Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5955 del 14/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5955 Anno 2014
Presidente: SEGRETO ANTONIO
Relatore: DE STEFANO FRANCO

SENTENZA

sul ricorso 8636-2013 proposto da:
GESCO

SRL

06298660587,

in

persona

del

suo

Amministratore Unico GIUSEPPE MALTINTI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI 106, presso
lo studio dell’avvocato TAMPONI MICHELE, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati MERLINO
2014
164

FRANCESCO SAVERIO, MANETTI PAOLO giusta delega in
calce;
– ricorrente contro

STATO ITALIANO ;

1

Data pubblicazione: 14/03/2014

- intimato –

Nonché da:
STATO ITALIANO – PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
80188230587, in persona del Presidente del Consiglio,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

rappresenta e difende per legge;
– ricorrente incidentale contro

GESCO SRL 06298660587;
– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,
depositato il 14/02/2013 R.G.N. 6802/12;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/01/2014 dal Consigliere Dott. FRANCO DE
STEFANO;
udito l’Avvocato PAOLO MANETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento
del ricorso incidentale.

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

Svolgimento del processo

1. La corte d’appello di Perugia, con decreto 14.2.13 in
causa n. 602/12 rgcc, confermò, sia pure con diversa
motivazione, la declaratoria di inammissibilità – già resa
dal tribunale del capoluogo umbro – della domanda

del Consiglio dei Ministri ai sensi della legge 13 aprile
1988, n. 117, in relazione ad una sentenza di parziale
ammissione al passivo fallimentare resa dal tribunale di
Roma in data 27.4.07, una volta interrottosi, per chiusura
del fallimento della controparte, il giudizio di appello
avverso di quella ed avendo ritenuto la Gesco inammissibile
o comunque inutile la sua riassunzione nei confronti del
debitore rientrato in bonis.
1.1. In particolare, la Gesco aveva riferito:
– di aver proposto – addì 8.7.05 – domanda di ammissione
al passivo del fallimento Tecnoconsult srl, incorporante di
Edilizia Alessandra srl (pendente presso il tribunale di
Roma), siccome cessionaria di un ingentissimo credito, pari
ad C 5.774.320,

ex

art. 2041 cod. civ. per gli esborsi

sostenuti per il completamento della costruzione di un
edificio acquistato nel corso di un’esecuzione immobiliare
nei confronti di questa, in forza di decreto di
trasferimento poi però annullato definitivamente;
– di essersi vista ammettere al passivo il solo importo
di C 1.394.782, ma in base a macroscopici errori nella
motivazione della sentenza (n. 8414 del 27.4.07), resa dal
tribunale di Roma sì in composizione collegiale, ma a
relazione dello stesso giudice delegato che aveva pure
3

dispiegata dalla Gesco srl nei confronti della Presidenza

provveduto a disporre la chiusura del fallimento in
pendenza dell’appello dispiegato da essa Gesco: errori
consistenti nell’accoglimento di una domanda di ammissione
al passivo di indennità per maggior valore

ex art. 1150

cod. civ. mai formulata e nel rigetto della pretesa ex art.
2041 cod. civ. in base alla concomitante svalutazione del

ruolo probatorio delle fatture prodotte – benché relative a
pagamenti sostenuti dal creditore ed alla totale
pretermissione ‘ ri sultanze della c.t.u. pure espletate e
delle istanze istruttorie dispiegate allo scopo;
– di non aver coltivato l’appello, dichiarato interrotto
(dalla corte territoriale capitolina all’ud. 19.1.10)
proprio per l’intervenuta chiusura del fallimento (avutasi
con decreto 6.5.09), ritenendo non prevista la prosecuzione
del giudizio di ammissione al passivo dopo la chiusura del
fallimento, neppure contro la debitrice originaria
rientrata

