Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5916 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 17/10/2016, dep.08/03/2017),  n. 5916

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21697/2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) SRL O SPA in persona dei Curatori, elettivamente

domiciliato in ROMA PIAZZA VESCOVIO 21, presso lo studio

dell’avvocato TOMMASO MANFEROCE, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– controricorrente –

udita la sentenza n. 85/2013 della COMM. TRIB. REG. della LOMBARDIA,

depositata il 17/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/10/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate ha notificato alla s.r.l. (OMISSIS), poi sottoposta a fallimento, venditrice e distributrice di produzioni editoriali, atti di contestazione con cui ha irrogato sanzioni pari a Euro 1.263.000 nonchè recuperato interessi, avendo la società presentato istanze di rimborsi accelerati infrannuali di credito i.v.a. in ordine a trimestri degli anni 2005, 2006 e 2007, invocando del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 2, che consente il rimborso stesso quando si verifichi una delle condizioni di cui all’art. 30, comma 3, avendo in particolare dichiarato di versare nella situazione di cui alla lett. a) di tal ultima disposizione, in quanto la differenza tra l’aliquota media sugli acquisti e sulle importazioni avrebbe superato quella mediamente applicata sulle operazioni attive, con una maggiorazione del 10% (D.L. n. 250 del 1995, art. 3, comma 6, convertito dalla L. n. 349 del 1995); in sede di controllo, al contrario, l’ufficio ha appurato l’assenza del presupposto, avendo la società erroneamente, determinato l’aliquota media includendovi le operazioni di cui del D.P.R. n. 622 del 1972, artt. 8, 9 e 74, non soggette a i.v.a. o non imponibili in virtù delle semplificazioni del regime di tale imposta nel settore della distribuzione dei prodotti editoriali.

La commissione tributaria provinciale di Milano ha accolto, previa riunione, i tre separati ricorsi della contribuente.

La sentenza, appellata dall’ufficio, è stata confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia in Milano, che ha ritenuto non essere applicabili sanzioni nel caso in cui la violazione sia giustificata da condizioni di incertezza sulla portata e sull’applicazione della norma.

Avverso questa decisione l’agenzia propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, rispetto al quale la curatela deposita controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente si dà atto che è stata autorizzata la redazione della sentenza in forma semplificata ai sensi del Decreto del Primo presidente del 14 settembre 2016.

2. – Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendosi essere tale norma preclusiva delle sanzioni applicabile solo in caso di incertezza normativa oggettiva, non sussistente nel caso di specie, neppure sussistendo errori dipendenti da una delle circolari citate dalla controparte.

3. – Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dal se il rimborso degli interessi fosse indebito. Si deduce, al riguardo, che l’ufficio non solo ha irrogato la sanzione prevista dal D.Lgs. n. 471 del 1992, art. 13, ma ha anche recuperato gli interessi indebitamente rimborsati e ha applicato gli interessi moratori; non assorbendo la decisione sull’illegittimità eventuale della sanzione la questione della legittimità del recupero degli interessi, legata alla sussistenza dell’indebito in relazione alle previsioni del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, ne risultava che la commissione regionale non aveva esaminato la questione stessa.

4. – Con il terzo motivo – formulato per l’ipotesi che si dovesse ritenere che la commissione regionale avesse motivato sulla questione di cui innanzi in tema di interessi in relazione alla prassi – si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 114 c.p.c.. In particolare, si deduce che la prassi non è fonte di diritto.

5. – Con il quarto motivo si denuncia violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74 lett. c) e art. 30, comma 3, lett. a) in quanto il distributore e i successivi acquirenti non sono soggetti, nel settore editoriale, ad alcuna obbligazione tributaria, onde risulta violato l’art. 74 cit. per essere soggetto all’imposta l’editore.

