Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5943 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. I, 11/03/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 11/03/2010), n.5943

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.G. (c.f. (OMISSIS)), M.C.

(c.f. (OMISSIS)), M.A.M. (c.f.

(OMISSIS)), R.A. (c.f. (OMISSIS)), C.

N.F. (c.f. (OMISSIS)), D.V. (c.f.

(OMISSIS)), P.A. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso

l’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che li rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del

Consiglio dei Ministri pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

M.C., M.A.M., R.A., C.

N.F., D.V., P.A., R.

G.;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

23/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/10/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione del ricorso principale e rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 23.10.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulle domande di equa riparazione ex Lege n. 89 del 2001 proposte dagli intestati ricorrenti (il R. quale erede di M.M.L.) nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dai medesimi promosso con ricorso depositato nel mese di Maggio del 1997 avanti al TAR del Lazio, al fine di ottenere il riconoscimento dell’ottava qualifica e deciso con sentenza del 5.10.2004 – riteneva che la durata del procedimento non fosse ragionevole nella misura di anni, quattro e liquidava a favore di ciascuno la somma di Euro 3.000,00 a titolo di danno non patrimoniale con gli interessi dalla data del decreto.

Avverso detto decreto propongono ricorso per cassazione gli originari ricorrenti che deducono quattro motivi di censura illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso la Presidenza del Consiglio che propone anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e incidentale, vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza.

Con il primo motivo del ricorso principale i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello, dopo aver determinato in anni tre la durata ragionevole del procedimento presupposto, abbia ritenuto irragionevoli anni quattro nonostante il procedimento si fosse protratto per anni sette e mesi cinque (Maggio 1997-Ottobre 2004), ignorando in tal modo gli ulteriori cinque mesi.

La censura è fondata.

Determinata da parte del giudice di merito la durata ragionevole del procedimento, tutto il restante periodo, ivi compresa anche la porzione dell’anno, va considerato non ragionevole e valutato ai fini del computo della relativa indennità prevista dalla L. n. 89 del 2001. Erroneamente pertanto la Corte d’Appello, pur in presenza di un periodo di anni quattro e mesi cinque successivo a quello considerato ragionevole (anni tre), ha riconosciuto ai fini della determinazione dell’indennizzo solo anni quattro, tralasciando di considerare la porzione di mesi cinque di cui va invece tenuto conto.

Sul punto il decreto va pertanto cassato.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 6, 13 e 1 della CEDU. Lamentano che la Corte d’Appello, nel liquidare la somma di euro 3.000,00 a favore di ciascuno, si sia mantenuta ben al di sotto dei parametri europei e non abbia considerato altresì che trattavasi di controversia in materia di lavoro.

La censura è fondata nei limiti che saranno qui di seguito precisati.

La Corte d’Appello, nel riconoscere la complessiva somma di Euro 3.000,00 a titolo di equo indennizzo a ciascuno dei ricorrenti, non si è attenuta ai parametri fissati dalla Corte europea, che riconosce in linea di massima un indennizzo oscillante fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per ogni anno di durata non ragionevole, pur non escludendo la possibilità di un indennizzo minore quando le circostanze lo giustifichino. Ma al riguardo la Corte d’Appello ha operato solo un generico riferimento “all’entità della pretesa fatta valere” prima di limitarsi a riconoscere la somma di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo.

Deve invece essere disattesa la tesi che collega il riconoscimento di un indennizzo maggiore alla natura della controversia del giudizio presupposto in quanto vertente in materia di lavoro, non essendo previsto dalla legislazione nazionale la necessità di un tale riferimento e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarità della fattispecie sulla quale nulla è stato però detto al di là di un generico richiamo al carattere, assistenziale della controversia.

Conseguentemente non rimane che riconoscere la somma di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, in linea con detti parametri fissati in via di massima dalla giurisprudenza europea.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè dell’art. 1173 c.c.. Lamentano che la Corte d’Appello abbia liquidato gli interessi con decorrenza dalla data del decreto anzichè, come avrebbe dovuto, dalla domanda.

La censura è fondata.

Gli interessi sulla somma riconosciuta all’esito del giudizio non possono che decorrere dalla domanda la quale costituisce anche un atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1295 c.c.. Conseguentemente anche sotto tale profilo il decreto deve essere cassato.

Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., nonchè del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5. Sostengono che la Corte d’Appello, nel liquidare le spese in complessive Euro 1.575,00 di cui Euro 1.200,00 per onorario, si sia tenuta al di sotto dei minimi tariffari.

La censura deve ritenersi assorbita in quanto, a seguito della cassazione del decreto impugnato, questa Corte deve provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di merito, spese che si distraggono a favore del difensore e che si liquidano come in dispositivo, per l’intero, quanto al giudizio di merito e, nella misura di due terzi, quanto al giudizio di legittimità in considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale la Presidenza del Consiglio lamenta che la Corte d’Appello abbia omesso qualsiasi considerazione in ordine alle deduzioni espresse in quella sede con cui si era chiesto se le controparti avessero acquisito, a seguito della produzione di ben otto sentenze del Consiglio di Stato anteriore all’introduzione del ricorso riguardanti le medesime rivendicazioni, la piena consapevolezza dell’infondatezza della pretesa fatta valere in giudizio. Sostengono altresì che, quantomeno, tali argomentazioni sono idonee a giustificare il minor importo liquidato.

Il ricorso è infondato.

In primo luogo si osserva che il quesito ex art. 366 bis c.p.c., può ritenersi sufficientemente formulato anche se non evidenziato come tale topograficamente ed è quindi consentito esaminare il merito della censura.

Orbene, la consapevolezza di una giurisprudenza contraria alle aspettative affidate al procedimento non esclude l’intima speranza di vederla ribaltata ed il conseguente stato d’ansia dovuta all’attesa dell’esito finale; ciò tanto più se si consideri che la questione era tutt’altro che pacifica dato che lo stesso giudice amministrativo aveva ritenuto di dover disporre la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

L’impugnato decreto deve essere pertanto cassato e, ricorrendo le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, liquida a ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 4.450,00 con gli interessi dalla domanda.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione e rigetta l’incidentale. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero al pagamento a favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 4.450,00 oltre agli interessi dalla domanda. Condanna inoltre il Ministero al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida, quanto al giudizio avanti alla Corte d’Appello, in Euro 846,00 per diritti, in Euro 800,00 per onorario ed in Euro 100,00 per esborsi oltre agli accessori di legge. Compensa per un terzo le spese processuali del giudizio di legittimità e condanna il Ministero al pagamento dei rimanenti due terzi che liquida per l’intero in Euro 1.000,00 per onorario ed in Euro 100,00 per spese oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

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