Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5942 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2021, (ud. 13/11/2020, dep. 04/03/2021), n.5942

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 14745 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– Ricorrente –

contro

LUCOR s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, giusta procura a margine del controricorso,

dall’Avv. Vincenzo Taranto e dall’Avv. Vito Branca, elettivamente

domiciliata in Roma, Via Casetta Mattei, n. 239 presso lo studio

dell’Avv. Sergio Tropea;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 353/17/12 della Commissione tributaria

regionale della Sicilia – sez – di Catania depositata in data

11.12.2012;

udita nella camera di consiglio del 13.11.2020 la relazione svolta

dal consigliere Vincenzo Galati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Sicilia – sez. di Catania, ha riformato la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Catania che ha respinto il ricorso proposto dalla LUCOR s.r.l. avverso avviso di accertamento per IRES 2005, IRAP 2005 ed IVA 2005.

La CTR ha accolto il ricorso della contribuente a causa della ritenuta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, essendo originata la vicenda contenziosa da un processo verbale di constatazione (benchè denominato “processo verbale di accesso e richiesta documenti”) seguito dalla notifica di un verbale di accertamento senza il rispetto del termine di cui alla predetta norma e senza l’indicazione delle eventuali ragioni di urgenza.

Il processo verbale è stato definito e sottoscritto in data 11.11.2009 e l’avviso di accertamento notificato il 14.12.2009.

Ciò ha determinato, secondo la Commissione provinciale, la lesione del diritto al contraddittorio e, quindi, la nullità dell’accertamento.

La CTR ha rilevato, “in ogni caso”, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 4, ritenendo assorbiti tutti gli altri motivi.

Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandolo a sei motivi.

La controricorrente ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c..

Agli atti non è presente prova dell’avvenuta notificazione del controricorso mancando l’avviso di ricevimento dell’atto da parte della ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va escluso che, in difetto di notifica alla controparte, l’atto depositato dall’intimata possa qualificarsi come controricorso, giacchè il mero deposito non è sufficiente ad attivare il contraddittorio rispetto alla parte ricorrente: ne consegue che all’intimata non era neppure consentito il deposito di memorie ex art. 380bis 1 c.p.c., dovendosi quindi considerare “tamquam non esset” quella presente in atti (Cass. sez. 3, 5 dicembre 2014, n. 25735, Cass. sez. L., 9 settembre 2008, n. 22928).

Con il primo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in relazione alla L. n. 241 del 1990, art. 1, comma 2, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La norma asseritamente violata non potrebbe trovare applicazione ai processi verbali di accesso ed acquisizione di documenti.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in combinato disposto con la stessa legge, art. 7, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Nella fattispecie, la contribuente non ha mai contestato nel giudizio di merito la mancanza del requisito dell’urgenza di provvedere, essendosi limitata a denunciare il difetto di motivazione sul punto.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La CTR ha pronunciato la nullità dell’accertamento nonostante nessuna norma preveda tale conseguenza a seguito della violazione della disposizione di cui all’art. 12, comma 7, cit..

Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 4, in quanto non sarebbe necessario seguire alcun procedimento “aggravato” nel caso di contestazione di una fattispecie abusiva che è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado.

Il quinto motivo riguarda la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 e dell’art. 111 Cost., comma 6, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la CTR ritenuto configurabile la fattispecie dell’abuso del diritto senza fornire alcuna motivazione.

Con il sesto motivo si censura la sentenza per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (l’abuso del diritto) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo del tutto trascurato di rendere motivazione sul punto.

Il primo motivo denuncia la non necessità, nel caso di specie, del rispetto del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Esso è infondato.

In materia di contraddittorio endoprocedimentale vanno ricordati i fondamentali arresti delle Sezioni Unite che hanno dapprima affermato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, Comma 7, deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sè, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poichè detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio” (Cass. sez. un. 29 luglio 2013, n. 18184) e, successivamente, precisato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito” (Cass. sez. un., 9 dicembre 2015, n. 24823).

Nella seconda sentenza le Sezioni Unite hanno espressamente delimitato l’applicazione della norma rilevante nella presente controversia ai casi di “accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente” escludendo, gli accertamenti derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio in base alle notizie acquisite da altre pubbliche amministrazioni, da terzi o dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio (cd. “verifiche a tavolino”).