6. – Il primo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la “ratio” delle decisione. Come detto, con il motivo la ricorrente suppone che la sentenza impugnata abbia postulato una “regula iuris” idonea a escludere l’applicabilità di sanzioni anche al di fuori dell’incertezza ogettiva. Senonchè in effetti con l’impugnata sentenza la commissione regionale ha applicato proprio la “regula iuris” invocata, affermando il sussistere dell’incertezza oggettiva. Invero, con la sentenza impugnata la commissione regionale ha fatto riferimento a “una serie di documenti” di causa, dal quale risultava “la prassi consolidata dell’ufficio” nel senso della possibilità del rimborso infrannuale. Tale affermata possibilità secondo la prassi, in base all’impugnata sentenza, esclude altresì che possa ritenersi “indebito” il rimborso, “relativamente al quale andrebbero restituiti gli interessi corrisposti per la tardività del rimborso medesimo, nè, men che meno”, consente che possa configurarsi “un virtuale mancato pagamento dell’i.v.a. su cui corrispondere addirittura degli interessi moratori”. La sentenza ha poi citato una interrogazione parlamentare del 2007, a fronte della quale l’amministrazione, mutato “in senso restrittivo il pluridecennale orientamento circa la computabilità delle operazioni esenti nel calcolo dell’aliquota media i.v.a. sulle vendite”, si era riservata un chiarimento sulla portata della norma dell’art. 30, comma 3, lett. a) cit.; tale evento – ha ritenuto la commissione regionale – “ha creato una oggettiva incertezza sulla portata e sull’applicazione della norma” di cui al detto art. 30, come avrebbe ritenuto anche la commissione provinciale. Deriva dall’esame di tale motivazione offerta dal giudice di merito – il cui apprezzamento sul punto, in quanto logicamente motivato, è comunque insindacabile nei suoi agganci fattuali – che, lungi dall’accreditare un’incertezza soggettiva, la sentenza impugnata ha ritenuto di desumere l’incertezza oggettiva rilevante ai fini del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, dalla discordante applicazione da parte della stessa amministrazione, in riferimento al concetto – di per sè suscettibile di equivoci – di “computabilità delle operazioni esenti nel calcolo dell’aliquota media i.v.a. sulle vendite”.

7. – Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile, in quanto si denuncia omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dal se il rimborso degli interessi fosse indebito. Sul punto, va data continuità alla statuizione delle sezioni unite (n. 8053 del 2014) secondo cui l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”. Si desume da tanto che non integra un “fatto storico” una valutazione – come quella predicata da parte ricorrente – relativa al se il rimborso di interessi fosse indebito, ciò che costituisce una valutazione giuridica e non un fatto, principale o secondario, rilevante per la decisione. Solo per completezza può rilevarsi, come si evince dalla motivazione innanzi trascritta della sentenza impugnata, che il giudice di merito ha espressamente affermato che, in ragione della prassi consolidata, non dovessero restituirsi interessi nè applicarsi quelli di mora, così estendendo l’ambito del potere di nonò applicazione delle sanzioni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, anche agli interessi. Non sussiste, dunque, anche da tale angolo visuale, una omissione di esame, sussistendo al limite una questione da valutare ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma non in concreto dedotta.

8. – E’ ugualmente inammissibile il terzo motivo, con cui si deduce violazione dell’art. 114 c.p.c., per non essere la prassi fonte di diritto. Anche a prescindere dal riferimento operato in tale motivo all’art. 114 c.p.c., relativo ai poteri equitativi del giudice, che non consta abbia in sentenza testualmente dichiarato di esercitarli, il motivo non pare comunque pertinente alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, come sopra sintetizzata.

9. – E’ infine inammissibile il quarto motivo, con cui si deduce violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74, lett. c) e art. 30, comma 3, lett. a), in quanto il distributore e i successivi acquirenti non sarebbero soggetti, nel settore editoriale, ad alcuna obbligazione tributaria, per essere soggetto all’imposta l’editore. Anche tale motivo, di non facile comprensibilità, non pare comunque pertinente alla “ratio decidendi” della sentenza impugnata, come sopra sintetizzata, trattandosi di caso di erronea applicazione dell’aliquota media, secondo un criterio dettato dalla disciplina legislativa sopra richiamata, diversa da quella invocata nel motivo.

10. – Le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, stante l’effettiva dubbiezza della disciplina sostanziale applicabile alla fattispecie.

PQM

La corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 17 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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