Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5940 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2021, (ud. 14/10/2020, dep. 04/03/2021), n.5940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15005/2014 R.G. proposto da:

SASRIV s.p.a. in liquidazione, in persona del suo rappresentante

p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Antonio Marrone elettivamente

domiciliata presso lo studio dell’Avv. Giovan Candido Di Gioia, in

Roma, piazza Mazzini, n. 27, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Campania n. 119/2/12, depositata il 18 aprile 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 ottobre

2020 dal Cons. Salvatore Leuzzi.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle Entrate notificava alla contribuente in epigrafe avvisi di accertamento relativi agli anni 1999 e 2000 a titolo di maggiori importi dovuti per Irpeg e IVA. Gli atti impositivi si incentravano sul verbale di constatazione della Guardia di Finanza di Pomezia del 19 dicembre 2000, con il quale i militari all’esito rilevavano che alcune movimentazioni finanziarie intercorse tra SASRIV s.p.a. ed Eurodistillati s.r.l. rappresentassero non finanziamenti infragruppo, bensì altrettante operazioni commerciali imponibili non dichiarate. La CTP di Salerno, con sentenza depositata il 26 giugno 2009, accoglieva i ricorsi della contribuente avverso i due avvisi anzidetti, contraddicendo la prospettazione erariale in punto di qualificazione dei movimenti di denaro intercorsi fra le due società testè menzionate.

La CTR ha, di contro, accolto l’appello dell’Ufficio, confermando la fondatezza delle pretese fiscali, evidenziando che lo statuto della ricorrente odierna non contemplava la facoltà di finanziamenti a terzi e che non constavano annotazioni nei libri sociali relativamente ad autorizzazioni preventive a tali operazioni finanziarie, con riferimento alle quali non venivano esibiti documenti giustificativi.

La contribuente avanza ricorso per cassazione articolato su quattro motivi. L’Agenzia resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la contribuente lamenta la violazione dell’art. 2909 c.c., per avere la CTR assunto a fondamento della decisione altre sentenze emesse nei confronti di distinte “società dello stesso gruppo”.

Con il secondo motivo, la contribuente censura ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè, a tenore del n. 5 del predetto art. 360 c.p.c., l’illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la CTR fatto assorbente riferimento alle argomentazioni di parte dell’Agenzia delle Entrate.

Con il terzo motivo, la contribuente, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta la “violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 54, art. 1, comma 2, dell’art. 291 c.p.c.”, per avere la CTR erroneamente ritenuto che la mancata costituzione della società contribuente in appello equivalesse ad acquiescenza nei confronti delle eccezioni sollevate dall’Ufficio.

Con il quarto motivo, la costituente, a tenore dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamenta la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.p.c., contestualmente dolendosi, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere la CTR valorizzato in senso dirimente ai fini della decisione una mera argomentazione difensiva dell’Agenzia e per avere escluso che l’autonomia gestionale e contabile delle società che ponevano in essere le operazioni in contestazione precludesse la qualificabilità di queste come finanziarie, anzichè come commerciali.

Il primo motivo e il quarto motivo, logicamente connessi, sono suscettibili di trattazione unitaria, che ne rivela la fondatezza nei termini che seguono.

Entrambe le censure investono l’impianto logico della sentenza d’appello nella parte in cui valorizza in funzione decisoria – rispettivamente – non meglio identificate sentenze rese dalla medesima CTR nei confronti di “altre società dello stesso gruppo” (primo motivo) e l’ammissione svolta dalla odierna ricorrente in un imprecisato “altro contenzioso” sul fatto che il “modus operandi” prescelto non fosse “ortodosso dal punto di vista contabile”.

Sulla premessa per cui, nel processo tributario, il presupposto dell’efficacia del giudicato esterno è che esso si sia formato tra le stesse parti, non essendo sufficiente che esso riguardi un accertamento riferibile ad una questione di fatto comune ad entrambe le cause (Cass. n. 23658 del 2008) e che, pertanto, le sentenze rese inter alios non potrebbero condizionare il presente giudizio neppure astrattamente, qualora cioò l’identità di esse non rimanesse – come invece rimane – oscura e impescrutabile, giova soggiungere quanto segue.

