Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5953 del 12/03/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 12/03/2018, (ud. 16/11/2017, dep.12/03/2018),  n. 5953

Fatto

1. La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 451 pubblicata il 24.5.2012, in parziale riforma della sentenza impugnata (che aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto concluso, per il periodo 1 febbraio – 30 aprile 2002, “per esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo anche un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001, 11 gennaio 2002”, e disposto la conversione in rapporto a tempo indeterminato, condannando la società datoriale alla riammissione in servizio della dipendente e al risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate dalla data di messa in mora), ha condannato la società appellante al risarcimento del danno quantificato, ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, in misura pari a 3,5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla scadenza del termine originariamente apposto al contratto e fino al saldo.

2. La Corte territoriale ha ritenuto soddisfatto, per relationem, il requisito di specificità delle ragioni giustificatrici del termine apposto al contratto ma non assolto, da parte datoriale, l’onere di prova della effettiva sussistenza delle ragioni medesime, con conseguente conferma della declaratoria di nullità della clausola appositiva del termine.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Poste Italiane spa, affidato a sette motivi. La lavoratrice è rimasta intimata.

4. La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso Poste Italiane spa ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175,1375 e 2697 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3) in relazione al rigetto dell’eccezione di risoluzione del contratto per mutuo consenso. La società ricorrente ha, in particolare, censurato la statuizione del giudice di appello nella parte in cui ha escluso che dal solo decorso del tempo potesse desumersi la volontà risolutiva del rapporto.

2. Il motivo è infondato alla luce del principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo, (cfr. Cass. n. 13535 del 2015; Cass. n. 6549 del 2015; Cass. n. 17940 del 2014; Cass. n. 26935 del 2008). E’ stato in particolare precisato come “con riferimento al caso dei contratti a tempo determinato, la mancata impugnazione della clausola che fissa il termine viene considerata indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti a condizione che la durata di tale comportamento omissivo sia particolarmente rilevante e che concorra con altri elementi convergenti, ad indicare, in modo univoco ed inequivoco, la volontà di estinguere ogni rapporto di lavoro tra le parti. Il relativo giudizio attiene al merito della controversia”, (Cass., S.U., n. 21691 del 2016; Cass., 29781 del 2017).

3. Nel caso in esame, la Corte territoriale si è attenuta al principio sopra richiamato escludendo che il solo dato del decorso del tempo tra l’estromissione dal lavoro e la messa in mora, peraltro inferiore nel caso di specie a due anni, potesse considerarsi dimostrativo di una volontà dismissiva del rapporto da parte della lavoratrice. Il motivo di ricorso in esame argomenta unicamente sulla valenza indiziaria del tempo trascorso dopo la scadenza del termine e si pone quindi in contrasto i principi a cui questa Corte intende dare continuità.

4. Col secondo motivo Poste Italiane spa ha dedotto la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4) per omessa statuizione della Corte territoriale su uno specifico motivo articolato nel ricorso in appello (trascritto alle pagine 9 e 10 del ricorso per cassazione) e concernente la violazione, nella sentenza di primo grado, del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Il Tribunale, secondo la prospettazione di parte datoriale, avrebbe dichiarato la nullità della clausola appositiva del termine per difetto di prova dei presupposti indicati nel contratto benchè la ricorrente in primo grado non avesse mai contestato il processo di mobilità in atto nel territorio nazionale nè il coinvolgimento nello stesso della articolazione produttiva a cui era addetta la lavoratrice.

5. Il motivo è infondato. Secondo l’orientamento consolidato, quando con il ricorso per cassazione venga dedotto un error in procedendo, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali si basa il ricorso medesimo, indipendentemente dall’eventuale sufficienza e logicità della motivazione adottata in proposito dal giudice di merito, atteso che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale, (cfr. Cass., S.U., n. 8077 del 2012).

