Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5942 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. I, 11/03/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 11/03/2010), n.5942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29992/2008 proposto da:

D.G.S. (c.f. (OMISSIS)), D.B. (c.f.

(OMISSIS)), G.G. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANDREA DORIA 48, presso

l’avvocato ABBATE Ferdinando Emilio, che li rappresenta e difende,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSGILIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

22/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/10/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 22.10.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex L. n. 89 del 2001, proposta da D.G.S., D.B. e G. G. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dai medesimi promosso con ricorso depositato nel mese di Aprile 1993 avanti al TAR del Lazio al fine di ottenere l’adeguamento triennale – ex L. n. 27 del 1981, dell’indennità giudiziaria percepita ai sensi della L. n. 221 del 1988, e deciso, dopo, la rimessione degli atti, con provvedimento dell’1.12.1994, alla Corte Costituzionale che li aveva restituiti il 16.2.1996, con sentenza depositata in data 3.12.2004 – riteneva che, dovendosi considerare ragionevole la durata di anni tre e mesi sei, non fosse ragionevole nella misura di anni otto, e Liquidava a favore di ciascuno la somma di Euro 8.000,00 a titolo di danno non patrimoniale, pari ad Euro 1.000,00 per ogni anno, oltre agli interessi dalla data del decreto.

Avverso detto decreto propongono ricorso per cassazione gli stessi originari ricorrenti che deducono tre motivi di censura illustrati anche con memoria.

La Presidenza del Consiglio non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello abbia ritenuto ragionevole la durata di anni tre e mesi sei e riconosciuto una durata non ragionevole di anni otto in presenza di un procedimento protrattosi per anni undici e mesi otto (aprile 1993-dicembre 2004) e non abbia altresì tenuto conto dell’ulteriore frazione di otto mesi.

La censura è infondata.

Nel determinare in anni tre e mesi sei la durata ragionevole del procedimento presupposto, la Corte d’Appello non si è sostanzialmente discostata dai parametri europei che fissano, ma solo di massima, in anni tre tale durata, avendo evidentemente considerato un ulteriore periodo di mesi sei in presenza del giudizio incidentale di costituzionalità che ha comportato la sospensione del giudizio presupposto per un periodo, peraltro, ben più lungo.

Nè può trovare accoglimento la censura nella parte in cui lamenta la mancata considerazione della residua durata di mesi due. L’estrema brevità di tale ulteriore periodo indicato dai ricorrenti (appena due mesi e forse anche molto meno non risultando il giorno preciso del deposito del ricorso in quanto viene indicato solo che è avvenuto nel gennaio 1995) non rende apprezzabile e riconoscibile una maggiore durata rispetto a quella determinata dalla Corte d’Appello la quale, dopo aver indicato in anni cinque la durata ragionevole dei due gradi giudizio (TAR e Consiglio di Stato), ha fissato in anni sei quella non ragionevole nell’ambito dell’intero procedimento protrattosi dal gennaio 1995 al 6.3.2006.

Rimane tuttavia un residuo periodo di mesi due rispetto agli anni otto riconosciuti in sede di merito e non v’è motivo per non riconoscerlo.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ancora violazione dell’art. 2 della Legge 89/01 nonchè dell’art. 1173 c.c.. Lamentano che la Corte d’Appello abbia liquidato gli interessi dalla data del decreto anzichè, come avrebbe dovuto, dalla domanda.

Tale censura è fondata.

Gli interessi sulla somma riconosciuta all’esito del giudizio non possono che decorrere dalla domanda la quale costituisce anche un atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1295 c.c.. Conseguentemente anche sotto tale profilo il decreto deve essere cassato.

Con il terzo motivo “i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., nonchè del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5. Sostengono che la Corte d’Appello, nel liquidare le spese in complessivi Euro 750,00 oltre all’aumento del 20%, non abbia tenuto conto che trattavasi di tre procedimenti separati, riuniti solo all’esito delle singole discussioni, e si sia tenuta così al di sotto dei minimi tariffari.

La censura deve ritenersi assorbita in quanto, a seguito della disposta cassazione del decreto impugnato, questa Corte deve provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di merito, spese che si distraggono a favore del difensore e che si liquidano come in dispositivo unitamente a quelle relative al presente giudizio di legittimità che si compensano per la metà in considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e ricorrendo quindi le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, liquida gli interessi dalla domanda.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio al pagamento a favore di ciascuno dei ricorrenti degli interessi con decorrenza dalla domanda.

Condanna inoltre la stessa Amministrazione al pagamento delle spese processuali del giudizio di merito che distrae a favore del difensore e che liquida in Euro 796,00 per diritti, in Euro 700,00 per onorario ed in Euro 100,00 per esborsi oltre accessori. Compensa per due terzi le spese del giudizio di legittimità e condanna la Amministrazione al pagamento del rimanente terzo che liquida per l’intero in Euro 900,00 per onorario ed in Euro 100,00 per spese oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

 

 

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