Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5941 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 03/03/2020), n.5941

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3442/2019 proposto da:

C.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.

Antonelli n. 49, presso lo studio dell’avvocato Colarizi Massimo,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Coffrini Ermes,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bologna,

Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, del 06/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2019 dal cons. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Bologna, con decreto depositato il 6.1.2019, ha rigettato il reclamo proposto da C.M. avverso il decreto del 26 giugno 2017 con cui il Tribunale di Reggio Emilia ha dichiarato il reclamante – eletto sindaco del Comune di Brescello (RE) all’esito delle elezioni del 25 maggio 2014 – “incandidabile ad ognuna delle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, limitatamente al primo turno successivo allo scioglimento del Comune di Brescello, che si svolgeranno nella regione Emilia Romagna”.

Il giudice di secondo grado ha ritenuto, alla luce della relazione della commissione prefettizia di indagine (e dei suoi allegati, tra cui la relazione del Comando dei Carabinieri) nonchè del decreto del presidente della Repubblica del 20 aprile 2016, essere stato significativamente accertato che la complessiva condotta posta in essere dal C. avesse rivestito efficacia causale rispetto allo scioglimento del Comune di Brescello.

Inoltre, la Corte d’Appello, in ordine alla doglianza del reclamante secondo cui la decisione sarebbe stata assunta in violazione del principio della domanda (sul rilievo che gli erano state addebitate condotte poste in essere in periodi temporali in cui non era sindaco in carica), ha confutato tale censura, evidenziando che l’amministrazione di Brescello aveva mantenuto un approccio di permeabilità alle ingerenze esterne ed alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti sul territorio in continuità con le precedenti consiliature in cui il C. risultava essere stato diretto interessato nella veste di consigliere e assessore all’Urbanistica, dando così luogo ad una inammissibile e protratta alterazione della formazione della volontà degli organi elettivi.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione C.M. affidandolo a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con controricorso.

Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o erronea applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, commi 1 e 11 nonchè l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta il ricorrente che la Corte di merito ha condiviso le conclusioni del Tribunale in ordine alla sussistenza di una “cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne ed asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni criminali operanti” nonostante che la relazione della Commissione prefettizia di indagini avesse rilevato l’assenza di evidenze giudiziarie da cui desumere collegamenti e/o cointeressenze economiche tra l’amministrazione comunale e la criminalità organizzata nonchè l’assenza di investimenti finanziari “appetibili” per la cosca.

Orbene, l’assenza di evidenze giudiziarie non può che comportare, cadendosi diversamente in contraddizione, l’esclusione dei condizionamenti e delle influenze esterne.

Peraltro, la corte d’Appello non aveva tenuto conto della relazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna che aveva evidenziato non essere stati individuati “cogenti elementi di interesse rispetto al pericolo di infiltrazioni mafiose nel comune di Brescello” nonchè la sussistenza in capo alle imprese destinatarie di appalti per il Comune di Brescello di precedenti di polizia tali da poter desumere il pericolo di condizionamento.

Ne consegue che non erano emersi elementi “concreti, univoci e rilevanti di collegamenti con la criminalità organizzata” per la dichiarazione di incandidabilità del ricorrenti, come richiesto dall’art. 143 legge cit., potendo “i sufficienti elementi di collegamento” rilevati dai giudici di merito essere al limite sufficienti quando venivano in discussione interessi legittimi (come per lo scioglimento di un Consiglio Comunale), ma non, invece, in presenza di diritti soggettivi di rilievo costituzionale, come il diritto di elettorato passivo.

2. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va, in primo luogo, osservato che non è fondata la censura secondo cui la fattispecie di cui all’art. 143 legge cit. sarebbe esclusa sul solo rilievo che la relazione prefettizia avrebbe rilevato l’assenza di “evidenze giudiziarie” di collegamenti tra l’amministratore locale e la criminalità organizzata, non essendo tale profilo rilevante ai fini della configurabilità della fattispecie in oggetto.

In proposito, è orientamento consolidato di questa Corte che il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità ex art. 143, comma 11, TUEL è autonomo rispetto a quello penale, e diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell’amministratore dell’ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio. (Sez. U, n. 1747 del 30/01/2015).

E’ dunque sufficiente accertare la presenza di elementi di collegamento tra l’amministratore locale oggetto dell’addebito, tali da essere ritenuti idonei ad influenzare e condizionare la formazione della volontà dell’ente pubblico, senza che la condotta dell’amministratore debba necessariamente assumere una connotazione penalmente rilevante (nel caso esaminato dalle Sezioni Unite venivano, in particolare, evidenziati elementi univocamente rilevatori di un particolare ed anomalo trattamento di favore riservato dal sindaco ad una società riconducibile ad una famiglia legata alla criminalità organizzata).

Si appalesa, invece, inammissibile per difetto del requisito dell’autosufficienza e specificità, la censura con cui si lamenta l’omessa considerazione della relazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna.