in bonis,

ma comunque inutile per l’intervenuta

definitiva integrale ripartizione dell’attivo fallimentare;
– di avere agito quindi, ritenuta esaurita ogni diversa
tutela, ai sensi della richiamata legge 117 del 1988.
1.2. L’adito tribunale di Perugia aveva poi – con
decreto 5.5.12 – dichiarato inammissibile la domanda, per
mancato previo esaurimento di tutti i mezzi di impugnazione
previsti dalla legge: tesi che, sul reclamo dell’attrice,
era stata poi disattesa dalla corte d’appello umbra, con il
qui gravato decreto, reso il 14.2.13.
Questa, tuttavia, ritenne sussistere altra causa di
inammissibilità,

per la manifesta infondatezza della

pretesa risarcitoria, siccome riferita ad attività di
4

(11

interpretazione di norme di diritto sia quanto alla
decisione di domanda non proposta che in ordine alla
riqualificazione della domanda: e, come tali, non
suscettibili di dar luogo a responsabilità dello Stato.
L’adita corte territoriale, pertanto, rigettò il reclamo,

primo grado, compensando le spese.
1.3. Per la cassazione di tale provvedimento ricorre,
affidandosi a tre motivi ed illustrandoli con memoria, la
Gesco, cui resiste con controricorso, contenente ricorso
incidentale, la Presidenza del Consiglio dei Ministri; e,
per la pubblica udienza del 21.1.14, la sola ricorrente
produce ulteriore memoria, richiamando altresì notizie,
anche di pubblico dominio, sulle inchieste in merito alle
condizioni in cui aveva operato l’ufficio giudiziario ed il
magistrato che avevano reso la sentenza ritenuta fonte di
responsabilità dello Stato ai sensi della legge 117/88.
Motivi della decisione

2. Questi i termini della controversia.
2.1. La ricorrente Gesco, contestando la ratio decidendi
dell’impugnato decreto in punto di ritenuta inammissibilità
dell’azione di responsabilità siccome diretta avverso
insindacabile attività di interpretazione di norme di
diritto, articola tre motivi:
– il primo dei quali è così rubricato: “Falsa
applicazione dell’art. 12 delle disposizioni sulla Legge in
generale preliminari al c.c. (art. 360 III co. c.p.c.);
.

violazione degli artt. 112-113 c.p.c.

(art. 360 n. 3

c.p.c.). Violazione dei principi di diritto in tema di
5

sia pure con correzione della motivazione del decreto di

interpretazione della domanda giudiziale (art. 360 n. 3
c.p.c.). Violazione dell’art. 2 II e III co. L. 13.4.1988
n. 117 (art. 360 n. 3 c.p.c.)”;
il secondo dei quali è così rubricato: “Violazione
degli artt. 112-113 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.).

interpretazione della domanda giudiziale (art. 360 n. 3
c.p.c.). Violazione dell’art. 2 II e III co. L. 13.4.1988
n. 117 (art. 360 n. 3 c.p.c.)”;
– il terzo dei quali è così rubricato: “Falsa
applicazione dell’art. 12 disposizioni sulla legge in
generale (art. 360 III co. c.p.c.); violazione degli artt.
112-113 c.p.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.); violazione dell’art.
2 II e III co. L. 13.4.88 n. 117 (art. 360 n. 3 c.p.c.).
Violazione dei principi di diritto in tema di
interpretazione della domanda giudiziale (art. 360 n. 3
c.p.c.)”.
2.2. Dal canto suo, la Presidenza del Consiglio dei
Ministri dispiega – con la memoria prevista dall’art. 5,
comma quarto, 1. 117/88, notificata alla controparte ricorso incidentale, articolato su di un motivo e con cui
si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 4
legge 117/88, sostenendo che anche nella specie non erano
stati esauriti i rimedi impugnatori avverso la sentenza di
primo grado che integrerebbe il presupposto di fatto della
responsabilità dello Stato.
3.

