Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5934 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2021, (ud. 02/02/2021, dep. 04/03/2021), n.5934

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22611-2019 proposto da:

D.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V. TEOFILO

FOLENGO 49, presso lo studio dell’avvocato ILEANA SEPE,

rappresentato e difeso dall’avvocato IVANOE DANILO GRAZIAN;

– ricorrente –

contro

C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO

VII, 474, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ORLANDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO FERRARI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1370/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 24/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/02/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA

NAZZICONE.

 

Fatto

RILEVATO

– che la Corte d’appello di Bologna con sentenza del 24 aprile 2019 ha respinto le impugnazioni avverso la decisione di primo grado, assunta dal Tribunale di Bologna del 17 gennaio 2017, la quale ha, per quanto ancora rileva: i) respinto l’opposizione all’esclusione di D.G. dall’associazione professionale “Studio odontoiatrico associato Dottori D.G., C.T. e R.M.”; a) negato la debenza al medesimo della “indennità di buonuscita”, pattuita tra le parti per il caso di recesso di un associato, in quanto egli era receduto dalla società, ma successivamente alla delibera che lo aveva escluso, revocando il decreto ingiuntivo

concesso al riguardo; condannato il D. a pagare a C.T. la somma di Euro 58.864,99, a titolo di quota parte delle spese sostenute per la gestione dello studio professionale;

– che avverso detta pronuncia propone ricorso D.G., sulla base di tre motivi;

– che si difende con controricorso l’intimata C.;

– che le parti hanno altresì depositato le memorie.

Diritto

RITENUTO

– che i motivi di ricorso possono essere così riassunti:

1) violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., oltre ad omesso esame di fatto decisivo, in quanto la corte territoriale ha affermato di condividere la tesi esposta dal primo giudice circa la non contestazione, ad opera del ricorrente, dei documenti e del credito per spese di studio, vantato da C.T.: invece, il tribunale non aveva affatto ritenuto il credito non contestato, ravvisando la prova documentale al riguardo; prova, invece, insussistente, dato che si trattava di un mero elenco di fatture, mai depositate per intero dalla controparte; al contrario, egli aveva sempre contestato l’altrui pretesa, nè aveva onere di contestazione più specifica, in mancanza di adeguata specificità avversa;

2) violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., avendo la sentenza impugnata ritenuto gli importi, pretesi dalla controparte a titolo di compartecipazione alle spese dello studio associato, del tutto congruenti con i documenti in atti: ma, invece, non è affatto così;

3) violazione o falsa applicazione dell’art. 2289 c.c. e dei patti sociali stipulati il 31 luglio 2006, per non avere la corte territoriale ritenuto a lui dovuta la somma pattuita fra gli associati con la scrittura privata del 31 luglio 2006 per ogni caso di “recesso o scioglimento del rapporto associativo relativamente ad uno qualsiasi degli associati”: evenienza in relazione alla quale essi, invero, avevano stabilito che sarebbe stato “riconosciuto, da parte dei rimanenti, per la liquidazione del possesso del 33,33% della quota nella associazione professionale il controvalore minimo di Euro 45.000,00”;

– che la corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto come: a) il credito di controparte, relativo alle spese da essa sostenute per lo studio associato, non sia in fatto contestato, essendo la contestazione al riguardo, operata da D.G., del tutto generica; inoltre, i documenti prodotti sono idonei a sorreggere l’avversa pretesa, mentre il D. non ha provato di non avere fruito della struttura, come dal medesimo dedotto, ma non dimostrato; b) il credito per la “indennità di buonuscita”, pattuita tra le parti, pur ridotto dal D. ad Euro 22.500,00, pari alla sola quota di spettanza della C., non sussiste: infatti, egli è stato escluso dallo studio con deliberazione del 23 luglio 2009, onde, quando ha esercitato il diritto di recesso in data 25 novembre 2010, non era già più parte della compagine associativa, non avendo neppure rilievo la sospensione della delibera in questione, concessa in data 7 gennaio 2010, ma poi revocata con la sentenza di rigetto dell’opposizione all’esclusione;

– che, ciò posto, il primo ed il secondo motivo sono inammissibili, in quanto essi mirano a confutare il convincimento, espresso dal giudice di merito, circa la sussistenza del credito vantato dalla controparte, che però costituisce un apprezzamento di fatto, incensurabile in Cassazione: in sostanza, il ricorrente intende ottenere una rivalutazione degli elementi probatori in atti, tuttavia motivatamente esaminati dalla corte d’appello per giungere alla conclusione della sussistenza del credito;

– che giova anche precisare come, quando alla dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., i motivi non colgono affatto nel segno, posto che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie, basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione, che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (ex multis, Cass. 20 aprile 2020, n. 7919; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107);

– che, quanto al preteso vizio di violazione dell’art. 115 c.p.c., costituisce principio consolidato che, in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli art. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 29 marzo 2019, n. 8763; Cass. 30 novembre 2016, n. 24434; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267): ma nessun vizio di tal fatta emerge della decisione impugnata;