In proposito, premesso che la sentenza impugnata non fa alcun cenno a tale relazione, è principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate – come nel caso di specie – questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di specificità del motivo, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, nonchè il luogo e modo di deduzione, onde consentire alla S.C. di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 13/06/2018, n. 15430).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha minimamente assolto al proprio obbligo di allegazione, non avendo neppure dedotto se ed eventualmente in quale punto dell’atto di reclamo avesse dedotto che la relazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Bologna aveva evidenziato non essere stati individuati “cogenti elementi di interesse rispetto al pericolo di infiltrazioni mafiose nel comune di Brescello”.

Palesemente inammissibile in quanto di merito è, infine, la censura secondo cui il contenuto della relazione prefettizia non consentisse di supportare le conclusioni cui sono addivenuti i giudici di merito, essendo chiaramente finalizzata a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dai giudici di merito.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o erronea applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11 nonchè del principio della domanda di cui all’art. 112 c.p.c..

Lamenta il ricorrente che, nonostante lo stesso avesse puntualmente contestato tutti i punti su cui si era fondata la decisione del Tribunale, la Corte territoriale aveva rigettato il reclamo senza alcuna motivazione, limitandosi a richiamare il decreto di primo grado, riportandone alcune parti e sostenendo, nel contempo, erroneamente, che il reclamante non le avesse censurate.

Si duole, altresì, il ricorrente che il giudice di secondo grado ha aderito acriticamente alle risultanze degli atti amministrativi senza tener conto delle equivoche conclusioni della Commissione prefettizia e delle inequivocabili dichiarazioni della D.D.A..

4. Il motivo è inammissibile.

In ordine alla doglianza concernente le conclusioni cui sarebbero addivenute la relazione della D.D.A. e quella prefettizia, deve richiamarsi quanto già sopra illustrato al punto 2.

Si appalesano, invece, generiche le censure con cui il ricorrente afferma di aver puntualmente contestato nell’atto di reclamo i passaggi argomentativi della sentenza di primo grado, non essendo stati indicati i punti precisi del proprio atto di gravame nei quali avrebbe effettuato tali contestazioni.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 50, commi 1 e 2 nonchè del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107 del principio della responsabilità personale per dolo e/o colpa grave nonchè l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 460 c.p.c., comma 1, n. 5.

Espone il ricorrente che la sua responsabilità per lo scioglimento del consiglio comunale è strettamente limitata alla consiliatura in cui è stato sindaco, a nulla rilevando quanto avvenuto in precedenza nelle consiliature già esaurite nella durata e nei loro effetti. Non può quindi essergli imputata la responsabilità di chi lo ha preceduto nei due mandati precedenti, non essendo sufficiente che nelle precedenti consiliature sia stato assessore. Nè corrisponde al vero quanto affermato dalla Corte territoriale, ovvero che lo stesso non avrebbe censurato specificamente la parte della motivazione del Tribunale in cui erano stati presi in esame gli episodi allo stesso contestati e che si sarebbe limitato a sostenere che tali episodi erano riferibili ad un periodo temporale in cui non era sindaco.

In realtà, lo stesso aveva puntualmente e dettagliatamente contestato nel reclamo quanto evidenziato a suo carico dal Tribunale, come risultava dalle premesse del suo ricorso.

Infine, era stato del tutto trascurato quanto prevede il D.Lgs. n. n. 267 del 2000, art. 107 in tema di responsabilità della dirigenza, non potendosi ascrivere all’assessore ed anche al sindaco la responsabilità che la normativa pone a carico dei dirigenti amministrativi anche in termini di controllo.

Non è stato neppure accertato quale delega gli fosse stata attribuita e se avesse partecipato agli atti deliberativi “incriminati”.

6. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.

Va, in primo luogo, osservato che non è corretta la prospettazione del ricorrente secondo cui la valutazione di non candidabilità formulata dai giudici di merito si sarebbe fondata su condotte non riconducibili alla consiliatura sciolta con decreto presidenziale, bensì a precedenti consiliature ormai esaurite. E’ stata, infatti, contestata al sindaco C. una condotta omissiva in relazione ad una situazione di protratta alterazione della formazione di volontà degli organi elettivi del Comune di Brescello che aveva sì avuto origine in consiliature precedenti, ma che si era protratta ininterottamente fino alla consiliatura poi sciolta.

Tale rilievo emerge con evidenza dalla lettura del decreto impugnato nella parte in cui, richiamando per relationem la motivazione del Tribunale di Reggio Emilia, fa riferimento alla “… gravità del sopra descritto approccio, mantenuto dall’amministrazione brescellese, in continuità con tutte le ultime consiliature e di cui il sindaco C. risulta essere diretto interessato nella veste di consigliere comunale e assessore all’urbanistica”.

Peraltro, tale passaggio motivazionale non è che la conclusione di un articolato percorso argomentativo del decreto del Tribunale di Reggio Emilia – che è stato reiteratamente richiamato per relationem dalla Corte di merito – nel quale, tra gli altri, sono stati esaminati alcuni episodi ritenuti espressione del condizionamento degli organi elettivi al cospetto della criminalità organizzata.