Va,

preliminarmente,

valutata

l’eccezione

di

inammissibilità del ricorso incidentale, sollevata dalla
ricorrente principale.
6

Violazione dei principi di diritto in tema di

Tale eccezione è infondata.
3.1. Il peculiare procedimento previsto dal comma quarto
dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, diverge
invero sensibilmente da quello ordinario in ordine alle
modalità di proposizione della domanda ed ai relativi

limitato – come pretenderebbe la ricorrente – il sistema
generale delle impugnazioni avverso i provvedimenti
decisori, ai quali agevolmente si riconduce pure il decreto
di inammissibilità reso in sede di reclamo in ordine alla
domanda di risarcimento danni da attività giudiziaria.
Nelle procedure camerali le quali si concludano con un
provvedimento di natura decisoria su contrapposte posizioni
di diritto soggettivo e quindi suscettibile di acquistare
autorità di giudicato trovano piena applicazione i principi
del processo di cognizione relativi all’impugnazione (Cass.
16 aprile 2003, n. 6011; Cass. 13 aprile 2005, n. 7696).
Anzi, in linea generale, per i procedimenti in camera di
consiglio, anche secondo le disposizioni generali del
codice di procedura civile, non si è mai dubitato
dell’ammissibilità delle impugnazioni incidentali, finanche
tardive (da ultimo, su tale specifico punto, v. Cass. Sez.
Un., 31 luglio 2012, n. 13617, che richiama, “tra le
altre”, Cass. 20 gennaio 2006, n. 1176), siccome evidente
espressione di principi generalissimi di diritto
processuale.
E tali principi escludono che in astratto alcunché osti
all’ammissibilità di un’impugnazione incidentale anche
nello speciale giudizio di legittimità che abbia ad oggetto
7

termini, ma non può in alcun modo considerarsi avere

il decreto della corte d’appello di inammissibilità della
domanda prevista dalla legge 117 del 1988.
3.2. Argomenta, poi, la ricorrente dalla lettera del
comma quarto dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n.
117, che soltanto la parte nei cui confronti sia dichiarata

con esclusione di qualsiasi legittimazione all’impugnazione
in capo alle altre parti.
Tale tesi non può essere condivisa.
Rileva il Collegio che la lettera della norma appena
richiamata (secondo periodo del comma quarto dell’art.

5 1.

117/88), ammettendo il ricorso per cassazione “contro il
decreto di inammissibilità della corte d’appello”:
– da un lato, non individua i legittimati al ricorso, ma
l’oggetto di esso: sicché non può ritenersi avere in modo
così criptico innovato i principi generali in tema di
impugnazioni incidentali e quindi avere precluso, dinanzi
alla soccombenza effettiva di una delle parti, quale si
configura appunto quella della Presidenza del Consiglio
sulla questione preliminare dell’ammissibilità per mancato
esaurimento degli ordinari mezzi di impugnazione,
l’insorgenza dell’interesse della soccombente ad impugnare
in via incidentale il relativo provvedimento decisorio;
– dall’altro lato, è comunque rispettata nella specie,
visto che è pur sempre contro un decreto di inammissibilità
– sia pure per ragione diversa da quella pronunciata dal
giudice di primo grado – che il ricorso incidentale della
Presidenza del Consiglio oggi si rivolge.
3.3. Ancora e in punto di rito:
8

l’inammissibilità è legittimata al ricorso per cassazione:

3.3.1. è ben vero che, in luogo del controricorso, la
procedura disciplinata dal comma quarto dell’art. 5 della
legge 13 aprile 1988, n. 117 prevede soltanto una memoria,
di cui non è disciplinata alcuna notifica: infatti, vi si
prescrive che le difese dell’intimato, per le quali è ad
esso riservata una “memoria”, vadano depositate entro il

termine di venti giorni dalla scadenza del termine per il
deposito del ricorso (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1104; Cass.
25 gennaio 2002, n. 871), per di più a pena di
improcedibilità (Cass. 10 ottobre 2003, n. 15156; Cass. 30
luglio 1999, n. 8260), per soddisfare l’esigenza prevalente
di una rapida definizione della fase preliminare, in palese
deroga al disposto degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ.;
3.3.2. e tuttavia: da un lato, la semplice differenza di
definizione dell’atto con cui si estrinseca la difesa della
parte nei cui confronti si dirige l’impugnazione principale
non è idonea a comprimere la facoltà, anche per la
controparte del ricorrente principale, di impugnare il
medesimo provvedimento per motivi diversi, dipendendo il
relativo interesse dalla propria soccombenza su di una
questione idonea a definire il giudizio e reso quello
attuale dall’avvenuto dispiegamento dell’altrui
impugnazione principale; dall’altro lato, la disciplina in
esame è stata rispettata rigorosamente dalla ricorrente
incidentale, la quale anzi ha provveduto perfino a
notificare il proprio atto difensivo, contenente
l’impugnazione incidentale, negli stessi termini previsti
per il deposito della memoria, all’evidente fine di
consentire la previa piena instaurazione di contraddittorio