La portata dei principi affermati dalle due sentenze ora citate e dalla giurisprudenza sovranazionale formatasi nel complesso tema del contraddittorio endoprocedimentale tributario è stata, di recente, riassunta e ricondotta ad unità da altra fondamentale decisione di questa Sezione con la quale è stato deciso che: “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (cd. Statuto del contribuente), nelle ipotesi di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, opera una valutazione “ex ante” in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, sanzionando con la nullità l’atto impositivo emesso “ante tempus”, anche nell’ipotesi di tributi “armonizzati”, senza che, pertanto, ai fini della relativa declaratoria debba essere effettuata la prova di “resistenza”, invece necessaria, per i soli tributi “armonizzati”, ove la normativa interna non preveda l’obbligo del contraddittorio con il contribuente nella fase amministrativa (ad es., nel caso di accertamenti cd. a tavolino), ipotesi nelle quali il giudice tributario è tenuto ad effettuare una concreta valutazione “ex post” sul rispetto del contraddittorio” (Cass. sez. 5, 15 gennaio 2019, n. 701).

Ripercorrendo il quadro della normativa sovraordinata (in particolare art. 111 Cost.) e sovranazionale (Carta Europea diritti fondamentali, artt. 41 e 47) è stato evidenziato che quest’ultima offre una tutela molto più ampia di quella nazionale in quanto non limitata al processo giurisdizionale ma estesa ad ogni provvedimento individuale suscettibile di recare pregiudizio al cittadino.

Sono state richiamate così le considerazioni delle sentenze Kamino e Sopropè della Corte di Giustizia ed, in particolare, si sono evidenziate le condizioni alle quali il diritto nazionale può ritenersi rispettoso del diritto comunitario: l’obbligo del contraddittorio sussiste ogni volta che l’amministrazione deve adottare decisioni rientranti nella sfera di applicazione del diritto comunitario, anche quando la normativa comunitaria non preveda tale formalità; i termini, quando non sono fissati dal diritto comunitario, rientrano nella sfera del diritto nazionale purchè siano dello stesso genere di quelli di cui beneficiano i singoli o le imprese in situazioni di diritto nazionale comparabili e non rendano impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti della difesa conferiti dall’ordinamento comunitario (sul punto anche Corte di Giustizia 8.3.2017, Euro Park Service e 20.12.2017, Preqù Italia srl).

La sentenza ha ricordato come in un passaggio della decisione della Corte di Giustizia 9.11.2017, Ispas, è stato affermato che, in assenza di una disciplina unionale in tema di garanzie, spetta all’ordinamento degli stati membri stabilire le modalità tese a garantire la tutela dei diritti riconosciuti ai contribuenti in forza dei principi generali del diritto dell’Unione, primo fra tutti il diritto di difesa, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività.

La sentenza ha ricavato, dunque, due principi cardine del diritto comunitario in materia di contraddittorio endoprocedimentale: 1) il principio di equivalenza, nel senso che le tutele previste per i tributi armonizzati non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi procedimenti amministrativi; 2) il principio di effettività, nel senso che il contribuente deve essere messo in condizione di esercitare il contraddittorio.

La Corte ha segnalato, infine, tre punti fondamentali: 1) la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, non distingue tra tributi armonizzati e non; nel caso di accesso, ispezioni e verifica nei locali il legislatore ha operato una verifica “ex ante” in merito al rispetto del contraddittorio assorbendo così la prova di resistenza ed operando un bilanciamento degli interessi coinvolti per il caso in cui esistano esigenze di urgenza; 2) la prova di resistenza è limitata ai casi in cui manchi la previsione del legislatore nazionale circa la nullità per violazione del contraddittorio; le Sezioni Unite del 2015 non hanno introdotto alcun discrimine tra tributi armonizzati e non ma tra casi in cui esiste una normativa specifica (in tal caso si applica a tutti i tributi) e casi in cui tale normativa non esiste (in tal caso subentra il principio unionale); 3) anche per i tributi armonizzati si applica la prova di resistenza nel solo caso in cui la normativa interna non commini la sanzione della nullità.

In sostanza, la prova di resistenza opera nel solo caso di verifiche “a tavolino”.

Nel caso di specie devono trovare applicazione i principi sin qui descritti non vertendosi in tema di verifica svolta esclusivamente presso l’Ufficio ed essendosi, pacificamente, effettuata un’attività di accesso, richiesta ed acquisizione di documenti presso la sede della contribuente.

Sul punto, le argomentazioni desumibili dal contenuto letterale della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, sono confortate dall’interpretazione giurisprudenziale consolidata secondo cui la norma trova applicazione ogni volta che si verifichi un accesso presso la sede aziendale finalizzato all’acquisizione di documentazione fiscale.