Sia le indeterminate sentenze che il contenzioso vagamente evocato non si palesano utilizzabili nel giudizio tributario in quanto, come chiarito da questa Corte l’utilizzabilità da parte del Giudice tributario di prove atipiche e di prove acquisite in altri giudizi diversi da quello tributario soggiace a precisi limiti, secondo i quali detto giudice “può legittimamente porre a base del proprio convincimento, in ordine alla sussistenza dei fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria in lite, le prove assunte in un diverso processo e anche in sede penale, quali prove atipiche idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti, se ed in quanto non smentile dal raffronto critico con le altre risultanze del processo” (Cass. n. 17037 del 2002; Cass. n. 4394 del 2004; Cass. 4054 del 2007). Detti principi trovano diretto riscontro normativo nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 (con riferimento alle imposte sui redditi) e nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, (con riferimento all’IVA).

In buona sostanza il giudice tributario non può recepire in maniera pedissequa il contenuto delle prove atipiche, dovendo, invece, sottoporle al proprio vaglio critico. Il perimetro di detto vaglio è peraltro delineato dal principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie concorrono, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, alla formazione del convincimento del giudice, sempre che siano state ritualmente acquisite e non conseguite dal giudice per scienza privata e al di fuori dalla cornice processuale.

La CTR, nella specie, non solo non ha chiarito a monte quali fossero le sentenze e l’altro contenzioso” messi in risalto nella trama argomentativa della sentenza e come fossero stati acquisiti al giudizio della cui cognizione essa era investita, ma ha rinunciato a fornire a valle – come pure si mostrava necessario – adeguata motivazione critica della relativa utilizzazione (v. in tema Cass. n. 840 del 2015; Cass. n. 11555 del 2013).

Il secondo motivo di ricorso è fondato.

La CTR, pur apoditticamente riconoscendo la sussistenza del “gruppo”, denominato “(OMISSIS)”, legittima altrettanto assertivamente il proprio convincimento mutuando acriticamente le deduzioni in corso di giudizio dell’Agenzia, la quale aveva evidenziato che “lo statuto della società non consentiva la facoltà di finanziamenti a terzi” e che non vi erano “nei libri sociali… autorizzazioni preventive di detti pagamenti a terzi”, nè “venivano esibiti documenti per giustificare le predette operazioni”. D’altro canto, con analoga approssimazione il giudice d’appello soggiunge che “la società parla di operazioni finanziarie fra le varie società di gruppo, creando una commistione inammissibile fra le contabilità delle varie società”. In buona sostanza, sulla base di una deduzione di parte e di una asserita commistione tra le contabilità fra gli enti del gruppo si evince in automatico la qualificabilità del complesso delle operazioni intercorse fra la ricorrente odierna e la Eurodistillati alla stregua di transazioni commerciali anzichè finanziamenti infragruppo. In definitiva, la sentenza attribuisce decisivo rilievo alla prospettazione erariale ed ad un supposto modus operandi non “ortodosso” ricavando che non potesse trattarsi di operazioni di prestito, bensè incontrovertibilmente commerciali.

Ma è chiaro che, in questi termini, l’affermazione incorre nel vizio motivazionale denunciato con il motivo, perchè non ha ritenuto minimamente di chiarire le ragioni per cui non potesse trovare applicazione l’istituto dei finanziamenti infragruppo.

Giova, infatti, al riguardo richiamare l’orientamento condivisibilmente espresso da questa Corte, secondo il quale in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) (Cass. n. 20721 del 2018; Cass. 12096 del 2018; Cass. n. 4367 del 2018; Cass. 23940 del 2017). Fondato è anche il terzo motivo di ricorso.

Esso mira a contestare, sotto il duplice versante della violazione di legge e del deficit di motivazione, l’affermazione fatta in sentenza d’appello secondo cui “la mancata costituzione della società in questo grado di giudizio fa ritenere che abbia posto acquiescenza alle eccezioni sollevate dall’Ufficio”.

In verità, l’ordinamento processuale considera la scelta, compiuta dalla parte, di non partecipare al giudizio (anche d’appello) in modo assolutamente neutro, non rivestendo la contumacia il carattere di condotta “ex se” significante, non soltanto con riferimento al riconoscimento del diritto altrui ma neppure in termini di mera non contestazione dei fatti allegati. Segnatamente, il contegno processuale di chi rimanga contumace non potrà certamente apprezzarsi come una sua tacita acquiescenza, atteso che l’ordinamento attribuisce alla contumacia solo effetti tipizzati, nel cui novero non si rinviene affatto un effetto di tal genere.

Il ricorso va in ultima analisi accolto. La sentenza va cassata e la causa rimessa alla CTR della Campania che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame e alla regolazione delle spese del giudizio, ivi comprese quelle della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i quattro motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla CTR della Campania in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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