Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5928 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2010, (ud. 10/02/2010, dep. 11/03/2010), n.5928

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. SOTGIU Simonetta – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 16635/2005 proposto da:

COMUNE DI VITERBO, in persona del Vice Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA LARGO MESSICO 7 presso lo studio

dell’avvocato CONTICIANI Paola, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DEL TERRITORIO, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

contro

C.O., AGENZIA DEL TERRITORIO UFFICIO DI VITERBO,

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 13/2004 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 04/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

10/02/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato CONTICIANI PAOLA, che si riporta

agli scritti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per l’accoglimento.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Viterbo C.O. proponeva opposizione avverso due avvisi di rettifica e liquidazione, ai fini dell’Ici per gli anni 1994 e 1997, nonchè per il mancato riconoscimento dell’esenzione fiscale per alcuni fabbricati rurali annessi all’abitazione, avvisi che, l’amministrazione di quel Comune gli aveva fatto notificare a seguito della determinazione delle rendite catastali definitive rispetto all’immobile di sua proprietà destinato ad uso abitativo, e ciò nell’ambito della revisione generale delle tariffe di estimo, delle rendite delle unità immobiliari urbane e dei criteri di classamento, sicchè veniva richiesta un’imposta maggiore di quella versata, senza interessi e sanzione. Egli esponeva che tali atti non contenevano la prescritta motivazione, anche perchè la nuova rendita come rettificata non gli era stata prima notificata; inoltre erano privi dei presupposti, mentre circa le unità rurali l’ufficio del catasto non aveva provveduto sulla domanda di esenzione a suo tempo presentata, trattandosi di unità strumentali all’attività agricola, o quanto meno non le aveva classificate nella categoria (OMISSIS), e pertanto l’ente impositore non poteva avanzare alcuna pretesa;

pertanto chiedeva l’annullamento degli atti impugnati e l’inclusione di queste nella medesima.

Instauratosi il contraddittorio, il Comune eccepiva l’infondatezza del ricorso, in quanto gli atti impositivi erano scaturiti dalla diversa rendita attribuita agli immobili dall’agenzia del territorio, l’unica competente al riguardo; le unità rurali non erano oggetto degli atti impositivi, e quindi la relativa doglianza era inammissibile, giacchè si trattava di questione che esulava da essi;

in ogni caso l’esenzione, per la quale peraltro nessuna istanza era stata mai presentata dal ricorrente, non poteva essere riconosciuta per carenza del presupposto soggettivo, costituito dalla qualità di coltivatore diretto del contribuente, senza che la parte l’avesse indicata nella dichiarazione del reddito, che perciò era infedele;

nè questa doveva essere notificata espressamente ad essa, che perciò era tenuta al pagamento di quanto richiesto; pertanto il resistente chiedeva il rigetto del ricorso introduttivo.

Anche l’agenzia del territorio si costituiva, chiedendo analoga pronuncia per infondatezza.

Quella commissione lo rigettava con sentenza n. 194 del 2003.

Avverso la relativa decisione il contribuente proponeva Appello, cui l’ente pubblico territoriale resisteva, e nel quale pure l’agenzia si costituiva, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, in riforma di quella impugnata, ha annullato gli avvisi di rettifica con sentenza n. 13 del 22.5.2004, osservando che il contribuente aveva indicato la rendita catastale, già attribuita dal catasto, nella dichiarazione del reddito, mentre invece essa era stata aumentata nel 2001 senza motivazione. Inoltre i fabbricati rurali dovevano essere inseriti nella classe (OMISSIS), trattandosi di beni strumentali all’attività agricola, e ciò a prescindere dalla qualifica di coltivatore diretto del proprietario, come accertato dai verificatori per conto del Comune in sede di sopralluogo effettuato il 20.3.2002.

Contro questa pronuncia il Comune di Viterbo ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi.

C. non ha svolto alcuna difesa, mentre l’agenzia del territorio si è costituita con controricorso, col quale ha aderito alle doglianze prospettate dal primo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il Collegio rileva che il ricorso è stato notificato all’agenzia del territorio il 21.6.2005, mentre il controricorso di essa lo è stato in data 20.3.2006, e quindi oltre il prescritto termine di giorni venti dalla scadenza di quello previsto per il deposito del primo, con la conseguenza che questo secondo, notificato e depositato oltre i termini previsti dall’art. 370 cod. proc. civ., è inammissibile, e da tale inammissibilità deriva il divieto per i giudici di conoscerne il contenuto e per la resistente di depositare memorie, fatta salva la facoltà di eventuale partecipazione del difensore di quest’ultima alla discussione orale (V. pure Cass. Sentenza n. 9396 del 21/04/2006).

1) Ciò premesso, col primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 18, lett. d) e art. 19, con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la commissione tributaria regionale non ha considerato che la questione relativa alla classificazione dei fabbricati rurali non poteva essere oggetto di delibazione, giacchè gli avvisi di rettifica concernevano altro, diverso immobile, posto che i provvedimenti impugnabili sono tassativamente previsti dall’art. 19 suindicato, e tra questi non è contemplato il preteso silenzio dell’amministrazione in tale materia.

In ogni caso nessuna istanza risultava mai presentata dall’interessato, nè eventualmente il Comune avrebbe avuto la rispettiva competenza in tema di categoria e classe per la rendita.

Il motivo è fondato.

