Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5944 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 23/02/2022), n.5944

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22794-2020 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILVIO

PELLICO 24, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VALVO,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO RAVONE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1260/10/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA SEZIONE DISTACCATA di LIVORNO, depositata il

19/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

Questa Corte con sentenza n. 28172/2017 accoglieva il secondo motivo di ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di D.G. avverso la pronuncia della CTR, Toscana, sez. distaccata di Livorno, richiamando il principio che in tema di imposte sui redditi, costituisce causa ostativa alla presentazione della dichiarazione integrativa, di cui al D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, comma 8, la notifica della contestazione di una violazione commessa nella redazione di precedente dichiarazione, in quanto se fosse possibile porre rimedio alle irregolarità anche dopo la contestazione delle stesse la correzione si risolverebbe in un inammissibile strumento di elusione delle sanzioni previste dal legislatore.

La CTR della Toscana, sez. distaccata di Livorno, in sede di rinvio, avanti al quale il giudizio veniva riassunto, rigettava l’appello di D.G. proposto avverso la pronuncia della CTP di Livorno la quale con sentenza n. 208 del 2016, aveva respinto il ricorso con cui era stato impugnato l’avviso di accertamento che aveva tratto origine dal disconoscimento da parte dell’Agenzia delle Entrate di una dichiarazione integrativa.

Il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Con l’unico motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione di legge, del D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 13, della L. n. 4 del 1929, art. 24, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma, della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c..

Si sostiene che il giudice del rinvio avrebbe errato nel qualificare la richiesta di chiarimenti inviata dall’Ufficio alla stregua di un atto di contestazione per quello che concerne lo sbarramento temporale che preclude la dichiarazione integrativa.

Il motivo è infondato.

Costituisce principio consolidato (da ultimo Cass. n. 9156 del 2019; Cass. n. 5137 del 2019) che la riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio instauri un processo chiuso, nel quale è preclusa alle parti, tra l’altro, ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Cassazione (Cass. n. 25244 del 2013). Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione diversi da quelli che erano stati formulati nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l’effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall’altro, la formazione del giudicato interno (Cass. n. 4096 del 2007; Cass. n. 13719 del 2006; in senso analogo, Cass. n. 13006 del 2003).

La riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura, dunque, non già come atto di impugnazione, ma come attività d’impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata (cfr. giurisprudenza costante di questa Corte: Cass. n. 25244 del 2013, cit.; cfr. Cass. n. 4018 del 2006). Non senza dimenticare che a tali regole si aggiunge quella secondo cui, in tema di ricorso avverso sentenza emessa in sede di rinvio, ove sia in discussione, in rapporto al petitum concretamente individuato dal giudice di rinvio, la portata del decisum della sentenza di legittimità, la Corte di cassazione, nel verificare se il giudice di rinvio si sia uniformato al principio di diritto da essa enunciato, deve interpretare la propria sentenza in relazione alla questione decisa e al contenuto della domanda proposta in giudizio dalla parte, con la quale la pronuncia rescindente non può porsi in contrasto (Cass. n. 3955 del 2018).

Peraltro, altrettanto consolidato è il principio secondo cui i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice deve soltanto uniformarsi, ex art. 384 c.p.c., comma 1, al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo; mentre, nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme le preclusioni e decadenze già verificatesi; nella terza, infine, la sua potestas iudicandi, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione, nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass. n. 17790 del 2014; conf. Cass. n. 13719 del 2006).

Ciò premesso, la Corte di merito, nel rispetto della specifica latitudine attribuita dalle coordinate apposte dal giudice di legittimità all’ambito decisionale nel giudizio di rinvio, ha qualificato la richiesta di chiarimenti inviata dall’Ufficio, quale atto di contestazione ritenendo che Ci fosse il presupposto che determina l’applicazione della sanzione così come indicato dalla Cassazione nella pronuncia n. 28172 del 2017.

La censura prospettata dal ricorrente si risolve in una critica alla qualificazione operata dalla CTR sulla base del principio di diritto enunciato dalla Corte non consentita in questa sede se non negli stretti limiti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 qui neppure invocato.

Il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri normativi vigenti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 2.300,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore contributo se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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