– che, in particolare, la frase contro cui il ricorrente si appunta -ossia, l’avere la corte del merito ritenuto che anche il tribunale avesse ravvisato la non contestazione ad opera del D. – non assume valore decisivo nell’ambito della motivazione, con inammissibilità dunque della censura: posto che la sentenza afferma di ravvisare, in ogni caso, la prova documentale della pretesa avversaria;

– che neppure emerge un vizio di omesso esame di fatto decisivo, al contrario avendo la corte esaminato tutti gli elementi in atti, ed ora riproposti al giudice di legittimità: noto essendo che, invece, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo novellato nel 2012, è esclusa la censura in sede di legittimità della valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione, attraverso di esse, della fattispecie concreta, trattandosi di compito riservato al giudice di merito;

– che, in conclusione, i primi due motivi sono inammissibili, in quanto, pur sotto l’egida del vizio di violazione di legge o di omesso esame, essi intendono riproporre un giudizio sul fatto, precluso in sede di legittimità;

– che il terzo motivo è invece manifestamente fondato;

– che, invero, lo studio associato è regolato alla stregua di un rapporto associativo;

– che questa Corte ha già chiarito come l’associazione professionale costituisca un centro autonomo di imputazione e di interessi, tanto nel caso in cui assuma la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera, quanto in quello in cui si limiti a dare vita a una condivisione di segreteria (cfr. Cass. 24 maggio 2019, n. 14321; Cass. 10 aprile 2018, n. 8768; Cass. 29 febbraio 2016, n. 3926, in motiv.; Cass. 8 settembre 2011, n. 18455; Cass. 15 luglio 2011, n. 15694; Cass. 28 luglio 2010, n. 17683; Cass. 13 aprile 2007, n. 8853);

– che, dunque, il ricorrente ha dedotto l’esistenza di un accordo di gestione congiunta dell’attività professionale, il quale può essere ricondotto alla disciplina della società semplice: infatti, l’associazione tra professionisti non è incompatibile con lo schema societario delineato all’art. 2247 c.c., in particolare quale società semplice;

– che in ogni caso la giurisprudenza di questa Corte ha da sempre ammesso la costituzione di associazioni, il cui scopo sia quello di porre a disposizione degli associati un apparato di strutture e di mezzi (Cass. 7 gennaio 1993, n. 79; Cass. 13 luglio 1993, n. 7738) ed anche stabilito che la disciplina dei rapporti interni tra i partecipanti alle associazioni fra professionisti ben possa (già nel vigore della L. n. 1715 del 1939) essere stabilita mediante regole pattizie organizzative tipiche dello schema della società di persone (senza che ciò implicasse un’automatica assunzione della forma societaria nei rapporti esterni, cui avrebbe fatto seguito un contrasto con il divieto di legge: Cass. 16 aprile 1991, n. 4032);

– che da tempo si è affermato come lo studio associato, quantunque privo di autonoma personalità giuridica, rientri “nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali sono, ad esempio, le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna, ed ora altresì i gruppi Europei di interesse economico di cui anche liberi professionisti possono essere membri) cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi punti d’imputazione di rapporti giuridici” (Cass. 23 maggio 1997, n. 4628);

– che, in particolare, questa Corte ha già avuto modo di occuparsi dell’obbligazione di liquidazione della quota dell’associato di uno studio professionale (Cass. 11 febbraio 2008, n. 3188, che ha ritenuto essa abbia ad oggetto una somma di danaro e, conseguentemente, costituisca un’obbligazione pecuniaria);

– che, nella specie, viene rilevato in sentenza come le parti, da un lato, avessero stabilito la gestione comune dello studio, al fine della divisione delle spese, e, dall’altro lato, pattuito, per ogni caso di scioglimento del rapporto limitatamente all’associato, la corresponsione di una somma, chiamata “indennità di buonuscita”, la quale costituisse la quota dovuta al soggetto uscente dal rapporto associativo, a qualunque titolo, secondo il principio dell’art. 2289 c.c., evocato dal patto sopra riportato;

– che, dunque, è violato tale principio dalla sentenza impugnata, avendo la corte territoriale ritenuto non dovuto l’importo, reputandolo collegato al recesso, inefficacemente posto in essere dall’associato: senza, invece, considerare che la preventiva liquidazione di un importo dato costituiva, nell’assunto, la misura minima e preconcordata del quantum dovuto a titolo di quota di liquidazione, per qualsiasi causa venisse meno il rapporto sociale limitatamente ad uno dei componenti, come risulta dai patti sociali stipulati il 31 luglio 2006, come dedotto in maniera autosufficiente dal ricorrente (per ogni caso di “recesso o scioglimento del rapporto associativo relativamente ad uno qualsiasi degli associati”);

– che, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio alla corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, perchè decida sulla domanda di liquidazione della quota del soggetto uscente, alla stregua di quanto sopra esposto, sulla base dei documenti e delle prove in atti; ad essa si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili il primo ed il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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