Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5926 del 08/03/2017
Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 10/11/2016, dep.08/03/2017), n. 5926
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIELLI Stefano – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21883-2012 proposto da:
F.I., F.G., elettivamente domiciliati in
ROMA VIA F. DENZA 20, presso lo studio dell’avvocato LAURA ROSA,
rappresentati e difesi dall’avvocato CHRISTIAN CALIFANO giusta
delega in calce;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 85/2011 della COMM.TRIB.REG. dell’EMILIA
ROMAGNA, depositata il 07/07/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/11/2016 dal Consigliere Dott. ORONZO DE MASI;
udito per i ricorrenti l’Avvocato LAURA ROSA per delega dell’Avvocato
CALIFANO che ha chiesto l’accoglimento;
udito per il controricorrente l’Avvocato PALATIELLO che si riporta al
controricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL
CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notarile del 22/1/2007, F.I. donava al figlio F.G. una quota di partecipazione della società Farmacia F. dei dottori F.I. e P., con l’onere di corrispondere al donante una rendita vitalizia pari al 10% degli utili ritraibili dalla quota donata.
In sede di registrazione, l’Ufficio riqualificava la fattispecie negoziale come contratto a titolo oneroso, individuando nella rendita una vera e propria controprestazione, non già un modus della donazione, ed assoggettava ad imposta l’ammontare di tale rendita, applicando l’aliquota del 3%.
Successivamente, in data 20/3/2007, i contribuenti presentavano all’Ufficio istanza di rimborso di detta imposta e, formatosi il silenzio rifiuto dell’Amministrazione, proponevano ricorso innanzi alla Commissione tributaria di primo grado di Reggio Emilia, che lo respingeva, ritenendo che i F. non avessero diritto ad alcun rimborso in quanto “gli importi definiti nella rendita erano per entità tali da individuare, al di là di ogni legittimo dubbio la volontà di costituire una rendita vitalizia”, ed evidenziando come a fronte del valore dichiarato della partecipazione sociale, di Euro 87.831,68, il 10% degli utili per l’anno 2007 fosse stato forfettariamente indicato in Euro 8.000,00.
I contribuenti proponevano appello alla Commissione tributaria di secondo grado di Bologna, la quale respingeva il gravame, rilevando come le pattuite condizioni contrattuali alterassero “la gratuità che dovrebbe contraddistinguere l’attribuzione… delineandosi la fattispecie del contratto oneroso”, stante l’assorbimento dell’animus donandi che deve pur sempre contraddistingue la donazione modale.
Avverso tale sentenza i contribuenti propongono ricorso per cassazione sorretto da un unico motivo, illustrato con memoria ex art. 378 c.p.c., cui l’intimata Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Il collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con un articolato motivo i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 793 e 1367 c.c., D.L. n. 226 del 2006, art. 2, comma 49, D.P.R. n. 131 del 1986, art. 46, comma 1, per avere il giudice di appello male interpretato le disposizioni del codice civile disciplinanti la donazione modale, avuto riguardo alla clausola contrattuale con la quale il donatario assume l’onere di corrispondere al donante “una rendita vitalizia pari al 10% degli utili ritraibili dalla quota donata ovvero, qualora il donatario trasferisse in toto o in parte la suddetta quota di partecipazione, la somma di Euro 8.000,00 da intendersi rivalutata in misura pari all’indice ISTAT”, rendita per l’anno 2007 forfettariamente quantificata in Euro 8.000,00. Sostengono i contribuenti che la patrimonialità dell’onere posto a carico del donatario non altera di per sè la natura liberale dell’atto in quanto il disponente intendeva attuare un fine aggiuntivo ed accessorio rispetto a quello principale dell’arricchimento del beneficiato della liberalità, fine che non snatura lo schema causale del negozio concretamente adottato rappresentando piuttosto una limitazione della liberalità. Evidenziano, infine, che il legislatore ha circoscritto il dovere del donatario di adempiere all’onere “entro i limiti di valore della cosa donata”, sicchè è ammessa la possibilità che il modus possa coprire l’intero valore della cosa donata e che, nel caso di specie, il peso posto a carico del donatario risulta del tutto irrisorio rispetto ai frutti ritraibili dalla quota societaria donata.
