Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5946 del 08/03/2017

Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 30/11/2016, dep.08/03/2017),  n. 5946

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14338-2010 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA LARGO TRIONFALE

7, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELLA ANTRILLI, rappresentato

e difeso dall’avvocato DOMENICO GUGLIELMI giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 172/2003 della COMM.TRIB.REG. DELL’ABRUZZO

SEZ.DIST. di PESCARA, depositata il 10/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GUGLIELMI che ha chiesto

l’accoglimento con rinvio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

P.G. proponeva ricorso dinanzi alla C.T.P. di Chieti avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso IRPEF per gli anni di imposta dal 1992 al 2000, chiedendo l’applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 34 sulla parte riferita al c.d. “decimo” della sua pensione privilegiata ordinaria.

La commissione tributaria adita accoglieva il ricorso disponendo il rimborso della ritenuta IRPEF operata sulle somme riscosse, limitatamente a quella parte di pensione concessa a titolo di aumento del decimo ai sensi del D.P.R. n. 1092 del 1973, art. 67, comma 4.

Proposto appello dall’Agenzia delle Entrate, la C.T.R dell’Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, con sentenza del 10 dicembre 2003, in accoglimento del gravame, dichiarava legittimo il rifiuto del rimborso. Avverso la suddetta decisione, il contribuente propone ricorso per cassazione, notificato il 20 maggio 2010, sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 31, per avere la segreteria della commissione tributaria regionale omesso di dare comunicazione della data dell’udienza di trattazione, precludendo così alla parte di depositare memorie integrative e di partecipare all’udienza all’esito della quale venne decisa la causa.

Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 37, per avere la segreteria della commissione tributaria regionale omesso di comunicare all’odierno ricorrente il dispositivo della sentenza emessa.

Con il terzo motivo si contesta nel merito la sentenza impugnata.

Il ricorrente formula istanza di rimessione in termini, poichè solo in data 6 novembre 2009, essendo stata emessa la sentenza in violazione del contraddittorio e stante la mancata comunicazione del dispositivo, aveva avuto conoscenza della pronuncia depositata il 10 dicembre 2003.

2. I tre motivi di ricorso, in quanto connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Va, al riguardo, preliminarmente osservato che l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 184 bis c.p.c. (nella specie applicabile ratione temporis, abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46 e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2), trova applicazione, alla luce dei principi costituzionali di tutela delle garanzie difensive e del giusto processo, non solo con riguardo alla decadenza dai poteri processuali interni al giudizio, ma anche a situazioni esterne al suo svolgimento, quale la decadenza dal diritto di impugnazione (Cass. n. 3277 del 2012).

Tanto premesso, ritiene la Corte che la nullità della sentenza di primo grado, per violazione del contraddittorio stante l’omessa comunicazione alla parte costituita della data di trattazione dell’udienza all’esito della quale è stata assunta la decisione, non fa venir meno l’obbligo per la parte illegittimamente pretermessa dallo svolgimento di alcune delle attività processuali di rispettare, ai fini della proposizione dell’impugnazione, il termine c.d. lungo fissato dall’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza, termine che prescinde dal rispetto o meno dell’obbligo di comunicazione alle parti da parte della cancelleria. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto; tale errore sussiste, in particolare, allorchè la parte decaduta dall’impugnazione per l’avvenuto decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c. si dolga della non tempestiva comunicazione della sentenza da parte della cancelleria, posto che il termine di cui all’art. 327 c.p.c. decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, e non dall’omessa comunicazione da parte del cancelliere, non ravvisandosi in tale regime delle impugnazioni alcun dubbio di costituzionalità (Cass. n. 17704 del 2010).

Va, inoltre, osservato che qualora la parte sia costituita in giudizio a mezzo di un avvocato, rientra nei compiti professionali di questi il dovere di attivarsi e verificare, qualora non abbia ricevuto comunicazioni di cancelleria in una fase processuale in cui ne era destinatario, se a causa di un mancato adempimento di cancelleria siano state svolte attività processuali a sua insaputa. Nel caso di specie, sono passati circa sei anni tra l’udienza in cui è stata emessa la sentenza impugnata e la proposizione del ricorso per cassazione.

Alla stregua delle considerazioni svolte, resta assorbito il terzo motivo di ricorso, afferente al merito della controversia.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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