Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5937 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 03/03/2020), n.5937

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30298/2017 proposto da:

T.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Frezza

n. 59, presso lo studio dell’avvocato Emilio Paolo Sandulli, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati Francesco jr. Papa,

Sergio Papa, Simona Papa, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.C.V., elettivamente domiciliata in Roma, Via Caio

Mario n. 27, presso lo studio dell’avvocato Francesco Alessandro

Magni, rappresentata e difesa dall’avvocato Angelo Iannaccone,

giusta procura in calce ai controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4392/2017 della Corre di appello di Napoli,

pubblicata il 25/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2019 dal Cons. Laura Scalia;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., T.G. esponeva al Tribunale di Avellino di aver donato con atto a rogito notaio G. del 27.06.2006 alla resistente, M.C.V., divenuta successivamente sua moglie per matrimonio concordatario celebrato il 2/09/2006, i diritti immobiliari di nuda comproprietà, pari ad un terzo dell’intero, da lui ricevuti, insieme ad altri cespiti, dalla successione ex lege dallo zio, e tanto allo scopo di potersi avvalere del beneficio fiscale cd. “di prima casa”.

Successivamente, i coniugi si separavano consensualmente alle condizioni omologate dal Tribunale di Avellino con provvedimento del 16.09.2009 in conformità ai patti di cui alla scrittura privata datata 11.06.2009, sottoscritta dai coniugi ed allegata al ricorso congiunto di conversione della separazione giudiziale in consensuale, depositato in udienza.

Segnatamente, in detta sede le parti, assistite dai rispettivi difensori, manifestavano il consenso a separarsi in conformità ai patti ed alle condizioni indicati nella separata scrittura che chiedevano di allegare al verbale di udienza, con cui dichiaravano di disciplinare le questioni patrimoniali relative alla quota di nuda proprietà sull’immobile donato.

Nell’allegata scrittura i coniugi convenivano che i diritti trasferiti alla moglie per atto notaio G. venissero ritrasferiti al marito, ragione per la quale, la prima “si impegna-va a comparire dinanzi al notaio…. Per sottoscrivere l’atto la cui bozza viene allegata alla presente scrittura e sottoscritta dalle parti”, il tutto in una scrittura rubricata: “Risoluzione di donazione per mutuo consenso”.

La resistente si rendeva inadempiente all’obbligo assunto di retrocessione del bene ricevuto in donazione.

Il Tribunale adito, nella irrevocabilità della donazione dedotta dalla parte resistente, che della prima assumeva la natura obnunziale, con ordinanza del 17.01.2011 accoglieva la domanda del ricorrente e disponeva il trasferimento ai sensi dell’art. 2932 c.c. in suo favore dei diritti immobiliari di nuda proprietà pari ad un terzo dell’immobile.

Nelle conclusioni raggiunte dal primo giudice, l’atto negoziale avrebbe dovuto ricondursi nello schema del “pagamento traslativo” funzionale alla separazione consensuale ed il suo inadempimento avrebbe legittimato la parte al rimedio di cui all’art. 2932 c.c., consentito in ogni fattispecie da cui sorga un obbligo di prestare il consenso al trasferimento o alla costituzione di un diritto.

2. Su appello proposto ex art. 702-quater c.p.c. dalla resistente – che deduceva la mancanza di un proprio obbligo a prestare il consenso circa il (ri)trasferimento dell’immobile e, comunque, l’invalidità della scrittura di risoluzione della donazione allegata al ricorso congiunto per separazione consensuale in difetto della forma pubblica e, segnatamente, della presenza di due testimoni, prescritta ex art. 1351 c.c. -, la Corte distrettuale di Napoli, in riforma dell’ordinanza di primo grado, con la sentenza in epigrafe indicata, accoglieva l’impugnazione principale ed ha rigettato le domande in via incidentale proposte dall’appellato.

3. La Corte di merito riteneva con la scrittura allegata al ricorso per separazione consensuale che l’appellante si era impegnata a sottoscrivere un contratto di risoluzione consensuale di una donazione che, ove ammissibile, doveva però ritenersi nullo per difetto della forma dell’atto pubblico solenne che avrebbe dovuto rivestire al pari dell’atto donativo su cui andava ad incidere.

4. T.G. ricorre con tre motivi, illustrati da memoria, per la cassazione dell’indicata sentenza cui resiste con controricorso M.C.V..