6. Tale principio è stato ribadito da Cass. n. 16164 del 2015, proprio in tema di vizio di omessa pronuncia, che ha sottolineato come spetti a questa Corte procedere direttamente all’interpretazione dell’atto processuale della cui validità si discuta e come non sia possibile scindere il momento dell’interpretazione degli atti processuali, e segnatamente delle domande delle parti, dal momento della violazione delle norme processuali, in particolare dell’art. 345 c.p.c., perchè l’omessa pronuncia, come l’ultra o l’extra petizione, possono dipendere appunto da quell’erronea interpretazione oltre che da un errore di percezione.

7. Riaffermato, dunque, che spetta al giudice di legittimità, a fronte della denuncia di un error in procedendo, accertare la validità e il tenore degli atti processuali, nel caso di specie dalla lettura della sentenza di secondo grado emerge come la Corte territoriale abbia esaminato il terzo motivo di appello (riportato a pag. 9 del ricorso per cassazione) ed abbia implicitamente respinto la censura mossa alla sentenza di primo grado di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Difatti, la Corte territoriale, a pag. 3 e seguenti, punto 2, della sentenza, ha esaminato congiuntamente il secondo ed il terzo motivo di appello; ha riportato le argomentazioni della società appellante secondo cui il riferimento, nel contratto a termine, agli accordi di mobilità sottoscritti in sede sindacale consentiva di “reputare dimostrata la diretta corrispondenza tra l’esigenza di sostenere i livelli di servizio nell’ambito della complessiva ristrutturazione organizzativa dell’azienda e l’avvio di una procedura di mobilità su base nazionale”, con la conseguenza che “sarebbe stato… onere di parte ricorrente provare l’estraneità della propria assunzione a tempo determinato rispetto al piano di attuazione dei processi di riposizionamento delle risorse”; ha individuato la regola di distribuzione dell’onere probatorio ed ha statuito come nella fattispecie in esame, in ragione della contestazione fatta dalla lavoratrice, fosse onere di parte datoriale dimostrare “l’effettiva sussistenza di oggettive ragioni, idonee a giustificare l’apposizione della clausola di durata nonchè del nesso causale tra le stesse ed il contratto in esame”, (cfr. pag. 5, primo capoverso della sentenza d’appello).

8. Non è quindi ravvisabile una omessa pronuncia della Corte territoriale sulla censura di violazione, con la sentenza di primo grado, dell’art. 112 c.p.c., e correttamente, seppure in modo implicito, la Corte d’appello ha ritenuto contestata, ad opera della lavoratrice, l’esistenza dei presupposti di legittimità della clausola appositiva del termine ed il nesso causale tra le esigenze addotte e l’assunzione oggetto di causa. Difatti, nel ricorso introduttivo della lite, come riportato in calce al ricorso per cassazione (cfr. pag. 31), sono richiamate (insieme ad altre causali effettivamente non pertinenti) le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001 ed è specificato come “nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso di specie”. Inoltre, è aggiunto a pag. 34: “Quali – nuovi processi produttivi – connessi alle semplici mansioni di portalettere richiedono la soluzione della temporaneità del rapporto? Sarebbe stato onere del datore di lavoro indicarli giustificando in tal modo il necessario nesso di causalità tra l’assunzione a tempo ed i nuovi processi”. Non solo, la stessa società, nel ricorso per cassazione (pag. 2 e 8), ha riportato le deduzioni della ricorrente in primo grado come comprensive della “insussistenza di nesso causale intercorrente tra le asserite esigenze di ristrutturazione aziendale e la singola assunzione a termine”.

9. Col terzo motivo Poste Italiane spa ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte territoriale interpretato la suddetta disposizione del decreto legislativo come fondante l’onere di prova, a carico di parte datoriale, delle ragioni legittimanti la stipula ex novo di un contratto a termine, e non solo della sua proroga. Inoltre, per non avere la Corte territoriale considerato assolto detto onere probatorio attraverso gli accordi sulla mobilità prodotti in primo grado (doc. 11 – 14) e riprodotti in calce al ricorso in Cassazione.

10. Il motivo è infondato. Come più volte ribadito da questa Corte, l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a soddisfare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto, (cfr. Cass. n. 21701 del 2016; Cass. n. 24954 del 2014; Cass. n. 1931 del 2011; Cass. n. 10033 del 2010).

