Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5960 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 20/02/2017, dep.08/03/2017),  n. 5960

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20419/2010 proposto da:

CALZATURIFICIO ORION SPA, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DI

PRISCILLA 4, presso lo studio dell’avvocato STEFANO COEN, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DAVIDE DRUDA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE PADOVA;

– intimato –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistenti –

avverso la sentenza n. 42/2009 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 25/06/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2017 dal Consigliere Dott. LAURA TRICOMI.

Fatto

RILEVATO IN DIRITTO

che:

1. Con ricorso per cassazione fondato su cinque motivi, la società Calzaturificio Orion SPA ha chiesto la riforma della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 42/18/09, depositata il 25.06.2009 e non notificata, che aveva confermato la prima decisione riconoscendo la legittimità degli avvisi di accertamento emessi nei confronti della contribuente per gli anni di imposta 1999 e 2000 per violazioni in materia di sostituto di imposta;

2. Gli atti impositivi erano scaturiti da una verifica dell’INPS e della Guardia di Finanza sulla scorta dei quali era stato accertato che la società aveva utilizzato nel suo ciclo produttivo, con strumenti e mezzi di sua proprietà e sotto la sua direzione, il personale della Cooperativa Cias SPA, con violazione del divieto di interposizione di manodopera di cui alla L. 23 ottobre 1960, n. 1369;

3. Il Giudice di appello ha dato atto che il Giudice del lavoro aveva riconosciuto espressamente la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società ed i lavoratori soci della cooperativa, confermando la legittimità della azione amministrativa, ed ha ritenuto legittimo l’accertamento tributario sia in relazione alle ritenute fiscali calcolate sugli imponibili riferiti alle retribuzioni corrisposte ai lavoratori specificamente indicati ed identificati nel verbale dell’INPS, sia a quelle riferite alle retribuzioni corrisposte a lavoratori non identificati, perchè non presenti in azienda al momento del controllo, sulla considerazione che – per questi ultimi – la società non aveva adempiuto all’obbligo di esibizione all’INPS dei dati anagrafici di queste maestranze;

4. Il ricorso è stato fissato dinanzi all’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis c.p.c., comma 1, il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197. La parte privata ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. e art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in merito alla prova della sussistenza di retribuzioni derivanti da rapporto di lavoro subordinato per i lavoratori individuati, sulle quali calcolare la ritenuta. Secondo la ricorrente infatti le somme individuate come imponibili non erano assoggettabili a ritenuta alla fonte in quanto si trattava di retribuzioni considerate come dovute e calcolate secondo il contratto nazionale, ma non di somme corrisposte ai lavoratori in quanto versate alla cooperativa, e ciò costituiva fatto decisivo e controverso.

1.2. Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per motivazione mancante, sotto la forma dell’apparenza, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per essere inidonea a supportare la conclusione circa la sussistenza di retribuzioni corrisposte a lavoratori, sia in merito alla prova del rapporto subordinato, sia in ordine alla mancanza di ottemperanza della Orion agli ordini dell’INPS, con riferimento ai lavoratori che non sono stati identificati nominativamente nel pvc dell’INPS.

1.3. Con i motivi terzo e terzo bis si denuncia la violazione o falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23, che stabilisce l’obbligo di operare ritenuta in capo al sostituto d’imposta e della L. n. 1369 del 1960, art. 1 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) sintetizzato, sotto un primo profilo, nel seguente quesito “… se grava sul soggetto imprenditore, datore di lavoro quale soggetto che ha violato il divieto di interposizione di manodopera, l’obbligo quale sostituto di imposta di operare ritenute alla fonte a titolo di imposta in relazione alle somme retributive (da cui i corrispondenti obblighi contributivi) per le quali è obbligato nei confronti dei lavoratori” sostenendo che gli obblighi tributari non graverebbero sull’interponente e, sotto un secondo profilo, chiedendo di sapere se l’obbligo riguardi le somme dovute a favore dei lavoratori secondo i contratti collettivi, anche se dette somme non sono state corrisposte direttamente ai lavoratori, ma solo versate al soggetto interposto.

1.4. Con il quarto motivo si denuncia la nullità della sentenza per insufficienza motivazionale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sostenendo che non è ravvisabile il criterio logico che ha guidato il convincimento del giudice di appello in merito alla ritenuta sussistenza del rapporto di lavoro dipendente tra la Orion ed i lavoratori, per la parte in cui non sono stati identificati nominativamente dagli ispettori dell’INPS, atteso che per tale quota la sentenza resa dal giudice del lavoro non soccorreva.

