Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5938 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 23/02/2022), n.5938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3100-2019 proposto da:

MENICO’ DI T.S. & C. SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, T.S., socio accomandatario,

T.M., socia accomandante, C.E., socia

accomandante, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dagli avvocati SIMONE PUCCINI, MARCO GHILARDI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

e contro

MENICO’ DI T.S. & C. SAS, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati SIMONE PUCCINI, MARCO

GHILARDI;

– ricorrente successivo –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente successiva –

avverso la sentenza n. 1142/8/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della TOSCANA, depositata l’11/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

La società Menicò di T.S. & C. s.a.s., T.S. e T. e C.E., quali soci della società, impugnano avanti alla Corte di cassazione il diniego della definizione agevolata notificato dall’Ufficio in data (OMISSIS) e (OMISSIS) con cui l’Agenzia aveva respinto la domanda di definizione agevolata D.L. n. 119 del 2018, ex art. 6, avente ad oggetto l’avviso di liquidazione emesso a seguito del giudicato formatosi in relazione alla decisione della sentenza della CTP di Pistoia del 4.2.2012.

Si deduce la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere l’Agenzia delle Entrate definito l’atto impugnato atto di mera riscossione.

Si sostiene che l’avviso di liquidazione costituirebbe a tutti gli effetti esercizio della potestà impositiva giacché lo stesso è stato emesso sulla base della decisione resa dalla CTP di Pistoia 4.2.2012 che, diversamente da quanto affermato dall’Ufficio, aveva annullato l’atto impositivo senza rideterminare il quantum dovuto dal contribuente ed aveva ordinato di riemettere un diverso atto con il valore corretto.

Il giudizio è stato fissato ad istanza dell’Amministrazione finanziaria che ha riferito l’avvenuto diniego di definizione agevolata del D.L. n. 119 del 2018, ex, notificato dall’Ufficio il (OMISSIS) e (OMISSIS), sul presupposto che oggetto dell’odierno giudizio è un atto di mera riscossione e non anche un atto impositivo. I ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza camerale insistendo nelle tesi prospettate in ricorso.

Il ricorso è fondato.

Preliminarmente, il ricorso avverso il diniego alla definizione agevolata è sicuramente ammissibile, a norma del D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 12, secondo cui “il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia”, atteso che la dizione legislativa è chiara nell’attribuire alla Corte di cassazione, per le liti pendenti in fase di legittimità, la competenza in unico grado con pienezza di giudizio, e, quindi, anche per motivi di merito, sul provvedimento adottato dall’Amministrazione sulla domanda di definizione.

L’ammissibilità del ricorso diretto alla Corte di cassazione avverso il provvedimento di diniego della definizione della lite fiscale pendente è stata, infatti, affermata da questa Corte già con la sentenza n. 15847 del 12 luglio 2006 (con riguardo alla L. n. 289 del 2002, art. 16), sia dalla successiva pronuncia n. 25095 del 26 novembre 2014, con riferimento al D.L. n. 98 del 2011, art. 39, che prevede che l’impugnazione va proposta “dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite” (in senso conforme, Cass., sez. 5, 30/11/2018, n. 31049; Cass., sez. 5, 3/05/2019, n. 11623).

Peraltro, la decisione sul diniego di condono si pone in “stretto rapporto di pregiudizialità” rispetto a quella concernente l’atto impositivo.

Infatti, come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 1518 del 27 gennaio 2016, “Il condono fiscale….costituisce una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi delle varie componenti ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata” e, pertanto, la definizione agevolata, incidendo sul rapporto sostanziale e processuale tra il contribuente e il fisco, assume carattere logicamente prevalente su quest’ultimo.

Occorre in primo luogo considerare che l’impugnazione del provvedimento di diniego della definizione agevolata costituisce una fase meramente incidentale che si inserisce nell’ambito del giudizio principale in cui si controverte della legittimità dell’atto impositivo impugnato.

Tale conclusione trova giustificazione nel fatto che quando è pendente la lite in cui si discute della legittimità dell’atto impositivo, la istanza di adesione alla definizione agevolata si inserisce in essa come fatto estintivo della medesima controversia ed è per tale motivo che il giudice dinanzi al quale pende il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione dell’atto impositivo sia anche il giudice dinanzi al quale deve essere proposto il ricorso avverso l’eventuale diniego di condono. In tal caso, infatti, il condono non rappresenta l’oggetto di un giudizio autonomo, ma si inserisce in un processo già iniziato quale causa potenzialmente idonea a determinare la cessazione della materia del contendere e viene, quindi, a porsi come un giudizio incidentale.

