Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5939 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 5939 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
T

sul ricorso 11921-2013 proposto da:
SIMONETTI SANDRO SMNSDR53A03E690J, GUERCI GIANNI
GRCGNN37R04D451U, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
CONCA D’ORO 184/190 – pal. D, presso lo studio dell’avvocato
DISCEPOLO MAURIZIO, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato GIULIA DE CESARE, giusta delega a margine del
ricorso;

– ricorrenti contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580 in persona del Ministro pro tempore, elettivamente

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Data pubblicazione: 13/03/2014

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta
e difende, ope legis;

resistente

CORTE D’APPELLO di L’AQUILA del 13.11.2012, depositato il
4.12.2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;
udito per i ricorrenti l’Avvocato Diego Perucca (per delega avv.
Maurozio Discepolo) che ha chiesto raccoglimento del ricorso.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ROSARIO
GIOVANNI RUSSO che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
(P.M. non previsto in riferimento all’art. 70 u.c. c.p.c.).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di appello di l’Aquila, con decreto depositato il 4 dicembre 2012, in
accoglimento dell’eccezione sollevata dal convenuto Ministero dell’Economia e
delle Finanze, dichiarava inammissibile il ricorso proposto da Gianni GUERCI e
Sandro SIMONETTI, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex legge n. 89 del
2001, in riferimento a un giudizio di annullamento della delibera del Commissario
Straordinario dell’I.N.R.C.A. n. 847 del 24.6.1995, introdotto con ricorso notificato il

avverso il decreto nei procedimenti R.G. 784/2011 e 786/2011 della

18 ottobre 1995 e definito con sentenza del T.A.R. Marche n. 26 del 14 gennaio
2009, presentate ripetute istanze di prelievo in data 2.9.1998, 2.10.2001 e 3.6.2005.
La Corte territoriale osservava che quest’ultima sentenza era passata in giudicato il
1° marzo 2010, quindi, il termine di decadenza semestrale fissato dall’art. 4, legge
n. 89 del 2001, era maturato, in quanto il ricorso era stato depositato il 29 settembre
2011. Inoltre, i ricorrenti non avevano provato di avere depositato ricorso avanti alla

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m

Corte di appello di Ancona – territorialmente incompetente – e di avere notificato tale
atto all’Amministrazione convenuta tempestivamente.
Avverso detto decreto hanno proposto ricorso per cassazione il GUERCI ed il
SIMONETTI, affidato ad un unico complessivo motivo, costituita l’Amministrazione

MOTIVI DELLA DECISIONE
Va anzitutto esaminata l’eccezione, sollevata dall’Ufficio di Procura nella
discussione orale, circa la necessità (o meno) dell’intervento del Pubblico Ministero
di legittimità alla pubblica udienza fissata avanti alla sezione di cui all’ari. 376,
comma 1, primo periodo, c.p.c., ovvero, in caso in cui si decida per la non
necessarietà, l’illegittimità costituzionale dell’art. 76 Ord. Giud., come novellato
dall’ari. 81 del D.L. n. 69 del 2013, conv. con legge n. 98 del 2013, nella parte in cui
prevede come non più obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero a dette
udienze, fatta salva la sola facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di intervenire
ove ravvisi un pubblico interesse, per non conformità all’art. 3 Cost..
Quanto al primo profilo, questa Corte (v. in termini Cass. 20 gennaio 2014 n.
1089) ha già avuto occasione di rilevare che l’art. 70, comma 2, c.p.c., quale
risultante dalle modifiche introdotte dall’ari. 75 del decreto-legge 21 giugno 2013, n.
69, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede che il
pubblico ministero «deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei
casi stabiliti dalla legge». A sua volta l’art. 76 del r.d. 10 gennaio 1941, n. 12, come
sostituito dall’ari. 81 del citato decreto-legge n 69, al primo comma dispone che «Il
pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le
udienze penali; b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze
pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di
quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’articolo 376, primo comma,
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al solo fine di prendere parte all’udienza di discussione.

