Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5935 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. I, 11/03/2010, (ud. 12/10/2009, dep. 11/03/2010), n.5935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24513/2004 proposto da:

COMUNE DI CASTELDACCIA (P.I. (OMISSIS)), in persona del Sindaco

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LEONIDA BISSOLATI

76, presso l’avvocato BERRUTI GIULIANO, rappresentato e difeso dagli

avvocati PIRRI Carmelo, GALLO CIRINO, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.S. (c.f. (OMISSIS)), A.L.M. (c.f.

(OMISSIS)), A.M. (c.f. (OMISSIS)), A.

V. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA MONTEVIDEO 21, presso l’avvocato DELLA CORTE FERDINANDO,

rappresentati e difesi dall’avvocato RICCOBONO Mario, giusta procura

in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 637/2004 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 26/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/10/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con citazione del 2 novembre 1993, L.M.R. convenne dinanzi al Tribunale di Palermo il Comune di Casteldaccia, chiedendo che questo fosse condannato a risarcirle il danno da occupazione appropriativa per l’acquisizione definitiva dell’area di sua proprietà – sita nel medesimo Comune ed accatastata al foglio n. (OMISSIS), particelle nn. (OMISSIS) – ed a corrisponderle l’indennità per l’occupazione temporanea legittima dell’area stessa.

In contumacia del Comune convenuto, il Tribunale adito – disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio -, con sentenza del 21 ottobre 2002, respinse le domande, osservando che, pendente il processo, il Comune aveva già corrisposto all’attrice la somma di L. 184.390.600, ritenuta completamente satisfattiva delle pretese fatte valere in giudizio, e compensò per intero tra le parti le spese del grado.

2. – Avverso tale sentenza proposero appello dinanzi alla Corte d’Appello di Palermo A.S., L.M., M. e V. – eredi di L.M.R. -, lamentando che la somma versata non era satisfattiva delle pretese, in quanto essa doveva essere imputata prima agli interessi medio tempore decorsi ed agli altri oneri.

Costituitosi, il Comune di Casteldaccia, nel chiedere la reiezione dell’appello, sottolineò che la predetta somma di L. 184.390.600 era stata calcolata sulla base dell’erroneo presupposto che l’area espropriata avesse l’estensione di mq. 1051, tale considerata dal consulente tecnico d’ufficio, mentre la stessa area aveva, in realtà, la minore estensione di mq. 791, come risultava dal prodotto certificato dell’ufficio tecnico comunale, dal quale risultava che le particelle nn. 624 e 625, insistendo su una regia trazzera, avevano natura demaniale, e che la particella n. (OMISSIS) apparteneva a terzi.

La Corte adita, con la sentenza n. 637/2004 del 26 maggio 2005, in riforma della sentenza impugnata, condannò il Comune di Casteldaccia al pagamento della differenza tra la somma effettivamente dovuta e quella già corrisposta e condannò lo stesso Comune al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

In particolare, per quanto in questa sede ancora rileva, la Corte ha preliminarmente osservato: “Va (…) sottolineato che non è stata oggetto di contestazione la valutazione del bene occupato e illecitamente appreso – peraltro osservandosi che è rimasta del tutto sfornita di prova la prospettazione dell’appellato secondo cui la superficie di detto bene sarebbe inferiore a quella, considerata dal CTU, di mq. 1.051”.

3. – Avverso tale sentenza il Comune di Casteldaccia ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura.

S., L.M., M. e A.V., benchè ritualmente intimati, non si sono costituiti nè hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (con cui deduce:

“Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ.. Insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, sostenendo che il Giudici dell’appello hanno omesso di considerare e, quindi, di motivare sul punto – precisamente dedotto in appello – che, data la genericità delle domande formulate in primo grado (gli attori si erano limitati a chiedere il generico risarcimento del danno patito e l’indennità per l’occupazione temporanea legittima senza specificare l’imputabilità delle somme dovute nè al capitale per danni, nè all’indennità per l’occupazione legittima, nè agli interessi ed agli altri oneri), le domande formulate in appello dovevano considerarsi nuove e, quindi, inammissibili, con la conseguenza che la sentenza stessa è viziata da ultrapetizione.

Con il secondo motivo (con cui deduce: “Insufficiente, erronea e contraddittoria motivazione della sentenza”), il ricorrente critica la sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato che “(…) è rimasta del tutto sfornita di prova la prospettazione dell’appellato secondo cui la superficie di detto bene sarebbe inferiore a quella, considerata dal CTU, di mq. 1.051”, in quanto i Giudici a quibus hanno totalmente omesso di esaminare e, quindi, di valutare, omettendo altresì ogni motivazione al riguardo, il certificato dell’Ufficio tecnico comunale – prodotto in appello -, secondo il quale l’area in questione aveva, in realtà, la minore estensione di mq. 791, da esso risultando che le particelle nn. (OMISSIS), insistenti su una regia trazzera, avevano natura demaniale, e che la particella n. (OMISSIS) apparteneva a terzi; circostanza, questa, decisiva, perchè la somma corrisposta ai ricorrenti nel corso del processo di primo grado – ed ivi ritenuta completamente satisfattiva delle pretese fatte valere dall’originaria attrice – era stata calcolata proprio in base all’estensione dell’immobile espropriato risultante da detto certificato.

Con il terzo motivo, il ricorrente, con riferimento alla pronuncia di condanna alle spese dei precedenti gradi di giudizio, chiede che questa Corte, cassi la sentenza impugnata per violazione del principio della soccombenza.

2. – Il ricorso non merita accoglimento.

2.1. – Il primo motivo è inammissibile, perchè non è autosufficiente. Il ricorrente, infatti, al fine di dimostrare il denunciato vizio di ultrapetizione, per la genericità dei motivi d’appello formulati dalle controparti, avrebbe dovuto richiamare testualmente il contenuto della propria comparsa di risposta, nella parte in cui, come soltanto affermato, avrebbe dedotto dette ragioni di inammissibilità dell’appello; ciò, conformemente al costante orientamento di questa Corte, per il quale anche quando nel ricorso per cassazione sono denunciati errores in procedendo è necessario, per il principio di autosufficienza del ricorso, e quindi per non incorrere nel vizio di genericità della doglianza, che siano indicati con precisione gli elementi di fatto che consentano di controllare la decisività dei vizi dedotti (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 2140 del 2006).

2.2. – Parimenti inammissibile è il secondo motivo, sia perchè il ricorrente non censura la ratto decidendi della sentenza impugnata – laddove afferma che la minore estensione dell’area occupata, pari a mq. 791, costituiva mera allegazione, totalmente sfornita di prova, del Comune appellato -, sia perchè lo stesso motivo, anche per tale profilo, è privo di autosufficienza, non avendo il ricorrente nè precisato che il certificato dell’Ufficio tecnico comunale era stato prodotto in grado d’appello, nè riprodotto il contenuto del certificato stesso.

2.3. – Quanto al terzo motivo, esso è infondato, perchè, in base al principio fissato dall’art. 336 cod. proc. civ., comma 1, secondo il quale la riforma della sentenza ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata (cosiddetto effetto espansivo interno), la riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado determina la caducazione ex lege della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice dell’appello, di provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse in relazione all’esito complessivo della lite (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 13059 del 2007, 15483 del 2008, 4052 del 2009). Nella specie, la sentenza impugnata, nel regolare le spese di lite, ha correttamente applicato il principio della soccombenza, perchè ha riformato totalmente la sentenza di primo grado, in senso favorevole agli appellanti.

3. – Non sussistono i presupposti per pronunciare sulle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 12 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

 

 

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