1/1_
9

)

sul suo gravame: essendo stato l’atto dell’intimata
Presidenza, contenente il ricorso incidentale, spedito per
la notifica a mezzo posta il 29.3.13 e depositato nella
cancelleria della corte d’appello di Perugia il medesimo
giorno, a fronte della notifica del ricorso per cassazione

deposito della memoria, in venti giorni complessivi (Cass.
20 gennaio 2006, n. 1104; Cass. 25 gennaio 2002, n. 871) e del deposito del medesimo nella cancelleria stessa il
19.3.13.
3.4. In conclusione, è ammissibile, se dispiegato nella
memoria depositata – e, nella specie, oltretutto notificata

a controparte – nei dieci giorni dalla scadenza del termine
per il deposito del ricorso principale nella cancelleria
della corte territoriale, il ricorso incidentale della
Presidenza del Consiglio dei Ministri nel giudizio di
legittimità previsto dal secondo periodo del comma quarto
dell’art. 5 della legge 13 aprile 1988, n. 117, avverso il
decreto della corte d’appello che abbia rigettato il
reclamo contro la declaratoria d’inammissibilità
dell’azione, per ragioni diverse da quelle ritenute dal
giudice di primo grado.

4. Tutto ciò premesso, la rilevata ammissibilità del
ricorso incidentale consente di ritenere non formatosi il
giudicato sulla preliminare questione che esso agita, di
inammissibilità dell’azione risarcitoria

ex 1.

117/88 per

mancato esaurimento degli ordinari mezzi di impugnazione
(pur prospettata e prospettabile col ricorso incidentale),
la quale è di per sé questione logicamente preliminare e
10

in data 11.3.13 – dal quale decorrono i termini per il

rimane

così

rilevabile

di

ufficio

(trattandosi

di

presupposto processuale specifico relativo alla medesima
ammissibilità della speciale azione di responsabilità,
ovvero di termine decadenziale, siccome – Cass. 5 maggio
2011, n. 9910 – relativo a materia sottratta alla

stessa affidato al giudice il compito preliminare di
verificare il rispetto dei termini a tal fine previsti
dall’art. 4 della legge in esame), tanto da dover essere
esaminata con pregiudizialità.
E tale questione è fondata.
4.1. Non può dirsi, infatti, che la causa di ammissione
al passivo fallimentare divenga

inutiliter data una volta

chiuso il fallimento e interrotto il giudizio di appello
avverso la domanda reiettiva – o parzialmente tale – di
primo grado.
Infatti, il riacquisto della capacità processuale del
fallito determinato dalla chiusura (o dalla revoca) del
fallimento provoca sì l’interruzione dei processi in cui
sia parte il curatore, ma consente pure che il giudizio
previsto dall’art. 98 legge fall. possa essere utilmente
riassunto nei confronti del debitore tornato

in bonis,

al

fine di giungere all’accertamento giudiziale
sull’esistenza, o meno, del credito di cui si era chiesta
l’insinuazione (da ultimo, Cass., ord. 29 maggio 2013, n.
13337; principi analoghi erano stati espressi in passato
anche – e tra molte – da: Cass. 6 marzo 1998, n. 2514;
Cass. 23 ottobre 1969, n. 3478): visto che gli effetti
della pronuncia si produrrebbero in capo all’ex fallito,
11