primo periodo, del codice di procedura civile». L’art. 376, comma 1, c.p.c. stabilisce
che «Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall’articolo
374, assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti
per la pronunzia in camera di consiglio». Infine, l’art. 75 del già citato decreto-legge
n. 69 del 2013, quale risultante dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver

la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390, primo comma, del
medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta
esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si tengono
dinnanzi alla sezione di cui all’art. 376, primo comma, al secondo comma ha
stabilito che «Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi
alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o
dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto», e cioè a
far data dal 22 agosto 2013.
Da ciò è stata tratta la conseguenza che l’esplicito riferimento contenuto sia nell’art.
76, comma 1, lett. b), del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del
decreto-legge n. 69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze che si
tengano presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, comma 1, c.p.c.),
consenta di ritenere che per le udienze celebrate presso detta sezione (pubbliche o
camerali) non è più obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero,
impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero di
intervenire ai sensi dell’art. 70, comma 3, c.p.c., e cioè ove ravvisi un pubblico
interesse.
Quanto all’ulteriore profilo della eccezione, di illegittimità costituzionale della
previsione e delle disposizioni del codice di procedura civile connesse, per assunta
violazione del principio di eguaglianza, laddove, prevedendo la facoltà dell’ufficio
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disposto, al primo comma, la sostituzione dell’art. 70, comma 2, del codice di rito, e

del pubblico ministero a prendere parte alla trattazione dei giudizi solo per quelli
avanti alla sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, comma 1, c.p.c.),
diversamente dalle udienze pubbliche avanti alle prime cinque sezioni (semplici)
della Corte, per avere tutte le udienze pubbliche la medesima funzione e la
medesima disciplina, osserva il Collegio che ancor prima che manifestamente

riferimento contenuto nell’art. 75, comma 2, D.L. n. 69 del 2013 alle udienze che si
tengano presso la sesta sezione, che consente di ritenere detta sezione abilitata a
tenere pubbliche udienze e non solo adunanze camerali: Cass. n. 1089 del 2014
cit.), va disattesa, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 24 per manifesta
irrilevanza nel caso di specie, considerato che l’Ufficio di Procura ha preso parte
all’udienza, rassegnando le proprie conclusioni nel corso della pubblica udienza di
discussione.
Appare, pertanto, evidente l’irrilevanza in questo processo delle questioni sollevate
dal P.G. essendo stato concretamente garantito l’intervento del P.M. ed essendo
stato sentito e posto in condizione di poter fare tutte le opportune deduzioni e
produzioni a sostegno delle proprie istanze.
Passando all’esame del ricorso, con un unico motivo, viene denunciata la
violazione ed errata applicazione sotto molteplici profili, anche quale vizio di
motivazione, dell’art. 4 della legge n. 89 del 2001, per avere la corte di merito
ritenuto non verificabile documentalmente la tempestività della proposizione del
ricorso, nonostante fosse stata prodotta la copia autentica dell’ordinanza
declinatoria della competenza territoriale ed il ricorso introduttivo della fase
precedente.
Il ricorso è infondato e va rigettato.
La L. n. 89 del 2001, art. 4, disciplina termini e condizioni di proponibilità della
domanda diretta ad ottenere l’equa riparazione in riferimento alla durata
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infondata (alla luce dell’orientamento sopra riferito, evidenziante l’esplicito

irragionevole di un giudizio, stabilendo che “può essere proposta durante la
pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata,
ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che
conclude il medesimo procedimento, è divenuta definitiva”. La lettera della norma
rende palese che il termine semestrale è di decadenza ed è stato fissato

conseguenza che, affinché possa ritenersi soddisfatta la condizione di proponibilità
prevista dalla disposizione, è necessario e sufficiente che entro detto termine la
parte abbia proposto la domanda, e cioè che il giudizio possa ritenersi pendente.
Allo scopo di stabilire la pendenza del giudizio, secondo un principio affermato da
questa Corte e che va qui ribadito, nei procedimenti che si introducono con citazione
occorre avere riguardo alla data della notificazione della citazione; nei procedimenti
promossi con ricorso occorre, invece, avere riguardo alla data di deposito del ricorso
nella cancelleria del giudice (Cass. n. 7433 del 2002; n. 404 del 2000; n. 4236 del
1996; n. 2081 del 1988), che realizza la editio actionis, in quanto è in questo
momento che si instaura un rapporto tra due dei tre soggetti tra i quali si svolge il
giudizio (Cass. Sez. Un., n. 5597 del 1992; cfr anche n. 7901 del 2003; Cass. n.
4543 del 2006).
Ancora secondo l’orientamento di questa Corte, al quale va data continuità, in virtù
del principio, desumibile dall’art. 2966 c.c. quando l’atto richiesto per impedire una
decadenza consista nell’esercizio di un’azione, la tempestiva proposizione della
domanda giudiziale, ancorché davanti a giudice incompetente, rappresenta un
evento idoneo a detto scopo (Cass. n. 3473 del 2000), purché la riassunzione della
causa innanzi al giudice dichiarato competente avvenga in presenza dei presupposti
e nell’osservanza delle condizioni che permettono di ritenere che il processo sia
continuato, ai sensi dell’ari. 50 c.p.c., davanti al nuovo giudice, mantenendo una
struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali del
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esclusivamente con riferimento alla data di instaurazione del giudizio, con la