11. L’interpretazione riportata è in linea con la direttiva comunitaria 1999/70/CE e con l’accordo quadro in essa trasfuso, come interpretata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 23 aprile 2009, in causa C-378107 ed altre; sentenza del 22 novembre 2005, in causa C-144104), la cui disciplina non è limitata al solo fenomeno della reiterazione dei contratti a termine (ossia ai lavoratori con contratti di lavoro a tempo determinato successivi) ma si estende a tutti i lavoratori subordinati con rapporto a termine indipendentemente dal numero di contratti stipulati dagli stessi, rispetto ai quali la clausola 8, n. 3 (cosiddetta clausola “di non regresso”) dell’accordo quadro prevede – allo scopo di impedire ingiustificati arretramenti di tutela nella ricerca di un difficile equilibrio tra esigenze di armonizzazione dei sistemi sociali nazionali, flessibilità del rapporto per i datori di lavoro e sicurezza per i lavoratori – che l’applicazione della direttiva “non costituisce un motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo” (cfr., Cass. n. 1931 del 2011; Cass. n. 23312 del 2015).

12. Quanto al secondo profilo, è del tutto erronea la tesi della società ricorrente secondo cui sarebbe stato onere di controparte provare l’estraneità della sua assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno al contratto (cfr. Cass. n. 24881 del 2015; Cass. n. 24954 del 2014).

13. La sentenza impugnata, dopo aver esaminato e valutato il contenuto degli accordi richiamati in contratto, ha rilevato come gli stessi dimostrassero soltanto la sussistenza sul piano nazionale di un processo riorganizzativo in atto, ma nulla specificassero in ordine al nesso causale tra tali esigenze e la assunzione a termine in oggetto. Tale accertamento, conforme ai principi sopra richiamati, risulta congruamente motivato e resiste alle censure della ricorrente.

14. Col quarto motivo Poste Italiane spa ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,artt. 115 e 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte territoriale, attraverso la pretesa di prova del nesso causale tra le ragioni di carattere tecnico, organizzativo o sostitutivo e la specifica assunzione a termine, ignorato la dimensione nazionale del fenomeno e travalicato la lettera del citato art. 1.

15. Il motivo è infondato in base alle stesse argomentazioni svolte ai paragrafi nn. 10-13 e quale logica implicazione della necessità di prova, con onere a carico di parte datoriale, del concreto nesso causale tra le esigenze riorganizzative aziendali e la singola assunzione a termine.

16. Col quinto motivo Poste Italiane spa ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,244 e 253 c.p.c., art. 437 c.p.c., comma 2, (art. 360 c.p.c., n. 3) per la mancata ammissione della prova orale dedotta col capitolo n. 33, pag. 24 della memoria di costituzione in primo grado, reiterata a pag. 27 del ricorso in appello, “idonea… a fornire adeguata dimostrazione delle (concrete) esigenze sottese alla singola assunzione”.

17. Il motivo è infondato. Occorre premettere che il giudizio sulla idonea specificazione dei fatti dedotti nei capitoli di prova costituisce apprezzamento di merito non suscettibile di sindacato in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 2446 del 2000; Cass. n. 1513 del 1997) e che la mancata ammissione di un mezzo istruttorio si può tradurre in un vizio di motivazione della sentenza denunziabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile al caso in esame nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1 lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012), quando il vizio stesso emerga dal ragionamento posto a base della decisione (che si riveli incompleto, incoerente e illogico) e il ricorrente indichi specificamente le circostanze di fatto oggetto della prova ed il nesso di causalità tra l’asserita omissione e la decisione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo sulla decisività della prova non ammessa, controllo che deve peraltro essere compiuto esclusivamente sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso, senza possibilità di colmare le eventuali lacune con indagini integrative (cfr. Cass. n. 10913 del 1998; Cass. n. 8529 del 1996, Cass. n. 9208 del 1995; Cass. n. 8831 del 1992).

