Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5931 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 23/02/2022, (ud. 13/10/2021, dep. 23/02/2022), n.5931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27759-2020 proposto da:

DITTA B.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SABOTINO, 12, presso lo studio dell’avvocato ARCANGELA CAMPILONGO,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

SAFRA MOTOR SRL, R.G.;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 133/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 01/02/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/10/2021 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– il giudizio trae origine dall’opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla ditta B.C., alla quale era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 28.733,95 in favore della Scanga Service Auto s.r.l. in relazione al mancato pagamento della vendita di merce;

– l’opponente dedusse di avere un maggior credito nei confronti della società ricorrente – per aver svolto in suo favore lavori di riparazione di autovetture – e propose domanda riconvenzionale per il pagamento della somma di Euro 65.484,23;

– il Tribunale di Cosenza accolse l’opposizione e rigettò la domanda riconvenzionale;

– la sentenza di primo grado venne confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza dell’1.2.2020;

– la corte di merito accertò che le parti avevano intrattenuto numerosi rapporti d’affari in virtù dei quali la Scanga Service Auto s.r.l. aveva eseguito riparazioni delle vetture e la ditta Brunicella aveva acquistato pezzi di ricambio. Le fatture prodotte erano state reciprocamente contestate e, in ogni caso, non potevano costituire prova del credito se non in sede monitoria; la Corte osservò che la Scanga Service s.r.l. aveva depositato tardivamente la memoria ex art. 183 c.p.c., e la B.C. non aveva provato l’esistenza del proprio credito, attesa la genericità delle dichiarazioni rese dai testi;

– per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la ditta B.C. sulla base di due motivi;

– ha resistito con controricorso la Safra Motor s.r.l., già Scanga Service Auto s.r.l.;

– in prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memoria illustrativa;

– il relatore ha avanzato la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.:

– “con il primo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, l’erronea valutazione delle prove testimoniali con riferimento al valore probatorio delle ricevute fiscali, per non avere la corte di merito tenuto conto degli ordini di lavoro della Scanga Service s.r.l. e delle fotografie attestanti le prestazioni eseguite; con il secondo motivo di ricorso, si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, l’apparenza e l’incomprensibilità della motivazione.

I motivi, che per la loro connessione meritano una trattazione congiunta, sono inammissibili.

Non sussiste, in primo luogo, il vizio di apparente o carente motivazione in quanto la sentenza consente di cogliere l’iter logico seguito secondo dal giudice.

Il vizio di assenza o carenza di motivazione sussiste qualora essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione, per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile; in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Cassazione civile sez. VI, 25/09/2018, n. 22598; Cass. Sez. 07/04/2014 n. 8053).

Priva di fondamento è la deduzione dell’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio con riferimento alle fotografie ed gli ordini di lavoro, che costituiscono elementi di prova sottoposti all’insindacabile valutazione del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare conto dei singoli elementi probatori sottoposti al suo prudente apprezzamento.

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La corte di merito ha accertato che le parti intrattenevano numerosi rapporti d’affari in virtù dei quali la Scanga Service Auto s.r.l., quale concessionaria, eseguiva le riparazioni delle autovetture e la ditta B. acquistava i pezzi di ricambio. Le fatture prodotte erano state reciprocamente contestate, né potevano costituire prova del credito se non in sede monitoria; nel corso del giudizio, la Scanga Service s.r.l. aveva depositato tardivamente la memoria ex art. 183 c.p.c., e la ditta B.C. non aveva provato il proprio credito, attesa la genericità delle dichiarazioni dei testi addotti”.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il Collegio condivide la proposta del Relatore;

– la memoria depositata dal difensore non offre argomenti nuovi rispetto ai motivi di ricorso, essendo meramente reiterativa degli stessi;

– il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile;

– le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente;

– ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta-2 Sezione Civile, il 13 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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