giudizio svoltosi dinnanzi al giudice incompetente (Cass. n. 1241 del 1995), posto
che al termine di decadenza non è possibile applicare le norme sull’interruzione
della prescrizione (art. 2964 c.c.) e, in particolare, non trova applicazione l’art. 2945
c.c., comma 3 (in riferimento all’art. 2945 c.c.: così Cass. n. 18145 del 2002).
Dunque, la realizzazione di questo effetto richiede che: la domanda sia stata

domanda in concreto a lui rivolta; il giudice officiato si sia dichiarato incompetente; il
giudizio sia stato tempestivamente riassunto dinanzi al giudice competente, con atto
che deve avere il contenuto prescritto dall’art. 125 disp. att. c.p.c., e cioè il richiamo
dell’atto introduttivo del giudizio (Cass. 18170 del 2004), il riferimento esplicito alla
precedente fase processuale e la manifesta volontà di riattivare il processo già
iniziato attraverso il ricongiungimento delle due fasi in uno stesso ed unico processo
(Cass. n. 8752 del 1994), l’indicazione del provvedimento del giudice in base al
quale è fatta la riassunzione (Cass. n. 2276 del 2001; n. 8124 del 2004), restando
escluso che possa verificarsi l’effetto conservativo – anche ai fini dell’impedimento
della decadenza – nel caso di estinzione dell’originario procedimento e di
instaurazione di un nuovo procedimento (al riguardo cfr. Cass. n. 6717 del 1991).
Nella specie, difettano i presupposti perché questo possa ritenersi realizzato, in
quanto il ricorso alla Corte d’appello di L’Aquila – che può qui essere esaminato in
considerazione della natura del vizio denunciato – manca dei requisiti stabiliti dall’art.
125 disp. att. c.p.c..
Invero, nel ricorso definito dal decreto pur essendovi il richiamo dell’atto introduttivo
del procedimento promosso davanti alla Corte d’appello di Ancona, non è fatto alcun
cenno alla iniziale data di deposito dell’originario ricorso. Né detto elemento risulta
dal decreto che ha concluso il giudizio avanti alla corte dorica ovvero annotato sul
ricorso che ha introdotto detta fase; in alcun modo è dato desumere, dunque, la
data di attivazione del procedimento iniziale, sicchè attraverso il ricongiungimento
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proposta ad un giudice investito di giurisdizione, ma incompetente in ordine alla

delle due fasi in uno stesso ed unico procedimento, possa desumersi la tempestività
dell’azione fatta valere attraverso la riassunzione.
Pertanto, in carenza della produzione del citato effetto conservativo, il
provvedimento impugnato ha correttamente fatto riferimento alla data del passaggio
in giudicato della sentenza del giudizio presupposto – che è incontestato essere

alla Corte dell’Aquila il 29 settembre 2011, esattamente ha ritenuto maturato il
termine semestrale stabilito dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, dichiarando l’atto
inammissibile.
Il ricorsa va, dunque, rigettato.
Nulla per le spese, non avendo l’Avvocatura generale dello Stato svolto, ma solo
preannunciato la propria attività difensiva.
Risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente
dal pagamento del contributo unificato, non sì deve far luogo alla dichiarazione di
cui all’art. 13, comma 1 quater del T.U. approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n.
115, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità
2013).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2″ Sezione Civile, il 26
novembre 2013.

quella del 14 gennaio 2009 – e, quindi, essendo stato depositato il ricorso innanzi

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