18. Nella sentenza impugnata, la Corte di merito ha definito irrilevante, ai fini di causa, il capitolo di prova n. 33 perchè formulato in modo generico in quanto volto a dimostrare che all’epoca dell’assunzione dell’appellata la fase attuativa delle procedure di mobilità avesse “prodotto effetti diretti” anche sull’unità produttiva cui la medesima addetta. In tal modo la Corte territoriale ha implicitamente rilevato, con ragionamento immune da vizi logici, come in nessun modo tali effetti fossero individuati nè individuabili, pur attraverso una lettura del capitolo di prova in relazione agli altri atti di causa ed alle deduzioni delle parti (cfr. Casss., n. 10361 del 1995).

19. Col sesto motivo Poste Italiane spa ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, art. 12 disp. gen., artt. 1362 e 1419 cod. civ.(art. 360, n. 3) per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che dalla illegittima apposizione del termine dovesse derivare la conversione del contratto in un rapporto a tempo indeterminato, in tal modo facendo derivare dalla violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 una sanzione non prevista dal legislatore del 2001 (contrariamente a quanto sancito dalla L. n. 230 del 1962, art. 1, comma 1), che ha limitato la conversione in rapporto a tempo indeterminato alle ipotesi espressamente contemplate dall’art. 5, commi 2 e 3.

20. Il motivo è infondato. E’ consolidato l’orientamento di legittimità secondo cui il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 ha confermato il principio generale in base al quale il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria anche nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. Ne deriva che, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative, e pur in assenza di una norma che ne sanzioni espressamente la mancanza, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, all’illegittimità del termine, ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso, consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola, pur se eventualmente dichiarata essenziale, e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, (cfr. Cass. n. 17264 del 2016; Cass. n. 7244 del 2014).

21. Col settimo motivo Poste Italiane spa ha dedotto violazione e falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, art. 429 c.p.c., comma 3 (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte d’appello condannato la società datoriale a corrispondere, sulla somma liquidata a titolo di risarcimento forfettario del danno ai sensi del citato art. 32, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali benchè non dovuti in ragione del carattere omnicomprensivo dell’indennità ivi prevista; comunque, per avere riconosciuto gli accessori suddetti a far data dalla scadenza del termine originariamente apposto al contratto, anzichè dalla data della sentenza dichiarativa della nullità del termine.

22. Il motivo è fondato nei limiti che seguono.

23. Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, in tema di risarcimento del danno per i casi di conversione del contratto di lavoro a tempo determinato, lo “ius superveniens” L. n. 183 del 2010, ex art. 32, commi 5, 6 e 7, (applicabile nel giudizio pendente in grado di legittimità qualora pertinente alle questioni dedotte nel ricorso per cassazione) configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, e poi della norma di interpretazione autentica dettata dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13, una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale aliunde perceptum), trattandosi di indennità “forfettizzata” e “onnicomprensiva” per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto “intermedio”, compreso cioè tra la scadenza del termine e la sentenza di conversione, (cfr. Cass. n. 3027 del 2014; Cass. n. 3056 del 2012).

24. L’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 pur avendo funzione risarcitoria, rientra tra i crediti di lavoro, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., comma 3, espressione non suscettibile di una lettura restrittiva che ne circoscriva l’ambito di applicazione ai crediti di natura retributiva (cfr. sul punto Cass. n. 1000 del 2003; Cass., n. 9689 del 1998; Cass., n. 3064 del 1987). Difatti, la pretesa risarcitoria del lavoratore, sebbene non sinallagmaticamente collegata alla prestazione lavorativa, rappresenta pur sempre l’utilità economica che lo stesso avrebbe tratto dall’esecuzione della prestazione, se non impedita dall’illegittimo comportamento datoriale, ed esattamente dalla scadenza del termine nullo apposto al contratto (cfr. Cass. n. 11354 del 2004; Cass. n. 1000 del 2003; Cass. n. 10043 del 1996; Cass. n. 4672 del 1993).