disponibilità delle parti: essendo infatti dalla norma

nei cui confronti potrebbe essere posta in esecuzione la
pronuncia (Cass. 16 gennaio 2009, n. 979, relativa al caso
della revocazione dell’ammissione al passivo, in maniera
non congruente citata a sostegno dell’opposta tesi).
Contrariamente a quanto ritenuto dal decreto di reclamo
della corte d’appello, la chiusura del fallimento,
determinando la cessazione degli organi fallimentari e il
rientro del fallito nella disponibilità del suo patrimonio
fa venir meno la legittimazione processuale del curatore,
determinando il subentrare dello stesso fallito tornato in
bonis al curatore nei procedimenti pendenti all’atto della
chiusura (Cass. 9 luglio 2013, n. 17008; Cass. 18 aprile
2006, n. 8959).
Dopo l’interruzione del processo, il creditore ha
sempre, cioè, la facoltà di riassumere la domanda già
svolta nei confronti del fallimento poi dichiarato chiuso,
perché essa tende ad accertare la sussistenza o l’entità
del credito e la sua deduzione in funzione esecutiva mira
solo ad assicurarne, nel concorso con gli altri creditori,
la collocazione utile (Cass. 17 luglio 2007, n. 15934).
4.2. La contraria asserzione di Cass. 28 settembre 2004,
n. 19394, può dirsi quindi rimasta senza convincente
seguito nella giurisprudenza di legittimità; ma essa
neppure potrebbe condividersi, poiché comporterebbe
l’inaccettabile esito dell’estinzione del diritto, con
definitivo ed ingiustificato detrimento del creditore,
nonostante la configurabilità di una almeno astratta
responsabilità dell’imprenditore tornato

in bonis

o,

finanche per il caso di sua estinzione, dei suoi
12

successori: oggi configurabili pure in caso di estinzione
della società, come reso manifesto dalle recenti pronunce
delle Sezioni Unite di questa Corte regolatrice seguite al
nuovo testo dell’art. 2495 cod. civ. (da ultimo, v. Cass.
Sez. Un. 12 marzo 2013, n. 6070; ma v. pure Cass. Sez. Un.
22 febbraio 2010, n. 4060).
4.3. Del resto, l’applicazione di tale principio – di
non inutilità della riassunzione della causa in origine
pendente nei confronti di una Curatela, dopo la sua
interruzione per la chiusura del fallimento alla
fattispecie pare integrare idoneo contemperamento delle
ragioni di chi si assuma danneggiato dall’attività
giurisdizionale e di quelle delle collettività, visto che
si impone al primo solo di esaurire tutti i rimedi ancora
consentiti, del resto nel suo stesso interesse e per dargli
modo di conseguire eventuali risarcimenti dalle sue
originarie controparti, ove riconosciuto vittorioso, ad
esempio ove ne ricorressero i presupposti anche ai
sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., nelle diverse
articolazioni degli istituti processuali da esso regolati.
4.4. Né può dirsi che un’oscillazione giurisprudenziale
sulla questione di una utile proseguibilità della domanda
di ammissione al passivo anche dopo la chiusura del
fallimento avrebbe giustificato la mancata riassunzione.
Anche ammesso – ma, per quanto visto, non concesso – che
una tale oscillazione potesse ancora ritenersi sussistente
al momento della decisione della parte di non dare corso
alla riassunzione e che non fosse stato onere della parte
quello di seguire, delle due alternative, quella di maggior
13

cautela anche ai fini della divisata successiva azione di
responsabilità, un simile atteggiamento rimane una
circostanza meramente soggettiva. In quanto tale, esso
avrebbe potuto semmai, ove ne fossero sussistiti tutti gli
altri presupposti, concorrere ad integrare diverse
fattispecie in relazione alla rimessione in termini per

proporre quell’impugnazione, ma non già mutare una
circostanza oggettiva, quale il mancato esaurimento dei
mezzi di impugnazione avverso il provvedimento
giurisdizionale ritenuto lesivo.
4.5. Pertanto, pacifico essendo che la Gesco non ha
riassunto l’appello avverso la sentenza che essa pone a
fondamento della responsabilità dello Stato ai sensi della
legge 117 del 1988, non può dirsi che si siano esaurite le
impugnazioni e, quindi, va esclusa l’ammissibilità
dell’azione risarcitoría, in applicazione del seguente
principio di diritto:

è inammissibile, non essendo ancora

esauriti i mezzi ordinari di impugnazione, l’azione di
responsabilità prevista dalla legge 13 aprile 1988, n. 117,
in relazione ad una sentenza di primo grado di solo
parziale accoglimento di una domanda di ammissione al
passivo, ove, interrotto il giudizio di appello a seguito
della intervenuta chiusura della procedura fallimentare, il
creditore non lo abbia riassunto anche solo al fine di
conseguire l’accertamento del suo credito nei confronti del
debitore rientrato in bonis o dei suoi successori.