Pertanto, la lite sul diniego deve essere necessariamente devoluta allo stesso giudice davanti al quale pende la controversia principale; nel caso in cui essa penda dinanzi alla Cassazione, la Corte è chiamata a decidere, incidentalmente, sulla possibilità per il contribuente di avvalersi della definizione agevolata della lite.

Come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 5, 9/03/2005, n. 5092), la lite è già stata trattata in primo ed in secondo grado e, pertanto, il diritto di difesa del contribuente non è violato dalla previsione in unico grado, perché la garanzia costituzionale della tutelabilità delle posizioni soggettive è salva e non risulta neppure violato il principio del controllo di legittimità, in quanto le due funzioni vengono accorpate in unico giudice.

In ordine ai profili oggettivi di estensione della procedura di definizione agevolata, recita il D.L. n. 119 del 2018, art. 6, comma 1, anche sulla scorta delle precedenti versioni della definizione agevolata delle liti fiscali, che “le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria di cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia…”.

Le stesse istruzioni al modello di definizione precisano che per “atti impositivi” vanno intesi gli avvisi di accertamento, i provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione che rechi una pretesa tributaria quantificata, dovendosi escludere dal novero delle controversie definibili quelle aventi ad oggetto atti di mera liquidazione.

Al fine di fornire chiarimenti in merito alle liti che hanno ad oggetto atti impositivi, l’Agenzia delle entrate, con la Circolare 1 aprile 2019, n. 6/E, ha precisato che con tale espressione ci si riferisce agli atti con i quali viene portata a conoscenza del contribuente una pretesa tributaria. Pertanto, anche gli atti della riscossione possono essere definiti impositivi laddove non preceduti da una diversa formalizzazione della pretesa e sempreché il contribuente ne contesti il merito rilevando di non avere ricevuto l’atto presupposto ovvero esercitando il proprio diritto di emendare la dichiarazione in sede giurisdizionale.

In questo senso si è espressa anche questa Corte, costituendo orientamento consolidato e condivisibile quello secondo cui, in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, l’atto non rappresenta la mera richiesta di pagamento di una somma definita con precedenti atti di accertamento, autonomamente impugnabili e non impugnati, ma riveste anche natura di atto impositivo, trattandosi del primo ed unico atto mediante il quale la pretesa fiscale è esercitata nei confronti del dichiarante, conseguendone la sua impugnabilità, D.P.R. n. 546 del 1992, ex art. 19, anche per contestare il merito della pretesa impositiva (cfr. Cass., sez. 5, 4/12/2015, n. 24772; Cass., sez. 5, 22/01/2014, n. 1263). L’impugnazione della cartella di pagamento, con cui l’Amministrazione liquida le imposte calcolate sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente, origina comunque una controversia definibile in forma agevolata, in quanto detta cartella, essendo l’unico atto portato a conoscenza del contribuente con cui si rende nota la pretesa fiscale e non essendo preceduta da avviso di accertamento, è impugnabile non solo per vizi propri della stessa, ma anche per questioni che attengono direttamente al merito della pretesa fiscale ed ha, quindi, natura di atto impositivo (cfr. ex multis, Cass., sez. 5, 28/12/2017, n. 31055; Cass., sez. 5, 29/11/2017, n. 28611; Cass., sez. 5, 24/10/2019, n. 27271; Cass., sez. U, 25/06/2021, n. 18298).

Il provvedimento di diniego di autotutela oggetto di impugnazione in questa sede ha contenuto impositivo, in quanto con tale atto si fa valere una pretesa tributaria in misura diversa da quella originaria che aveva formato oggetto di impugnazione.

Infatti a seguito del passaggio in giudicato della sentenza n. 4/2012 della CTP di Pistoia che aveva annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti dei contribuenti avente ad oggetto il recupero a tassazione di una plusvalenza relativa a due negozi di compravendita l’Ufficio aveva dovuto riemettere un nuovo atto impositivo reso necessario a seguito dell’annullamento di quello originario che tenesse conto dei criteri stabiliti nella decisione ormai divenuta irrevocabile.

L’atto impugnato, quantunque qualificato avviso di liquidazione possiede un contenuto precettivo autonomo sicché il diniego espresso dall’Ufficio deve ritenersi illegittimo.

La sentenza va pertanto cassata in accoglimento del ricorso e rinviata alla CTR della Toscana, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la decisione impugnata e rinvia alla CTR della Toscana, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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