5. Il rappresentante della Procura Generale della Corte di cassazione ha fatto pervenire memoria scritta in cui ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione del principio di letteralità che presiede alla interpretazione del contratto e dell’autonomia privata, e quindi degli artt. 1322,1324,1325 e 1418 e, ancora dell’art. 1362 c.c., commi 1 e 2, artt. 1372 e 1706 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di merito, senza effettuare una interpretazione del contenuto della scrittura privata, sottoscritta in data 11.06.2009, e della bozza, allegata nel giudizio di separazione personale dei coniugi, dell’atto di risoluzione per mutuo dissenso della donazione, aveva in via apodittica affermato l’inesistenza di ogni legame tra la statuizione sulla soluzione della donazione e le condizioni della separazione consensuale dei coniugi.

I giudici di appello avrebbero in tal modo ritenuto, in erronea applicazione dei principi formatisi nella giurisprudenza di legittimità sul cd. contratto della crisi coniugale, i caratteri della liberalità dell’atto e quindi la necessità del rispetto delle forme solenni previste per la donazione ex art. 782 c.c..

La causa effettiva dell’obbligo di (ri)trasferimento, assunto dalla resistente attraverso la stipula del negozio di risoluzione per mutuo consenso, dei diritti immobiliari ricevuti dal ricorrente per la donazione, a carattere simulato e fiduciario, non era infatti contraddistinta da ragioni di liberalità e tanto nella funzione solutorio-compensativa assolta dall’atto rispetto ai rapporti patrimoniali maturati nel corso della convivenza matrimoniale, secondo lo schema del “contratto di crisi familiare”, espressivo dell’autonomia privata riconosciuta alle parti a tutela di interessi meritevoli.

2. Con il secondo motivo, in via gradata, si fa valere la violazione degli artt. 1322,1324,1371,1372 e 1706 c.c., dell’art. 126 c.p.c. dell’art. 2699 c.c. e dell’art. 48 della legge notarile ed ancora dell’art. 2932 c.c. e dell’art. 782 c.c.

I giudici di appello avevano ritenuto che il negozio concluso dalle parti avesse natura di liberalità e che per il principio della “simmetria” esso avrebbe dovuto rivestire la stessa forma prevista per l’atto principale, del 27.06.2006, sul quale era destinato ad incidere, forma, nella specie, apprezzata come insussistente.

Il requisito della forma solenne sarebbe stato assolto invece dal verbale di udienza in cui la parte aveva manifestato la propria volontà di assumere l’indicato obbligo dinanzi ad un magistrato, alla presenza del proprio difensore, chiedendo al Tribunale di verificare la conformità a diritto del patto e dell’obbligo assunto e quindi, per complessive modalità che avrebbero garantito l’osservanza della forma solenne ex art. 782 c.c..

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce, in via ancor più gradata, l’omesso rilievo ufficioso di una causa di nullità della donazione per la quale era stata proposta domanda di adempimento ex art. 2932 c.c. dell’obbligo solutorio.

Per le affermazioni di principio contenute nella sentenza a SU n. 5068 del 2016, l’originaria donazione sarebbe stata nulla per difetto di causa, in quanto avente ad oggetto un bene altrui e tale doveva intendersi la donazione da parte del coerede, il T., di quote di un bene indiviso ricompreso nella massa ereditaria del congiunto de cuius.

Evidenza, quest’ultima, rispetto alla quale il ricorrente deduce l’esistenza di un interesse giuridico, reale, concreto, patrimoniale ed effettivo al rilievo di nullità.

4. La controricorrente resiste nella dedotta bontà della soluzione ritenuta nell’impugnata sentenza contestando l’ammissibilità del primo motivo perchè censura di attività interpretativo-negoziale in quanto accertamento di fatto riservato al giudice di merito.

4.1. L’autonomia della scrittura privata rispetto all’accordo di separazione avrebbe correttamente determinato il giudice di appello a ricondurre l’accordo alla funzione dello scioglimento consensuale della donazione ed a negarne la validità in difetto di forma solenne. In ogni caso l’atto ove inteso come contro-donazione sarebbe stato nullo attesa la nullità del preliminare di donazione.

4.2. La forma osservata, e per la quale l’atto non sarebbe stato sottoscritto davanti al giudice in udienza, ma redatto con separata scrittura privata, allegata all’istanza congiunta di conversione del rito, non avrebbe soddisfatto i requisiti di forma di cui agli artt. 799 e 2699 c.c..