Il primo episodio riguarda l’assegnazione della casa cantoniera – alloggio comunale – a P.G., cognato di G.A.F., condannato con sentenza passata in giudicato per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p..

Orbene, il Tribunale di Reggio Emilia, dopo aver rilevato che dalla relazione della commissione d’indagine era emerso che non vi fosse una situazione di effettivo disagio che giustificasse detta assegnazione, ha evidenziato, alla luce delle informazioni rese dai servizi sociali territorialmente competenti e dal personale del comune interpellato in proposito, che di tale anomalia era perfettamente a conoscenza sia l’assessore all’Urbanistica sia il sindaco C. successivamente alla sua elezione, così come era noto l’inadempimento del P. al pagamento del canone (peraltro del modesto importo di Euro 161,00 mensile), inadempimento in relazione al quale solo nel maggio 2015 il sindaco C. aveva dato disposizione di redigere apposita relazione sulla situazione complessiva del P..

Il Tribunale di Reggio Emilia ha quindi rilevato che “tale vicenda dimostra in termini davvero non contestabili la tolleranza manifestata dall’Amministrazione Comunale di Brescello e dal sindaco C. verso una ingiustificata situazione di sfruttamento abusivo di un bene della collettività ed al tempo stesso conferma il condizionamento subito a causa della personalità antisociale del P. (plurime persone sentite dalla commissione prefettizia d’indagine hanno riferito del suo comportamento prepotente e pressante, dei suoi rapporti preferenziali con il Sindaco) e dalla consapevolezza del vincolo familiare dello stesso….”.

Un’altra vicenda indicata dal giudice di primo grado come espressione del grave condizionamento dell’Amministrazione comunale riguarda la gestione degli abusi edilizi rilevati dalla Polizia Municipale rispettivamente nei confronti di G.A.F., di G.A.R. e di R.C., rispettivamente fratello e cognato di G.A.F.. Evidenzia il Tribunale che in relazione a tali abusi, commessi a partire dal 2007, “per anni le denunce della Polizia municipale non hanno avuto seguito con ciò confermando l’approccio ingiustificatamente tollerante e comunque orientato a non creare contrasti diretti ed evidenti con soggetti della ‘ndrangheta ed a essa collegati, mantenuto in tutti questi anni dall’Amministrazione comunale di Brescello, atteggiamento che, sempre a detta del personale amministrativo, non risulta essere stato osservato in occasione di abusi commessi da altri cittadini non ricollegabili alla ‘ndengheta (cfr. dichiarazioni arch. Cavallari, responsabile pro tempore dell’ufficio Tecnico)”.

Dunque, non residua alcun dubbio che i giudici di merito abbiano messo in luce – la Corte di Appello attraverso il richiamo per relationem al decreto di primo grado – che se è pur vero che molti degli episodi in cui si è manifestata la permeabilità dell’Amministrazione Comunale di Brescello al condizionamento da parte di esponenti della ‘ndrangheta si sono verificati in occasione di precedenti consiliature, gli effetti di tali vicende (quale l’assegnazione dell’alloggio al P., la gestione degli abusi edilizi da parte del boss e dei suoi familiari) hanno continuato a prodursi fino all’ultima consiliatura oggetto di scioglimento, la quale, nonostante la piena consapevolezza della situazione di abuso perpetrata a favore degli esponenti legati alla criminalità organizzata, ha mantenuto colpevolmente un atteggiamento omissivo e tollerante per non porsi in contrasto con gli interessi dei soggetti collegati alla ‘ndrangheta.

Deve quindi ritenersi che la Corte di merito abbia accertato la responsabilità del ricorrente per condotte allo stesso pienamente riconducibili ed attuali, con conseguente rigetto di tutte le censure svolte dal ricorrente sul punto, che sono il frutto di una lettura verosimilmente incompleta del testo dei provvedimenti dei giudici di merito.

Va, inoltre, osservato che la Corte di merito ha correttamente osservato che la contestazione mossa dal ricorrente con il reclamo alla motivazione del giudice di primo grado non era stata specifica.

Infatti, anche ammettendo che quanto osservato dal ricorrente nella parte narrativa del proprio ricorso corrispondesse a quanto effettivamente scritto nel reclamo (sul punto il ricorso difetta, peraltro, di autosufficienza non essendo stato riportato con esattezza il luogo processuale in cui il ricorrente avrebbe formulato i propri rilievi nell’ambito dell’atto di reclamo), in ogni caso, le sue contestazioni si palesavano generiche, non confrontandosi minimamente – anzi ignorandole – con le precise argomentazioni svolte dal Tribunale di Reggio Emilia in ordine all’atteggiamento gravemente tollerante tenuto dal sindaco sia con riferimento al rapporto di natura personale tra lo stesso C. ed il P. (perdurante anche dopo l’elezione a sindaco), sia in relazione agli abusi edilizi perpetrati dal G.A. e dai suoi familiari.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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