria conclusionale
nel procedimento avanti al Giudice di Pace,
ancorché da lui autorizzata, possa consentire
modificazioni delle domande acquisite al processo
o non piuttosto solo il compito di lumneggiare ed
4

coniugi Palladino andava considerata mera

illustrare le difese svolte dalle parti,
commentando le risultanze del giudizio”) non
risulta formulato in modo adeguato, in quanto non
è contestualizzato rispetto al caso esaminato
(segnatamente, non precisa che la questione
attiene alla rilevanza, ai fini della decisione

delle domande originariamente proposte) e non
indica la regula iuris applicata dal giudice di
merito e avversata dal ricorrente: il motivo è
pertanto inammissibile.
3. Col secondo motivo, si lamenta la violazione
dell’art. 346 C.P.C., “in relazione al principio
della devoluzione nel giudizio di appello”, per
essersi il Tribunale pronunciato sull’eccezione di
incompetenza territoriale “senza … avvedersi

che

tale capo non era stato riproposto in appello”: si
tratta, all’evidenza, di un motivo inammissibile
giacché gli odierni ricorrenti non hanno effettivo
interesse a lagnarsi di una pronuncia confermativa
di quella di primo grado che gli stessi non
avevano impugnato.
4. Col terzo e quarto motivo (che si esaminano
congiuntamente in quanto relativi alla medesima
questione della qualificazione della domanda dei
coniugi Palladino in termini di domanda o di
eccezione riconvenzionale), i ricorrenti lamentano
-deducendo vizi di motivazione e “violazione e
falsa applicazione dell’art. 36 C.P.C.”- che,
chiamato a correggere la decisione del primo
5

sulla competenza per valore, della rinuncia ad una

giudice (secondo cui “la domanda riconvenzionale
avanzata da parte convenuta va disattesa, per i
principi di celerità e di semplificazione del
procedimento davanti al Giudice di Pace”), il
Tribunale aveva affermato che una domanda
riconvenzionale non era stata in effetti proposta

controdomanda vera e propria”, si erano “riservati
di agire in separata sede, esprimendo una sorta di
eccezione riconvenzionale”.
4.1. I motivi risultano entrambi inammissibili,
atteso che le censure relative ai vizi di
motivazione non sono assistite da alcun ‘momento
di sintesi’, mentre quella relativa alla
violazione dell’art. 36 C.P.C. formula un quesito
di diritto inadeguato (“se la domanda dà condanna
generica al risarcimento dei danni, che in quanto
tale rimanda la quantificazione alla sede
separata, integri gli estremi di una vera e
propria domanda riconvenzionale o debba
considerarsi semplice eccezione riconvenzionale”),
in quanto generico, non contestualizzato e
inidoneo ad attingere la ratio decidendi della
sentenza impugnata (che non nega la possibilità
che una domanda di condanna generica venga
proposta in via riconvenzionale, ma esclude che nel caso specifico- sia stata proposta alcuna
domanda, ritenendo effettivamente formulata
soltanto una riserva di proporla in separata
sede).
6

e che i resistenti, “più che proporre una

5.

Il quinto motivo (che deduce vizio di

motivazione in ordine al rigetto dell’eccezione di
carenza di legittimazione passiva della Del Prete)
è anch’esso inammissibile per carenza del relativo
-necessario- momento di sintesi.
6. Col sesto motivo -che deduce “violazione e

processo dinnanzi al Giudice di Pace (artt. 311 320- 321 C.P.C.) che hanno condotto anche ad una
motivazione insufficiente ed arbitraria con ciò
concretando anche il vizio di che all’art. 360 n.
5 c.p.c.”- i ricorrenti lamentano che il Tribunale
abbia ritenuto -rigettando il relativo motivo di
appello- che il Giudice di Pace potesse porre a
fondamento della decisione i documenti depositati
dal

Caiazzo dopo la

precisazione

delle

conclusioni.
6.1. Premesso che l’illustrazione del motivo
non evidenzia alcuna censura riconducibile al
vizio di cui all’art. 360 n. 5 C.P.C., il motivo
risulta inammissibile sia se riguardato sotto il
profilo della violazione di legge (quale
espressamente dedotto), sia se considerato sotto
il profilo dell’error in procedendo (quale
parrebbe configurarsi dall’illustrazione del
motivo e dallo stesso tenore del quesito).
Sotto il primo profilo, l’inammissibilità
consegue alla inidoneità del quesito (“se sia
possibile la produzione documentale mediante
inserimento nel proprio fascicolo al di là dei
7

falsa applicazione delle norme che regolano il

termini previsti dal’artt. 320 c.p.c”), che non dà
conto della specifica questione esaminata né
sintetizza due contraposte regulae iuris, ossia
quella applicata dal giudice di merito e quella
diversa che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe
dovuta applicare al caso di specie (cfr. Cass. n.

Sotto il profilo dell’error in procedendo, il
motivo risulta parimenti inammissibile, per
difetto del requisito dell’autosufficienza -sempre
necessario anche laddove la Corte possa accedere
all’esame degli atti- giacché non fornisce
elementi che consentano di apprezzare se i
documenti che si assumono depositati
“furtivamente” siano stati effettivamente
determinanti ai fini della decisione, (tanto più
in un contesto processuale in cui -per quanto
rilevato dal giudice dell’appello- non vi era
stata “necessità di istruire ulteriormente la
controversia” in quanto “i convenuti ammettevano
di avere proceduto al taglio della lamiera per cui
erano evocati in giudizio”).
7. Col settimo motivo -dedotto cumulativamente
sotto i profili della violazione di legge e del
vizio di motivazione- i ricorrenti censurano la
sentenza di appello per avere ritenuto che
“nessuna censura può essere mossa alla
liquidazione delle spese operata dal giudice di
prime cure …, attesa la piena discrezionalità del
giudice in materia”.
8

22604/13).

Premesso che i ricorrenti assumono che con
l’atto di appello “era stato ripercorso tutto
l’iter del giudizio di primo grado con
l’indicazione specifica di diritti ed onorari
dovuti, pervenendosi alla conclusione che questi
non potevano essere liquidati in misura superiore

liquidati”, deve rilevarsi che nel presente
ricorso per cassazione non risulta -invececompiuta alcuna analitica indicazione delle voci
spettanti e di quelle liquidate e che ciò rende
inammissibile il relativo motivo (cfr., ex
plurimis, Cass. n. 270/2006 secondo cui, “qualora
si lamenti che la liquidazione degli onorari e dei
diritti di procuratore sia stata effettuata in
misura superiore al massimo o inferiore al minimo

stabilito dalla tariffa, la parte interessata deve
indicare le singole voci della relativa tabella
professionale dalle quali risulti il vizio per
consentire il conseguente controllo in sede
giudiziale”).
8.

Dichiarata,

in

conclusione,

l’inammissibilità del ricorso, deve provvedersi
sulle spese di lite secondo il criterio della
soccombenza.
P.Q.M.
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso
e condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere
alla controparte le spese di lite, liquidate in
9

ad C 451,33 in luogo degli 800,00 effettivamente

euro 1.800,00 (di cui euro 200,00 per esborsi),
oltre accessori.

Roma, 23.1.2014

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