1.5. Con il quinto motivo si denuncia la omessa pronuncia con violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 36 e art. 112 c.p.c., in merito alla dedotta illegittimità, formulata in appello, dell’irrogazione delle sanzioni ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1982, art. 8, D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 4, art. 6, comma 2 e art. 10, comma 3 e della L. n. 212 del 2000, art. 10, per oggettiva difficoltà interpretativa della norma ed alla richiesta di disapplicazione di ufficio delle sanzioni stesse (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

2.1. I motivi primo, terzo e terzo bis possono essere trattati insieme per connessione perchè, sotto diversi profili, propongono la medesima questione. Sono infondati e vanno respinti.

2.2. All’uopo è sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte la quale ha reiteratamente affermato il principio, che il Collegio condivide, per cui in tema di divieto di intermediazione di manodopera, ai sensi della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, u.c., nel testo vigente “ratione temporis”, i prestatori di lavoro occupati in violazione di esso sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore appaltante o interponente che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni, ed al quale incombono, oltre che gli obblighi di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonchè gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, anche gli obblighi fiscali del datore di lavoro; ne consegue che a carico del medesimo soggetto, in ragione di detto rapporto, sussistono gli obblighi del sostituto d’imposta, di cui al D.P.R. 22 settembre 1973, n. 600, art. 23, per le ritenute d’acconto sulle retribuzioni (Cass n. 3795/2013; n. 13748/2013; n. 9962/2015, n. 21982/2015), e ciò a prescindere dal fatto che la retribuzione non sia stata materialmente pagata dal committente, ma dall’appaltatore, di guisa che tale circostanza, collocata al centro del primo motivo, si manifesta anche come priva di decisività.

3.1. I motivi secondo e quarto possono essere trattati congiuntamente per connessione, sono fondati e vanno accolti per quanto di ragione.

3.2. Premesso che è dato fattuale pacificamente acquisito al processo che, nella specie, l’Ufficio, nell’impossibilità di individuare tutti i lavoratori utilizzati dalla contribuente, ha considerato, ai fini dell’obbligo di operare e versare le ritenute, genericamente le somme corrisposte alla cooperativa per calcolare in via di astrazione anche le ritenute relative ai lavoratori non identificati, va evidenziato che la disposizione in materia di ritenuta d’acconto (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23), nel prevedere le modalità con cui operare detta ritenuta, è articolata in modo tale da esigere la concreta identificazione del soggetto sostituito in conto del quale il datore di lavoro effettua il versamento delle ritenute a titolo di imposta, di guisa che la sentenza – che non ha dato corretta applicazione a questo principio – è errata.

La diversa soluzione adottata nell’avviso di accertamento e condivisa dalla CTR si pone, inoltre, in contrasto con l’art. 53 Cost., legittimando un versamento di imposta, da parte del sostituto, in luogo di un sostituito non esistente e che, quindi, non potrebbe mai beneficiarne (Cass. n. 27489 del 30.12.2014). In materia analoga, nel medesimo senso si è pronunciata la Sezione Lavoro di questa Corte la quale, statuendo un principio condivisibile, ha ritenuto che nel caso in cui, per mancanza di scritture contabili, non sia possibile individuare le singole posizioni su cui accreditare i contributi, questi non sono dovuti, non essendo consentito all’Ente di incamerarli indistintamente, stante l’assenza di disposizioni che prevedano criteri sussidiari di ripartizione (cfr. Cass. n. 8253/1999).

4.1. Il quinto motivo è infondato.

4.2. La decisione della Commissione è, infatti, implicitamente reiettiva della richiesta che la stessa ricorrente rappresenta essere stata proposta solo con l’atto di appello, come sollecitazione alla Commissione a procedere d’ufficio alla disapplicazione delle sanzioni per obiettiva incertezza normativa (fol. 28 del ricorso), in quanto è incompatibile con il complessivo contenuto decisorio. Inoltre è conforme al già affermato principio secondo il quale, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme fiscali, sussiste il potere del giudice tributario di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni, anche in sede di legittimità, per errore sulla norma tributaria, in caso di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della stessa, solo in presenza di una domanda del contribuente formulata nei modi e nei termini processuali appropriati, e che) luindi, non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello – come avvenuto nel caso in esame – o nel giudizio di legittimità (Cass. n. 14402 del 14/07/2016).

5.1. In conclusione il ricorso va accolto sui motivi secondo e quarto, infondati i motivi primo, terzo, terzo bis e quinto.

La sentenza impugnata va cassata e rinviata a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto che provvederà all’applicazione dei principi di diritto enunciati, alla compiuta motivazione in merito alle ritenute applicate con riferimento ai lavoratori non identificati e, all’esito, alla eventuale verifica della legittimità delle sanzioni amministrative applicate alla stregua dello jus superveniens di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, come richiesto dalla società contribuente nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c., ed infine regolerà le spese anche del giudizio di cassazione.

PQM

– accoglie il ricorso sui motivi secondo e quarto, infondati i motivi primo, terzo, terzo bis e quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali del giudizio di legittimità, a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Veneto.

Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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