Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5941 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. I, 11/03/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 11/03/2010), n.5941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.T. (c.f. (OMISSIS)), D.L.V.

M. (c.f. (OMISSIS)), B.P. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ANDREA

DORIA 48, presso l’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che le

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

17/10/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

27/10/2009 dal Consigliere Dott. UGO RICCARDO PANEBIANCO;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato RANIERI RODA, con delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 17.10.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulla domanda di equa riparazione ex Lege n. 89 del 2001, proposta da C.T., D.L.V.M. e B.P. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dalle medesime promosso con ricorso depositato nel mese di Maggio 1997 avanti al TAR del Lazio al fine di ottenere l’inquadramento nell’ottava qualifica funzionale e deciso con sentenza depositata in data 5.10.2004 – riteneva che, dovendosi considerare ragionevole la durata di anni tre ed irrilevante la frazione di anno inferiore a mesi sei, non fosse ragionevole nella misura di anni quattro, e liquidava a favore di ciascuna delle ricorrenti la somma di Euro 3.200,00 a titolo di danno non patrimoniale, pari ad euro ottocento per ogni anno di ritardo, oltre agli interessi dalla data del decreto.

Avverso detto decreto propongono ricorso per Cassazione le originarie ricorrenti che deducono quattro motivi di censura illustrati anche con memoria.

La Presidenza del Consiglio non ha svolto alcuna attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello, dopo aver determinato in anni tre la durata ragionevole del procedimento presupposto, abbia ritenuto irragionevoli anni quattro nonostante il procedimento si fosse protratto per anni sette e mesi cinque (Maggio 1997-Ottobre 2004), ignorando in tal modo gli ulteriori mesi cinque.

La censura è fondata.

Determinata da parte del giudice di merito la durata ragionevole del procedimento, tutto il restante periodo, ivi compresa anche la porzione dell’anno, va considerato non ragionevole e valutato ai fini del computo della relativa indennità prevista dalla L. n. 89 del 2001. Erroneamente pertanto la Corte d’Appello, pur in presenza di un periodo di anni quattro e mesi cinque successivo a quello considerato ragionevole (anni tre), ha riconosciuto ai fini della determinazione dell’indennizzo solo anni quattro, tralasciando di considerare la porzione di mesi cinque di cui va invece tenuto conto.

Sul punto il decreto va pertanto cassato. Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 e degli artt. 6, 13, 41 e 55 della CEDU nonchè difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello, riconoscendo a ciascuna ricorrente la somma di Euro 800,00 per ogni anno di ritardo, non abbia applicato i parametri fissati dalla Corte Europea e non abbia altresì tenuto conto della natura della controversia riguardante la materia del lavoro.

La censura è fondata nei limiti che saranno qui di seguito precisati.

La Corte d’Appello, nel riconoscere la complessiva somma di Euro 3.200,00 a titolo di equo indennizzo a ciascuna delle ricorrenti, non si è attenuta ai parametri fissati dalla Corte europea, che riconosce in linea di massima un indennizzo oscillante fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per ogni anno di durata non ragionevole, pur non escludendo la possibilità di un indennizzo minore quando le circostanze lo giustifichino. Ma al riguardo la Corte d’Appello nulla ha precisato, limitandosi a riconoscere la somma di Euro 800,00 per ciascun anno di ritardo.

Deve invece essere disattesa la tesi che collega il riconoscimento di un indennizzo maggiore alla natura della controversia del giudizio presupposto in quanto vertente in materia di lavoro, non essendo previsto dalla legislazione nazionale la necessità di un tale riferimento e non potendo comunque considerarsi un effetto automatico, slegato dalla particolarità della fattispecie sulla quale nulla è stato però detto al di là di un generico richiamo al carattere assistenziale della controversia.

Con il terzo motivo le ricorrenti denunciano ancora violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè dell’art. 1173 c.c.. Lamentano che la Corte d’Appello abbia liquidato gli interessi con decorrenza dalla data del decreto anzichè, come avrebbe dovuto, dalla domanda.

La censura è fondata.

Gli interessi sulla somma riconosciuta all’esito del giudizio non possono che decorrere dalla domanda la quale costituisce anche un atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1295 c.c.. Conseguentemente anche sotto tale profilo il decreto deve essere cassato.

Con il quarto motivo le ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., nonchè il D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5. Sostengono che la Corte d’Appello, nel liquidare le spese in Euro 500,00 per onorario, in Euro 200,00 per diritti ed in Euro 50,00 per spese non abbia tenuto conto che trattavasi di due procedimenti separati, riuniti solo all’esito delle singole discussioni, e si sia tenuta così al di sotto dei minimi tariffari.

La censura deve ritenersi assorbita in quanto, a seguito della cassazione del decreto impugnato, questa Corte deve provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di merito, spese che si distraggono a favore del difensore e che si liquidano come in dispositivo unitamente a quelle del giudizio di legittimità; queste ultime da compensarsi nella misura di un terzo in relazione all’accoglimento solo parziale del ricorso.

Ricorrendo le condizioni richieste dall’art. 384 c.p.c., comma 1, per una decisione nel merito, si liquidano a titolo di indennizzo la somma di Euro 4.450,00 a favore di ciascuna delle ricorrenti con gli interessi legali dalla domanda.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, liquida a favore di ciascuna delle ricorrenti la somma di Euro 4.450,00 con gli interessi dalla domanda. Condanna il Ministero al pagamento delle spese processuali del giudizio di merito che distrae a favore del difensore e che liquida in Euro 534,00 per diritti, in Euro 600,00 per onorario ed in Euro 100,00 per spese, oltre agli accessori come per legge. Compensa nella misura di un terzo le spese del giudizio di legittimità che distrae a favore del difensore e che determina per l’intero in Euro 800,00 per onorario ed in Euro 100,00 per spese, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

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