Il principio risale a Cass. sez. 5, 7 marzo 2014, n. 5374 (non massimata) nella quale, richiamando precedenti arresti, è stato affermato che ai fini dell’applicazione della garanzia di cui all’art. 12, comma 7, cit. “non ha rilievo la denominazione formale dei verbali redatti dai verificatori, di guisa che il termine dilatorio di sessanta giorni deve essere rispettato anche qualora il verbale, non denominato formalmente come “pvc”, sia un verbale meramente descrittivo delle operazioni di verifica” ed include “nel proprio ambito tutte le possibili tipologie di verbali che concludano le operazioni di accesso, verifica o ispezione nei locali, indipendentemente dal loro contenuto”.

Questa Corte ha ribadito il principio anche in tempi più recenti, affermando che: “in tema di accertamento, la garanzia del termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, quale espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente, si applica anche agli accessi cd. istantanei, ossia quelli volti alla sola acquisizione della documentazione posta a fondamento dell’accertamento, sicchè, anche in detta ipotesi, è illegittimo, ove non ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’atto impositivo emesso “ante tempus”” (Cass. sez. 6-5, 12 aprile 2019, n. 10388).

In senso conforme possono richiamarsi Cass., sez. 5, 8 maggio 2019, n. 12094; Cass. sez. 5, 21 novembre 2018, n. 30026; Cass. sez. 6-5, 17 gennaio 2017, n. 1007; Cass. sez. 5, 9 luglio 2014, n. 15624.

Sul punto, esaurendo così il tema, si ricorda quanto di recente affermato da questa stessa Sezione: “il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo” (Cass. sez. 5, 23 gennaio 2020, n. 1497).

Nel caso di specie l’accertamento tributario ha tratto fondamento anche dai documenti acquisiti a seguito dell’accesso presso l’azienda e compendiati in un verbale la cui qualificazione come di semplice “accesso e richiesta documenti” (secondo la descrizione datane nel ricorso) è, pertanto, irrilevante ai fini della esclusione dell’applicazione della norma asseritamente violata.

Infondato il secondo motivo relativo ai “motivi di urgenza” che avrebbero, nel caso di specie, giustificato la mancata osservanza del termine di cui alla norma in esame giacchè non risulta che le argomentazioni relative a tale punto siano state evidenziate (tanto meno dimostrate) nelle precedenti fasi di merito.

L’onere della prova delle ricorrenza delle condizioni di urgenza per procedere senza l’osservanza del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, grava sull’Amministrazione (Cass. sez. 6-5, 24 giugno 2014, n. 14287, Cass. sez. 6-5, 9 novembre 2015, n. 22786).

In ordine al terzo motivo, si richiama la copiosa giurisprudenza sin qui riportata che fa discendere dalla violazione del termine di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, l’illegittimità dell’accertamento.

Da ultimo il principio è stato ribadito anche da Cass. sez. 6-5, 23 luglio 2020, n. 15843.

Il quarto, il quinto ed il sesto motivo sono inammissibili per carenza di interesse.

La sentenza della CTR poggia su un’unica “ratio decidendi” con implicito assorbimento degli altri motivi di ricorso originariamente proposti dalla contribuente sui quali si era, invece, soffermata, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, quella di primo grado.

In ordine a tale unica argomentazione l’ulteriore “ratio” relativa alla mancata osservanza anche del procedimento di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 4, integra una motivazione “ad abundantiam”.

Infatti, dopo avere illustrato le ragioni relative alla violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, la CTR ha completato la motivazione sostenendo che “in ogni caso” l’Ufficio avrebbe violato anche la prescrizione di cui all’art. 37-bis, comma 4, vigente “ratione temporis”.

Si tratta, all’evidenza, di una affermazione priva di effetti giuridici sul dispositivo e processualmente irrilevante.

Sul punto vale richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “in sede di legittimità sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta”, poichè esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione” (Cass. sez. 4, 22 ottobre 2014, n. 22380; conformi Cass. sez. 3, 9 aprile 2009, n. 8676, Cass. sez. 3, 19 febbraio 2009, n. 4053, Cass. sez. 3, 5 giugno 2007, n. 13068).

Da quanto esposto discende il rigetto dell’intero ricorso.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, stante la mancata rituale costituzione in giudizio della parte vittoriosa.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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