Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5948 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2022, (ud. 14/12/2021, dep. 23/02/2022), n.5948

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20843/2020 proposto da:

C.O., rappresentato e difeso dall’avvocato Valentina

Picchioni;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura

Generale dello Stato e domiciliato presso i suoi uffici in Roma via

dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso il decreto n. cronol. 1465/2020 del Tribunale de L’Aquila,

depositato il 9/6/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA

IOFRIDA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale de L’Aquila, con decreto n. cronol. 1465/2020, depositato il 9/6/2020, ha respinto la richiesta di C.O., cittadino della Guinea Bissau di riconoscimento, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o umanitaria.

In particolare, i giudici di merito hanno rilevato che: il racconto del richiedente (avere lasciato la Guinea Bissau nel 2016, temendo di essere ucciso da uno zio, che si era impossessato di terreni e case di proprietà, alla morte del padre, un funzionario governativo, falsificando dei documenti, e, dopo che egli aveva sporto denuncia alle Autorità, senza esito, lo aveva anche minacciato) era non credibile e comunque integrante una mera vicenda di vita privata infra-familiare (la circostanza che i funzionari di polizia si sarebbero rifiutati, dopo la denuncia del richiedente, di prendere provvedimenti, perché lo zio era “il Capo della Polizia”, oltre che non provata, non era significativa, poiché il ricorrente, figlio di un funzionario governativo, avrebbe potuto rivolgersi ad altre autorità per ricevere tutela) e non integrante effettivo rischio attuale di danno grave (avendo il richiedente con la fuga dimostrato di avere abbandonato ogni pretesa di rivendicare la proprietà dei beni usurpati dallo zio); quanto alla protezione sussidiaria, la Guinea Bissau non era interessata da situazioni di violenza indiscriminata, sulla base delle fonti consultate ((OMISSIS)); né ricorrevano i presupposti per la chiesta protezione umanitaria, non essendo state allegate situazioni di vulnerabilità, con riferimento al Paese d’origine, diverse da quelle poste a base delle c.d. protezioni maggiori e comunque risultando l’impegno lavorativo in Italia del tutto saltuario né emergendo una malattia in atto (essendo solo stata allegata certificazione medica risalente al 2017, attestante la positività agli anticorpi contro l’antigene core dell’HBV).

Avverso la suddetta pronuncia, C.O. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione). E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.M. 4 agosto 2019, Lista dei Paese d’origine sicuri, essendo stato adottato il provvedimento impugnato in violazione del D.M., art. 2, che impone, al comma 2, un’istruttoria adeguata; b) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della Convenzione di Ginevra del 1951, art. 1, e relativo protocollo adottato a new York nel 1967, in relazione al diniego di riconoscimento dello status di rifugiato; c) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g), in relazione al diniego di altra forma di protezione, sussidiaria, a fronte dei rischi di danno grave allegati; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e degli artt. 2 e 10 Cost., con riguardo al diniego di protezione umanitaria malgrado la situazione instabile ed allarmante del Paese d’origine ed il “processo di integrazione in atto” del richiedente; s) con il quinto motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, rappresentato dalla documentazione allegata sull'”attività lavorativa”, del tutto ignorata dal Tribunale.

2. Preliminarmente, deve essere rilevato che la procura, apposta su foglio separato e materialmente congiunto all’atto, è priva della certificazione dal secondo della data di rilascio, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, (recando unicamente l’autenticazione della firma con la seguente formula: “E’ autentica”), con conseguente inammissibilità del ricorso per effetto della sentenza n. 15177 delle Sezioni Unite di questa Corte.

3. Orbene, con sentenza n. 15177/2021, le Sezioni Unite, componendo un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che l’art. 35 bis, comma 13 citato, (nel testo risultante dalla conversione del D.L. n. 13 del 2017, con modificazioni, ad opera della L. 13 aprile 2017, n. 46), nella parte in cui prevede che “la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione deve essere conferita, a pena di inammissibilità del ricorso, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato” e che “a tal fine il difensore certifica la data del rilascio in suo favore della procura medesima”, richiede, quale elemento di specialità, rispetto alle ordinarie ipotesi di rilascio della procura speciale, regolate dagli artt. 83 e 365 c.p.c., il requisito della posteriorità della data rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato: appunto prevedendo una speciale ipotesi di inammissibilità del ricorso nel caso di mancata certificazione della data di rilascio della procura in suo favore da parte del difensore, integrante ipotesi di nullità per il suo invalido conferimento (Cass. SU 10 giugno 2021, n. 15177).

4. In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso senza assunzione di un provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il Ministero vittorioso svolto attività difensive.

5. Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto, con la precisazione che esso va posto a carico del ricorrente dandosi seguito alla citata sentenza delle Sezioni Unite nella quale sul punto è stato affermato il seguente principio di diritto: “il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, in caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione conseguente alla mancata presenza, all’interno della procura speciale, della data o della certificazione del difensore della sua posteriorità rispetto alla comunicazione del provvedimento impugnato, va posto a carico della parte ricorrente e non del difensore, risultando la procura affetta da nullità e non da inesistenza”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera, di consiglio, il 14 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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