Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5941 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 04/03/2021), n.5941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13551/2014 R.G. proposto da:

D.M.M.T., rappresentata e difesa dall’Avv. Lucio Modesto

Maria Rossi, elettivamente domiciliato in Roma, via E.Q. Visconti,

presso lo studio dell’Avv. Angelo Petrone;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 183/49/13, depositata il 14 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 ottobre

2020 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2005, l’Agenzia delle entrate rettificava il reddito d’impresa della contribuente – esercente l’attività di commercio di generi alimentari – sulla scorta di un PVC redatto dai funzionari dell’Ufficio. L’esame delle giacenze di magazzino segnalava, nella prospettazione erariale, talune “differenze inventariali”. Segnatamente emergeva una differenza negativa delle rimanenze finali, giacchè ad onta di quelle documentalmente dichiarate per Euro 90.253,00, quelle accertate dai funzionari anzidetti ammontavano ad Euro 32.326,00.

La CTP di Caserta accoglieva il ricorso della contribuente.

La CTR della Campania accoglieva l’appello dell’Agenzia.

La contribuente affida il proprio ricorso a tre motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contribuente contesta la vioazione del D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 4, per avere la CTR applicato la presunzione di cessione di beni non rinvenuti, non al periodo di imposta oggetto del controllo (2008), ma ad un periodo più remoto (2005).

Con il secondo motivo di ricorso, la contribuente censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza, adducendo la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla doglianza di parte ricorrente tesa a contestare la tassazione “al lordo” dei ricavi accertati presuntivamente, dal cui ammontare non venivano dedotti “i costi della merce”.

Con il terzo motivo di ricorso, la contribuente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, per avere la CTR escluso la deduzione dei costi correlati ai maggiori ricavi presuntivamente accertati.

Il primo motivo è infondato ed esige il rigetto.

Osserva il Collegio che le differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture obbligatorie di magazzino e le consistenze delle rimanenze registrate sono, invero, suscettibili di rilevare anche per i periodi precedenti di imposta, se le differenze permangono anche in tali annualità.

Va riaffermato il principio già a suo tempo espresso da questa Corte (Cass. n. 3949 del 2002) secondo cui: “In tema di IVA, gli effetti della presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti, prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 53, operano – come successivamente chiarito anche dal D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4 – con riferimento al momento di inizio delle operazioni di verifica ed al periodo d’imposta oggetto di controllo”. Ne deriva che non è consentito al contribuente, al fine di superare la presunzione, alterare il presupposto della norma mediante una “spalmatura” delle riconosciute cessioni in frode all’imposta, sugli anni anteriori a quello dell’accertamento, sicchè si rendono irrilevanti le vicende tributarie relative a quegli anni.

Questa Corte stessa (Cass. n. 13120 del 2012) ha poi precisato che, in tema di accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, in base al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, comma 2, “le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d, o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo, presunzione che è relativa e superabile non con qualunque mezzo di prova, ma solamente con le prove tassativamente indicate dal citato D.P.R., artt. 1 e 2”.

Al cit. art. 4, comma 1, viene precisato che gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano esclusivamente a momento dell’inizio degli accessi, controlli e verifiche (“1. Gli effetti delle presunzioni di cessione e di acquisto, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano al momento dell’inizio degli accessi, ispezioni e verifiche”). La norma, quindi, presuppone implicitamente una verifica fiscale da parte degli organi accertatori e stabilisce che le presunzioni in oggetto operano limitatamente al periodo d’imposta coincidente con l’anno solare nel corso del quale è effettuata la verifica.

Tuttavia, al medesimo art. 4, comma 2, viene previsto che le “eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973 o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta e le consistenze delle rimanenze finali registrate dallo stesso contribuente”, costituiscono “presunzioni di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo”. In tal caso, quindi, le presunzioni di cessioni e di acquisto operano anche per i periodi d’imposta precedenti all’anno in corso, ma comunque oggetto del controllo, qualora emergano in relazione a tali annualità le differenze quantitative di cui sopra (v. anche Cass. n. 23674 del 2018 in motivazione).

Ne deriva, nella specie, che la presunzione in oggetto, a fronte delle riscontrate differenze inventariali, operava, secondo il dettato letterale normativo, per tutto il periodo d’imposta accertato (dal 2005 al 2008) e, quindi, per tutti gli anni d’imposta oggetto di controllo, in quanto il “periodo d’imposta accertato”, nel quale permanevano, secondo l’Ufficio, le differenze quantitative inventariali riscontrate, non coincideva con l’anno (2008) in cui era avvenuto l’accesso da parte dei verificatori.

La CTR si è all’evidenza attenuta a questo itinerario logico, che pertanto si mostra immune da censure.

Il secondo va accolto con assorbimento del terzo.

La censura investe l’omissione di pronuncia avuto riguardo alla doglianza della contribuente relativa alla deducibilità dei “costi di merci” sostenuti in correlazione ai ricavi ascritti presuntivamente all’attività d’impresa. Segnatamente, la parte contribuente ha posto in evidenza il dato fisiologico in ragione del quale i maggiori ricavi imputati in via presuntiva a valle postulano fisiologicamente che maggiori costi siano stati sostenuti a monte. Su detta circostanza, oggetto di specifica contestazione, la CTR ha sorvolato, limitandosi ad applicare la presunzione legale relativa sopra adombrata a carico della contribuente, ma tralasciando di soffermarsi sul profilo dei costi di produzione affrontati per addivenire ai maggiori ricavi imputati all’esercizio d’impresa e sull’aspetto connesso della deducibilità. Sebbene la presunzione in parola consenta di considerare ricavi da cessione di beni quelli connessi alla discrasia fra quanto documentato e quanto concretamente acclarato, il perimetro dei costi e degli oneri necessariamente sopportati in relazione ai beni in seguito commercializzati assurgono in linea di principio a circostanza saliente che è stata messa in disparte nella decisione d’appello.

L’identità delle componenti negative del reddito, la loro effettività ed inerenza, in ultima analisi, s’atteggia a profilo suscettibile di rientrare indefettibilmente nel vaglio del giudice d’appello dacchè maggiori ricavi presuntivamente accertati implicano una porzione collegata di costi, che va a sua volta imprescindibilmente acclarata.

Sulla base di tali considerazioni il secondo motivo di ricorso dev’essere accolto, con assorbimento del terzo. La sentenza d’appello va, pertanto, cassata e la causa rimessa alla CTR della Campania in diversa composizione, per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e ne accoglie il secondo, con assorbimento del terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla CTR della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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