A parte il fatto che l’appellante non aveva indicato a quale ente nè in quale data avrebbe richiesto l’agevolazione per i pretesi rustici, tuttavia va rilevato che nel processo tributario l’indagine sul relativo rapporto è necessariamente limitata al riscontro della consistenza della pretesa fatta valere dall’amministrazione finanziaria con l’atto impositivo, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso enunciati. Infatti la struttura di esso è caratterizzata da un meccanismo d’instaurazione imperniato sull’impugnazione di uno degli atti specificamente indicati dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, ed il cui oggetto è rigorosamente circoscritto al controllo di legittimità formale e sostanziale dell’atto impugnato, nei limiti delle contestazioni sollevate dal contribuente con i motivi dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado. Pertanto la domanda riconvenzionale, da chiunque proposta, è inammissibile, potendo eventuali pretese del contribuente essere fatte valere soltanto mediante l’impugnazione di un atto di diniego emesso su un’istanza presentata all’ente impositore, ovvero del silenzio rifiuto formatosi sulla medesima istanza, allorquando evidentemente egli abbia fornito la prova di averla presentata (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 20516 del 22/09/2006, n. 15121 del 2006).

Sul punto perciò la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 11, L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 3 e L. n. 388 del 2000, art. 18, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, giacche la CTR non ha considerato che gli avvisi di rettifica contenevano tutti gli elementi necessari ad individuare la categoria, la classe e la rendita attribuita dall’agenzia, e che non poteva essere disattesa dall’ente impositore, trattandosi soltanto di aggiornamento degli estimi come fatto automatico, e i cui dati peraltro erano già conosciuti da C., che si era avvalso della rendita presuntiva nelle precedenti dichiarazioni.

Il giudice di appello ha ritenuto che gli atti impositivi fossero privi di motivazione, senza però indicarne gli elementi.

L’assunto non è esatto.

Invero nella presente materia la L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 3, si limita a prevedere, senza peraltro fissare alcun obbligo di allegazione o riproduzione, che gli atti impositivi fondati sulle attribuzioni di rendita adottate entro il 31 dicembre 1999 costituiscono a tutti gli effetti anche notificazione di dette rendite, mentre il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 11, comma 2 bis, comma introdotto dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, pur confermando, in via generale, l’obbligo di allegazione dell’atto presupposto sconosciuto, ha ritenuto, però, di dover escludere tale obbligo, quando l’atto impositivo riproduca il contenuto essenziale dell’atto richiamato, come nella specie. Tale disposizione, pur ponendosi in continuità logico-sistematica con i principi di chiarezza e motivazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, tuttavia ne attenua il rigore, esonerando dall’obbligo dell’allegazione in tutti i casi in cui il contenuto essenziale dell’atto richiamato venga riprodotto in motivazione, per tale intendendosi l’indicazione degli elementi da cui trae le mosse la pretesa impositiva (V. pure Cass. Sentenze n. 8932 del 29/04/2005, n. 5755 del 2005).

Inoltre va rilevato che l’obbligo di allegazione all’atto impositivo, o di riproduzione al suo interno, di ogni altro atto richiamato dal primo, non si applica agli avvisi di accertamento emessi in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 11, comma 2 bis, introdotto dal D.Lgs. 26 gennaio 2001, n. 32, non avendo tali disposizioni efficacia retroattiva (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 19066 del 29/09/2005, n. 8932 del 2005).

3) Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, poichè il giudice di appello ha omesso di indicare le ragioni, per le quali ha ritenuto privi di motivazione gli atti impositivi impugnati, dal momento che essi contenevano gli elementi relativi alla attribuzione della rendita, come peraltro ben conosciuti dall’appellante, senza tenere conto che si trattava di un automatismo legislativo nella variazione delle percentuali da applicare per l’aggiornamento delle rendite catastali in generale.

La doglianza va condivisa.

Invero nella presente materia solo a decorrere dal primo gennaio 2000 gli atti di attribuzione o di modifica della rendita catastale sono efficaci dal giorno della loro notificazione, giacche per quelli comportanti attribuzione di rendita adottati entro il 31 dicembre 1999, ancor quando successivamente notificati, il Comune di Viterbo poteva legittimamente richiedere l’ICI dovuta in base al classamento, che aveva effetto dalla data di adozione e non da quella di notificazione, non potendo trovare applicazione il primo comma della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, concernente la diversa ipotesi in cui l’attribuzione della rendita catastale non solo fosse stata notificata, ma anche effettuata dopo il primo gennaio 2000 (V. pure Cass. Sentenze n. 8932 del 29/04/2005, n. 22571 del 2004).

4) Col quarto motivo il ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 139 del 1998, art. 1, in quanto la CTR non poteva ritenere esenti dall’imposta in questione i fabbricati rurali, considerandoli strumentali all’attività agricola da parte del proprietario come coltivatore diretto, e per di più a seguito di un accesso compiuto da privati privi di rappresentatività dell’ente locale.

La censura rimane assorbita da quanto enunciato rispetto al primo motivo.

Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto ex art. 384 c.p.c., comma 1, e rigetto del ricorso in opposizione del contribuente avverso gli avvisi di accertamento.

Quanto alle spese del doppio grado, sussistono giusti motivi per compensarle, mentre le altre di questo giudizio seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo, tranne che per la controricorrente agenzia per le ragioni prima esposte.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata senza rinvio, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo; compensa le spese del doppio grado, e condanna l’intimato al rimborso di quelle di questo giudizio, e che liquida, in complessivi Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, ed Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorario, oltre a quelle generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

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