Il motivo di doglianza è inammissibile.
Va, innanzitutto, ricordato che, “al fine della qualificazione giuridica di un contratto, ha rilievo l’indagine sulla causa, oggettivamente intesa come funzione essenziale e caratterizzante del contratto medesimo, in relazione al risultato immediatamente perseguito dalle parti, e non anche la ricerca degli ulteriori fini soggettivi che abbiano spinto i contraenti a negoziare, ancorchè inseriti in clausole accessorie dell’atto” (Cass. n. 13876/2005).
Nella specie, il giudice di appello ha qualificato come vitalizio oneroso, anzichè donazione modale, il contratto avente ad oggetto il trasferimento, a titolo gratuito, della quota di partecipazione della società Farmacia F. dei dottori F.I. e P. con l’onere di corrispondere in favore del disponente una rendita vitalizia in misura pari al 10% degli utili ritraibili dalla predetta quota ovvero la somma di Euro 8.000,00, annualmente rivalutabile, in caso di trasferimento a terzi in toto o in parte la suddetta quota di partecipazione, sulla scorta della affermazione che la prestazione a carico del figlio ha “carattere patrimoniale” come quella a carico del padre, quest’ultima “consistente nel trasferimento della quota societaria”, così da risultare alterata la “gratuità” dell’atto dispositivo e da imprimere un vincolo di sinallagmaticità tra il trasferimento della partecipazione e la prestazione economica imposta alla controparte contrattuale destinataria della prima.
Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, stabilire se l’onere imposto al donatario sia tale da porre in essere un modus oppure valga ad imprimere al negozio carattere di onerosità costituisce indagine di fatto, attinente all’interpretazione del negozio di donazione, e l’apprezzamento del giudice del merito sul punto è insindacabile in sede di legittimità, se congruamente e correttamente motivato (Cass. n. 14120/2014; n. 13876/2005; n. 7679/2001; n. 7242/2001; n. 679/1986; n. 5888/1986; n. 6414/1984).
Con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul mancato rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e segg., e sulla incoerenza e illogicità della motivazione addotta (Cass. n. 22801/2009; n. 4178/2007; n. 2074/2002), per cui deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella mera prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015).
Va, in proposito, ricordato il principio di diritto, più volte affermato da questa Corte di legittimità, secondo il quale “la parte che con il ricorso per cassazione intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’ interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, e dovendo i rilievi contenuti nel ricorso essere accompagnati, in ossequio al principio di autosufficienza, dalla trascrizione delle clausole individuative dell’effettiva volontà delle parti, al fine di consentire alla Corte di verificare l’erronea applicazione della disciplina normativa” (Cass. n. 25728/2013).
Ebbene, i rilievi contenuti nel ricorso proposto dai contribuenti non investono affatto la motivazione della decisione, mediante l’individuazione di obiettive deficienze o contraddizioni del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione negoziale accolta dal Giudice di appello, sia pur, per quanto sopra detto, nei limiti del sindacato di legittimità, che può riguardare unicamente la coerenza formale della motivazione (Cass. n. 17168/2012; n. 17749/2003; n. 13638/2006; n. 5234/2005), ma si limitano alla denuncia generica della violazione delle regole ermeneutiche, senza la specificazione dei canoni che, in concreto, si assumono violati, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di un’interpretazione del contratto, oggetto di interpretazione, diversa e più favorevole di quella criticata (Cass. n. 9157/2000).
Segue, secondo soccombenza, la pronuncia sulle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo.
PQM
LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio che liquida, in favore dell’Agenzia delle Entrate, in Euro 1.600,00 per compensi, oltre rimborso spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017