4.3. L’interpretazione offerta a sostegno del terzo motivo di ricorso della sentenza SU n. 5068 del 2016 sulla nullità per difetto di causa della donazione di un bene altrui sarebbe stata errata, risultando la fattispecie invece scrutinata nella riportata sentenza, quella, diversa dall’ipotesi in esame, del coerede che doni la sua quota di un bene rientrante in una pluralità di beni ereditari indivisi. L’oggetto del giudizio era infatti integrato dal diverso caso della donazione di quota di proprietà di un unico bene ereditario e quindi della intera quota ricevuta dal coerede, trasferimento valido nelle previsioni dello stesso art. 1547 c.c., comma 2, sulla garanzia per evizione della cessione di eredità.

4.4. La donazione del 27.06.2006, della cui risoluzione attraverso la scrittura del 11.06.2009 si controverte, non era inoltre oggetto di domanda e come tale non sarebbe stata elemento costitutivo della istanza ex art. 2932 c.c., ragione per la quale la nullità dell’originario atto di donazione, su cui sarebbero caduti in via mediata ed indiretta gli effetti della scrittura del 11.06.2009, non poteva essere rilevata d’ufficio.

5. Il tema di lite resta definito dalla preliminare esigenza di individuare la qualificazione da riconoscersi alla scrittura di risoluzione intercorsa tra le parti in lite in data 11 giugno 2009 nel rapporto da essa assunto rispetto all’atto su cui ad incidere, ovverosia la donazione del 27 giugno 2006, e, per l’effetto, dalla necessità, nella natura solutoria della scrittura, del rispetto della forma solenne prevista, ex art. 782 c.c., per la donazione, per una efficacia eguale e contraria.

Poichè il negozio originario, quello del 27 giugno 2006, rispetta, pacificamente in atti, la forma prevista per la donazione, ecco che il successivo atto, quello dell’11 giugno 2009, nell’assolta sua finalità solutoria del primo di quest’ultimo deve condividere la forma che è poi quella pubblica e solenne stabilita ad substantiam dagli artt. 782 e 2699 c.c. per la donazione.

6. Sulla indicata comune premessa devono trovare trattazione congiunta trattazione il primo ed il secondo motivo di ricorso per i passaggi di seguito indicati e precisati.

6.1. Il primo motivo è infondato là dove per esso si contesta alla Corte partenopea la violazione dei canoni interpretativi della volontà negoziale.

La Corte di appello, con motivazione piena e lineare che sfugge a censura in questa sede, ha dato conto – scrutinando i contenuti del negozio dell’11 giugno 2009, con cui la resistente si impegnava a sottoscrivere dinanzi al notaio G., che aveva rogato la donazione del 27 giugno 2006, la bozza del negozio di risoluzione dell’originaria donazione che veniva allegata alle condizioni concordate della separazione consensuale – della natura autonoma dell’atto rispetto all’accordo di separazione, individuando la causa della scrittura unicamente nell’impegno di M.C.V. a risolvere la precedente donazione, senza alcun riferimento alla volontà di tacitare pregressi obblighi patrimoniali assunti in costanza di matrimonio e tanto per gli scrutinati contenuti delle condizioni della separazione di cui si è valorizzata, in modo concludente, l’affermata autosufficienza economica delle parti.

Il ricorrente deduce a sostegno del proposto mezzo, e quindi della validità ed efficacia dell’atto solutorio dell’11 giugno 2009 oggetto di lite, muovendo da quella giurisprudenza di questa Corte di cassazione che si è formata sulla categoria dei contratti conclusi dai coniugi in sede di separazione personale al fine di dirimere o prevenire le controversie patrimoniali che alla questione sullo stato possano accompagnarsi.

Gli accordi di separazione personale fra i coniugi, contenenti attribuzioni patrimoniali da parte dell’uno nei confronti dell’altro e concernenti beni mobili o immobili, conoscono nell’esperienza giudiziaria una loro tipicità sostenuta dalla volontà dei coniugi di dare una sistemazione ai rapporti patrimoniali in occasione dell’evento “separazione personale” o in sede di divorzio congiunto.

Si è affermato da questa Corte di legittimità, a descrizione dell’indicato fenomeno negoziale, che l’intento sotteso agli indicati contratti sfugge sia alle connotazioni proprie dell’atto di donazione vero e proprio – destinato a rimanere estraneo al contesto della separazione, contrassegnato, invece e proprio, dal venir meno di ogni connotazione di liberalità, nella dissoluzione delle ragioni dell’affettività – che a quelle dell’atto di vendita, in difetto della corresponsione di un prezzo.