4.6. Resta impregiudicata, beninteso e purché ovviamente
ne ricorrano i presupposti, qualsiasi diretta pretesa
risarcitoria nei confronti degli autori di eventuali
14

7)

/9

condotte criminose, a maggior ragione se appartenenti
all’ordine giudiziario, che la competente autorità
giudiziaria potesse ravvisare nella specie, in relazione
alla particolare gravità dei fatti del singolo processo
concluso con il provvedimento ritenuto fonte di

connessi, secondo quanto prospettato dal danneggiato.
5. La risoluzione in tali sensi della questione
dell’inammissibilità dell’azione di responsabilità per
mancato previo esaurimento dei mezzi di impugnazione,
rilevabile di ufficio ed in concreto affrontata da questa
Corte in dipendenza del dispiegamento di un ammissibile
ricorso incidentale che la aveva del resto ad oggetto,
comporta:
– da un lato, la preclusione della disamina delle
doglianze dispiegate dalla ricorrente principale, tutte
relative alla

ratio decidendi

della declaratoria di

inammissibilità per manifesta infondatezza della domanda,
intuitivamente travolte, siccome relative al merito, dalla
preliminare declaratoria di inammissibilità di quest’ultima
per mancato esaurimento dei rimedi ordinari;
– dall’altro lato, che il dispositivo del qui gravato
decreto, che comunque pronuncia l’inammissibilità (benché
per una ragione diversa, ma logicamente successiva a quella
qui riscontrata), è pertanto conforme a diritto: tanto che
il decreto stesso va confermato, sia pure previa correzione
della motivazione, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384
cod. proc. civ., con rigetto dei contrapposti ricorsi che
ne invocano la modifica.
15

responsabilità principale dello Stato, ovvero in altri

6. Le spese del giudizio di legittimità, infine, vanno
compensate: sia in dipendenza di un’evidente reciproca
soccombenza, a seguito del rigetto di entrambi i ricorsi;
sia perché poi l’assoluta novità della questione e la
definizione dei ricorsi in base ad una causa di
inammissibilità originaria rilevata di ufficio con

conseguente correzione della motivazione del provvedimento
gravato, integrano senz’altro, a giudizio del Collegio,
eccezionali gravi ragioni di compensazione.
7. Il dispiegamento del ricorso per cassazione in tempo
posteriore al 30.1.13 impone a questo punto di verificare
l’applicabilità dell’art. 13, comma

1-quater,

d.P.R. 30

maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,
coma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, a mente del quale
quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile,
la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per la stessa impugnazione,. principale o
incidentale, a norma del comma

1-bis;

la stessa norma

prevede, al suo secondo periodo, che il giudice dà atto nel
provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al
periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al
momento del deposito dello stesso.
7.1. Ritiene il Collegio, in via preliminare, che tale
pronuncia non possa aver luogo nei confronti di quelle
parti, come le Amministrazioni dello Stato, della fase o
.

del giudizio di impugnazione che siano istituzionalmente
esonerate, per valutazione normativa della loro qualità

16

(11

soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso,
mediante il meccanismo della prenotazione a debito.

