Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5920 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 24/10/2016, dep.08/03/2017),  n. 5920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. BOTTA Raffaele – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20728-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.V., titolare dell’omonima Ditta, elettivamente

domiciliato in ROMA VIALE REGINA MARGHERITA 262-264, presso lo

studio dell’avvocato SALVATORE TAVERNA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ALESSANDRO PAINO giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 47/2010 della COMM.TRIB.REG. della SICILIA,

depositata il 15/06/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/10/2016 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFALI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato STEFANINI per delega orale

dell’Avvocato TAVERNA che si riporta e chiede il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nei confronti di M.V. venne emesso con riferimento all’anno d’imposta 1999 avviso di accertamento con cui si contestava l’indebita detrazione di IVA relativamente alle operazioni soggettivamente inesistenti intercorse fra il contribuente e la ditta CO.BE.VI. Il ricorso del contribuente fu accolto dalla CTP. L’appello dell’Ufficio fu disatteso dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia sulla base della seguente motivazione.

Con riferimento alla contestazione di fittizietà del rapporto triangolare, “mentre risultano ampiamente documentati i pagamenti effettuati dal contribuente (mediante bonifici ed assegni circolari), sia per quanto riguarda le somme imponibili che per quanto concerne l’imposta, non risulta in alcun modo documentata la circostanza che l’IVA sia stata in qualche modo o misura restituita al contribuente o che il primo cessionario (CO.BE.VI) non sia stato l’effettivo destinatario delle operazioni ad esso intestate. Pertanto mentre la negazione del credito, posta alla base dell’accertamento risulta ingiustificata a fronte delle prove in atti in ordine alla effettività delle operazioni, l’accertamento impugnato va annullato, non essendo stato assolto nella specie l’onere della prova che incombeva sull’amministrazione appellante”.

Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il contribuente.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va premessa l’inammissibilità del controricorso, mancando la prova della relativa notifica (non risulta depositata la cartolina di ricevimento).

Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2697 e 2727 c.c., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che numerosi erano gli elementi riscontrati dai verificatori volti a dimostrare l’esistenza della frode e che la CTR si era soffermata a valutare l’esistenza degli acquisti e dei relativi pagamenti, laddove il contribuente doveva provare di non essere a conoscenza, o di non poter conoscere, l’esistenza della frode. Aggiunge che la CTR, in violazione delle regole in materia di onere probatorio, aveva posto a carico dell’Ufficio l’onere di provare l’estraneità del contribuente alla frode, che doveva invece provare quest’ultimo, dovendosi presumere, in base al meccanismo della frode, che il contribuente ne fosse a conoscenza.

Il motivo è infondato. In tema di IVA, il diritto alla detrazione D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 19, non può prescindere dalla regolarità delle scritture contabili ed in specie della fattura, documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa; pertanto, qualora l’amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta alla stessa, adducendo la falsità del documento e quindi l’inesistenza di un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale in realtà non è stata mai posta in essere, anche attraverso elementi presuntivi, che il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, e solo qualora li ritenga dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, consentirà al contribuente, che ne diviene onerato, di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass. 24 luglio 2013, n. 17977). Di tale regola sull’onere probatorio ha fatto applicazione la CTR, affermando che l’onere incombente sull’Ufficio non era stato assolto, mentre il contribuente aveva dimostrato l’effettività delle operazioni. Si consideri inoltre che qualora l’amministrazione contesti ad un operatore il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto in ragione di una supposta inesistenza soggettiva delle operazioni oggetto dell’accertamento, è onere della medesima amministrazione provare, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo interessato sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva – per l’esistenza nella specie di indizi idonei ad avvalorare il sospetto in tal senso indicati dall’amministrazione – in un’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni (Cass. 20 dicembre 2012, n. 23560).

Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente, denunciando la nullità della sentenza per mancanza di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che la CTR non ha affrontato le questioni della fittizietà delle operazioni e dell’onere della prova in capo al contribuente circa l’effettività delle operazioni.

Il motivo è inammissibile. In disparte la questione dell’errata indicazione della norma in rubrica (l’art. 115, anzichè l’art. 112), va rammentato che il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell’art. 112 c.p.c., può dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un’eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per “error in procedendo”, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull’eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell’ambito di quella domanda o di quell’eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. L’erronea sussunzione nell’uno piuttosto che nell’altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l’inammissibilità del ricorso (Cass. 11 maggio 2012, n. 7268). La censura di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato ha ad oggetto non una domanda, ma l’esame di una questione. Doveva pertanto essere denunciato il vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comnma 1, n. 5.

Con il terzo motivo si denuncia omessa o contraddittoria motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che, rispetto a quanto dedotto in appello in ordine alla fittizietà dell’operazione ed al carattere cartolare dell’interposto, la CTR si è limitata a rilevare che risultavano provati i pagamenti effettuati dal contribuente e che l’IVA pagata non era stata restituita, senza effettuare alcuna verifica circa quanto dedotto dall’Ufficio. Aggiunge che il contribuente aveva nella sostanza rapporti commerciali con il fornitore estero, che restava immutato anche a seguito della cessazione dell’attività da parte della ditta intermediaria.

Il motivo è infondato. La CTR non ha limitato la propria indagine alla circostanza della prova dei pagamenti effettuati dal contribuenti ed a quella della mancata restituzione dell’IVA pagata, ma ha anche concluso nel senso che non risultava provato che il primo cessionario (CO.BE.VI) non fosse stato l’effettivo destinatario delle operazioni. La questione della fittizietà dell’operazione e del carattere cartolare dell’interposto è dunque entrata nel procedimento logico della decisione. Con riferimento poi alla questione dei rapporti commerciali con il fornitore estero, che sarebbe restato immutato anche a seguito della cessazione dell’attività da parte della ditta intermediaria, in violazione del principio di autosufficienza la ricorrente non ha specificatamente indicato se ed in quale sede processuale la questione sia stata dedotta.

Nulla per le spese, stante l’inammissibilità del controricorso.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il controricorso e rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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