Per vero, negli atti di volta in volta conclusi e sorretti dall’indicato intento si apprezzano i tratti dell’obiettiva onerosità piuttosto che di quelli della “gratuità” e tanto in ragione dei concreti contenuti dei primi, nell’assolta eventuale ricorrenza di una sistemazione “solutorio-compensativa” nell’ambito di tutta quell’ampia serie di rapporti capaci di assumere, anche di riflesso, significati patrimoniali nel corso della convivenza matrimoniale (Cass. 14/03/2006 n. 5473; Cass. 25/10/2019 n. 27409).

La mancanza in siffatti accordi della causa donativa, e tanto nel prevalente loro atteggiarsi per contenuti in cui sono presenti finalità solutorio-compensative di pregressi rapporti patrimoniali, fa sì che il richiamo ai primi non possa valere nella fattispecie in esame, in cui come correttamente inteso dalla Corte di merito, si discute della efficacia di un atto destinato, pacificamente, ad incidere, risolvendola, su di una pregressa donazione per ripristino della situazione patrimoniale quo antea.

La volontà delle parti, come ineccepibilmente ricostruita nell’impugnata sentenza, è stata quella di stipulare un atto di impegno, il negozio dell’11 giugno 2009, al fine di concludere un successivo negozio di risoluzione – destinato ad operare con efficacia ex tunc, per mutuo consenso – di una pregressa donazione.

6.2. E’ infondato anche il secondo connesso motivo nella cui valutazione viene in applicazione il principio della simmetria delle forme per i negozi accessori che trova fondamento nell’art. 1351 c.c., dettato sulla forma del contratto preliminare.

Affermato da questa Corte di legittimità a Sezioni Unite in una ormai risalente sentenza (Cass. SU 28/08/1990 n. 8878), il principio della simmetria delle forme, che ha trovato continuità applicativa non senza assestamenti di percorso registrati nel tempo- in più recenti pronunce (a far data da: Cass. SU n. 14524 del 11/10/2002; Cass. n. 9341 del 17/05/2004, fino a: Cass. n. 8504 del 14/04/2011; Cass. n. 13290 del 26/06/2015; Cass. n. 30446 del 23/11/2018), vuole che il negozio accessorio rivesta la medesima forma di quello principale sicchè il contratto di risoluzione di una donazione deve rivestire la medesima forma dell’atto finale nell’incidenza che il primo è destinato ad avere rispetto al primo.

Il ricorrente fa valere la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice di appello per non aver rilevato che la scrittura privata dell’11 Giugno 2009 allegata alla domanda di conversione della separazione giudiziale in consensuale sarebbe, per ciò stesso, confluita nel verbale di udienza del giudizio di separazione, lasciando in tal modo soddisfatta la forma dell’atto pubblico che la donazione deve rivestire ex artt. 782 e 2699 c.c..

Il motivo si presta ad una valutazione che è di inammissibilità per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente neppure allegato di avere tempestivamente dedotto dinanzi al giudice di appello, adito su impugnativa dell’altra parte, l’indicata circostanza, riportando con puntualità i contenuti della deduzione ed il riferimento agli atti (ex multis: Cass. n. 32804 del 13/12/2019).

6.3. Il terzo motivo è inammissibile per difetto di interesse alla sua proposizione.

6.3.1. La questione di nullità con il mezzo introdotta non è rilevabile ex officio perchè oggetto della dedotta invalidità non è un contratto di donazione di cui si sollecita il rilievo di nullità, ma l’atto solutorio i cui effetti cadrebbero, con effetto indiretto e mediato, sul primo.

In difetto di puntuale allegazione poichè la validità della donazione del 2006 non è elemento costitutivo della domanda ex art. 2932 c.c., la nullità del contratto non può divenire d’ufficio oggetto di accertamento da parte del giudice.

6.3.2. Il motivo è comunque infondato.

Come correttamente dedotto nel controricorso, il precedente invocato dal ricorrente (Cass. SU su donazione e nullità n. 5068/2016), secondo il quale è nulla per difetto di causa la donazione di un bene altrui a meno che il donante affermi espressamente nell’atto che è consapevole dell’attuale non appartenenza del bene donato al suo patrimonio, è destinato a valere rispetto ad una quota ereditaria che ricada su una pluralità di beni come invece dedotto, rispetto a quota di un unico bene relitto, ipotesi in cui il coerede ha facoltà di donare la propria quota ereditaria indivisa ai sensi dell’art. 1547 c.c., comma 2.

7. Il ricorso, in via conclusiva infondato, va rigettato e per il principio della soccombenza il ricorrente, T.G., va condannato a rifondere alla resistente, M.C.V., le spese di lite come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, T.G., a rifondere alla resistente, M.C.V., le spese di lite che liquida in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione Civile, il 5 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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