Un principio analogo, di esenzione da ogni pronuncia al
riguardo, è stato di recente – ed in modo del tutto
condivisibile – affermato per i casi in cui il contributo

controversia (Cass. Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26280).
La questione dell’applicabilità delle norme suddette si
deve porre, quindi, esclusivamente con riguardo alla
ricorrente principale.
7.2. Ritiene poi il Collegio che, in base al tenore
letterale della disposizione, il rilevamento della
sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione
dell’ulteriore contributo unificato sia un atto dovuto,
poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è
collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa
valutazione – del rigetto integrale o della definizione in
rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione:
atteggiandosi come un’automatica conseguenza sfavorevole
dell’azionamento del diritto di impugnare un provvedimento
in materie o per procedimenti assoggettati a contributo
unificato, tutte le volte che l’impegno di risorse
processuali reso necessario dall’esercizio di tale diritto
non abbia avuto esito positivo per l’impugnante, essendo il
provvedimento impugnato rimasto confermato o non alterato.
In un certo senso, può dirsi che il raddoppio del
contributo si muove nell’ottica di un parziale ristoro dei
costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario o
17

unificato non è dovuto in ragione della natura della

della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a
sua disposizione.
Infatti, nella previsione legislativa in esame l’obbligo
del pagamento del contributo aggiuntivo sorge

ipso iure,

per il solo fatto del formale rilevamento della sussistenza

provvedimento di definizione dell’impugnazione: sicché da
quello stesso momento è attivabile pure il procedimento per
la relativa riscossione.
7.3. In questo contesto, tale rilevamento non può quindi
costituire un capo del provvedimento di definizione
dell’impugnazione dotato di contenuto condannatorio, né di
contenuto declaratorio: a tanto ostando anzitutto la
mancanza di un rapporto processuale con il soggetto
titolare del relativo potere impositivo tributario, che non
è neppure parte in causa, e quindi irrimediabilmente la
carenza di domanda di chicchessia o di controversia sul
punto e comunque discendendo il rilevamento da un obbligo
imposto dalla legge al giudice che definisce il giudizio.
Deve allora ritenersi che la lettera della disposizione
conferisca al giudice dell’impugnazione il solo poteredovere di rilevare la sussistenza o meno dei presupposti
per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato,
cioè che l’impugnazione sia stata rigettata integralmente,
ovvero dichiarata inammissibile o improcedibile.
Pertanto,

non può e non deve il giudice che definisce

l’impugnazione operare valutazioni o declaratorie di sorta,

visto che la sussistenza o meno di quei presupposti è un
fatto insuscettibile di diversa estimazione e che il
18

dei suoi presupposti, al momento stesso del deposito del

rilevamento di quelli non è legato in alcun modo alla
condanna alle spese, ma è reso oggetto di una mera presa
d’atto; ed il capo del provvedimento con una tale presa
d’atto costituisce solo il presupposto per l’insorgenza
dell’obbligo di pagamento in capo al soccombente.

diritto:

in tema di contributo unificato per i gradi o i

giudizi di impugnazione, ai sensi dell’art. 13 comma
quater

1

del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito

dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228,
il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il
provvedimento che la definisce, a dare atto senza
ulteriori valutazioni decisionali – della sussistenza dei
presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o
improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da
parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
l’impugnazione da lui proposta, a norma del comma 1 bis del

medesimo art. 13.

7.5. L’assoluta carenza di discrezionalità in capo al
giudice che definisce l’impugnazione non lascia al Collegio
altra scelta, pertanto, anche nel presente caso e
nonostante la disposta compensazione delle spese del
giudizio di legittimità, che dare atto della dichiarazione
d’inammissibilità del ricorso principale, quale presupposto
per il versamento, da parte della ricorrente principale ed
ai sensi dell’art. 13 co.

1-quater

d.P.R. 115/02 come

modif. dalla 1. 228/12, di un ulteriore importo a titolo di

19

7.4. E tanto in applicazione del seguente principio di

contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il
ricorso principale.
P. Q. M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello
incidentale, corretta la motivazione dell’impugnato decreto

giudizio di legittimità; dà atto che, ai sensi dell’art.
13, co.

1 quater

d.P.R. 115/02, come modif. dalla 1.

228/12, ricorrono i presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente principale, dell’ulteriore importo per
contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso
principale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
terza sezione civile della Corte suprema di cassazione,
addì 21 gennaio 2014.

della corte d’appello di Roma; compensa le spese del

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