25. Alla luce in tali considerazioni, deve ritenersi infondata la prima censura di cui al settimo motivo di ricorso.

26. Quanto alla decorrenza degli accessori di cui all’art. 429 c.p.c., oggetto della seconda censura, occorre tener conto della forfettizzazione del danno, normativamente stabilita, e della idoneità dell’indennizzo, liquidato in base ai parametri richiamati dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 ad assorbire ogni possibile pregiudizio subito dal lavoratore a causa della nullità del termine apposto al contratto, in relazione al periodo cd. intermedio, come ora espressamente disposto dalla norma di interpretazione autentica di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13 (“la disposizione di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32,comma 5 si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”). Se pertanto l’indennità forfettizzata comprende, in relazione al periodo intermedio, anche il danno emergente e il lucro cessante, gli accessori ex art. 429 c.p.c. sul credito del lavoratore non possono che decorrere dalla cessazione del suddetto periodo e, quindi, dalla sentenza che dichiara la nullità del termine e dispone la conversione del rapporto. Fino a questo momento ogni voce risarcitoria deve ritenersi inclusa nell’indennizzo, (cfr. Cass., n. 8747 del 2014; Cass., n. 3027 del 2014 e, in motivazione, ex plurimis, Cass., n. 6031 del 2016; Cass., n. 2660 del 2017).

27. A tale indirizzo si ritiene di dover dare continuità, rispetto al diverso orientamento che, in una fattispecie sovrapponibile a quella in esame, di riconoscimento nel giudizio di appello dell’indennizzo di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, ha individuato nella pronuncia della sentenza di secondo grado il momento di decorrenza di interessi e rivalutazione sul rilievo che: “al momento in cui fu dichiarata la nullità del termine e fu disposta in primo grado la ricostituzione del rapporto con risarcimento del danno (…) non era ancora esistente la L. n. 183, che sarebbe intervenuta solo nel 2010”, (in tal senso, Cass. 3062 del 2016).

28. In realtà, il fatto che, all’epoca di pronuncia della sentenza dichiarativa della nullità del termine, non fosse stata ancora emanata la L. n. 183 del 2010 non costituisce un ostacolo all’interpretazione a cui si intende dare continuità posto che la stessa legge, all’art. 32, comma 7, ha sancito l’applicabilità delle disposizioni di cui ai precedenti commi 5 e 6 ai giudizi pendenti alla data della sua entrata in vigore. Con la conseguenza che, per effetto della fictio iuris in cui si sostanzia la retroattività, che comporta una dissociazione della realtà giuridica dal dato storico (cfr. Cass. n. 2871 del 1968; Cass. n. 1428 del 1966), la regola del risarcimento attraverso l’indennizzo forfettizzato e omnicomprensivo deve considerarsi come esistente già all’epoca di realizzazione del danno e maturazione del credito risarcitorio in capo al lavoratore coincidente con la scadenza del termine nullo, e tale da sostituirsi alle diverse disposizioni a quel tempo in vigore ed applicate dal giudice di primo grado.

29. La censura sollevata da Poste Italiane spa, quanto alla decorrenza di interessi e rivalutazione sull’indennizzo di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 risulta quindi fondata e, nei limiti di essa, deve trovare accoglimento il settimo motivo di ricorso.

30. In conclusione, respinti i primi sei motivi di ricorso integralmente e parzialmente il settimo, la sentenza d’appello deve essere cassata nei limiti dell’accoglimento del settimo motivo. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la causa può essere decisa nel merito dichiarando che la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sono dovuti dal datore di lavoro, sull’indennità liquidata ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, a far data dalla sentenza dichiarativa della nullità del termine coincidente, nel caso in esame, con la pronuncia di primo grado.

31. Il limitato parziale accoglimento del ricorso induce a compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità ed a tener ferma la statuizione sulle spese adottata dalla Corte di appello.

P.Q.M.

La Corte accoglie il settimo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, respinti i residui motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, dichiara dovuti interessi legali e rivalutazione monetaria sull’indennità liquidata L. n. 183 del 2010, ex art. 32 dalla data della sentenza di primo grado.

Conferma le statuizioni sulle spese dei gradi di merito. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2018

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