Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5911 del 12/03/2018


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Cassazione civile, sez. II, 12/03/2018, (ud. 19/06/2017, dep.12/03/2018),  n. 5911

Fatto

1. – Con ricorso depositato il 26 marzo 2013 e notificato il 25-26 febbraio 2013, S.L., n.q. di legale rappresentante della Arteinvest s.p.a., e V.P. proponevano opposizione, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 195 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, TUIF), avverso la delibera della Consob n. 18443 del 17 gennaio 2013, recante l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie per importi pari a Euro 300.000,00 nei confronti del S. e Euro 750.000,00 nei riguardi del V., oltre a sanzioni accessorie ai sensi dell’art. 191, comma 3, TUIF per tre accertate violazioni dell’art. 94, comma 1, TUIF, in relazione: 1) all’offerta al pubblico avente a oggetto “contratti di compravendita di opere d’arte”; 2) all’offerta al pubblico di un prestito obbligazionario convertibile in azioni della European Insurance Group Ltd. (E.I.G.), di durata biennale con scadenza “31 marzo 2009” emesso dalla Co.Ge.S.Fin.; 3) all’offerta al pubblico di un prestito obbligazionario convertibile in azioni della E.I.G. di durata biennale, con scadenza “31 marzo 2010” emesso dalla Co.Ge.S.Fin..

1.1. – La Corte d’appello di Napoli, con decreto depositato in data 29 agosto 2014, ha respinto l’opposizione.

Secondo l’apprezzamento compiuto dai giudici del merito, le finalità complessive dello scambio e le prospettive proposte agli acquirenti evidenziavano che l’operazione compiuta andava qualificata come “investimento di natura finanziaria” e non quale mero investimento di beni materiali suscettibili di godimento. Alla luce dei contratti in atti e dei verbali di assunzione di informazioni risultava che erano state vendute opere d’arte a un prezzo “scontato” di una percentuale variabile tra il 5% e il 7% rispetto a quello indicato nel listino, conferendo al tempo stesso agli acquirenti l’opzione di risolvere il contratto e ottenere, alla scadenza del termine previsto, la restituzione di un importo pari non al corrispettivo versato in sede di acquisto ma al c.d. “prezzo di listino” dell’opera d’arte, ovvero a un prezzo maggiorato del 5% o 7%, nel termine di 24 mesi, con la garanzia di un rendimento finanziario della somma investita. La sovrapponibilità di tale operazione con l’acquisto di una obbligazione di tipo zero coupon, garantita dall’opera d’arte, emergeva anche dalla circostanza che oltre il 90% degli acquirenti aveva esercitato il diritto a retrocedere le opere. A fronte di tale operazione, il godimento dell’opera prima della retrocessione e l’assenza di un obbligo di restituirla alla scadenza apparivano elementi accessori rispetto al riacquisto della disponibilità di denaro con la plusvalenza dovuta ai differenziale di prezzo. Alla scadenza del termine, Arteinvest e Co.Ge.S.Fin. avevano inoltre offerto ai clienti, in luogo della corresponsione della somma di denaro indicata in contratto, obbligazioni emesse dalla società Co.Ge.S.Fin. convertibili in azioni della E.I.G..

La corte d’appello riconosceva altresì la destinazione al pubblico dell’offerta, posto che per la stessa non è necessario rivolgersi a strumenti di pubblicità di massa, apparendo sufficiente la destinazione a una pluralità indifferenziata di soggetti, nella specie evidenziandosi che vi erano stati n. 999 aderenti.

2. – Per la cassazione del decreto della corte d’appello S.L., n.q. di legale rappresentante della Arteinvest s.p.a., e V.P. hanno proposto ricorso, con atto notificato il 2 aprile 2015, sulla base di un unico motivo.

Ha resistito, con controricorso, la Consob.

Il Ministero dell’economia e finanze si è costituito ai fini della partecipazione all’udienza di discussione.

In prossimità dell’udienza i ricorrenti e la Consob hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – In via preliminare va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, giacchè la lettura dell’atto consente di individuare i fatti di causa e i motivi di doglianza, nè rileva l’incompletezza della copia della pronuncia impugnata, giacchè i motivi di ricorso attengono alle pagine presenti in atti.

1.1. – Deve invece dichiararsi l’inammissibilità del controricorso in relazione alla posizione della Arteinvest s.p.a., essendo stato l’atto notificato nei riguardi della persona fisica di S.L. e non nella qualità di legale rappresentante della Arteinvest s.p.a. per cui era stata irrogata la sanzione amministrativa.

2. – Con l’unico motivo di ricorso ” si denuncia, cumulativamente, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. t) ed u) e comma 4, TUIF in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I ricorrenti contestano la decisione della corte d’appello che ha ricondotto la fattispecie al contratto di investimento, quale schema atipico comprensivo, ex art. 1, comma 1, lett. u), TUIF, di ogni forma di investimento finanziario, a prescindere dalla natura o dal tipo contrattuale adoperato. I giudici del gravame avrebbero erroneamente applicato i principi indicati dalla Corte di cassazione nella pronuncia del 5 febbraio 2013, n. 2736, ritenendo che per la qualificazione nella fattispecie non risulta decisivo il trasferimento di un bene in sè neppure se suscettibile di un godimento, ma la finalità complessiva dell’operazione posta in essere e le prospettive generali proposte agli investitori/acquirenti, ovvero – nella fattispecie concreta – l’ipotesi della compravendita dell’opera d’arte con possibilità per l’acquirente di imporre potestativamente al venditore il riscatto del bene compravenduto, a condizioni predeterminate nel momento dell’acquisto. Secondo quanto dedotto dai ricorrenti, i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari (art. 1, comma 4, TUIF nel testo applicabile alla fattispecie) e i contratti di compravendita non costituiscono di per sè, con la sola eccezione della compravendita di valuta, operazioni finanziarie. Nel caso di specie si sarebbe di fronte a un semplice meccanismo di compravendita di opere d’arte, finalizzato a lasciare nella sola sfera discrezionale della parte acquirente una facoltà di recesso con funzione risolutoria, il che differenzierebbe il caso in esame dall’ipotesi portata all’attenzione della Suprema Corte nella decisione n. 2736/2013. Non sarebbe inoltre dirimente per la qualificazione della fattispecie contrattuale il dato per cui all’esercizio del diritto di recesso veniva collegato il versamento di un valore monetario aggiuntivo, corrispondente allo sconto predeterminato sul prezzo di listino, così come la circostanza per cui la maggior parte degli acquirenti risultava in concreto aver optato per l’esercizio di tale facoltà.

Si censura, inoltre, la pronuncia della Corte d’appello di Napoli in relazione al vizio di omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento alla questione dell’offerta al pubblico, in relazione alla circostanza per cui ad alcuni acquirenti, che avevano il diritto di recesso, era stata offerta la possibilità di acquistare un prestito obbligazionario convertibile.

2.1. – Le censure sono infondate.

Sebbene non sia tipizzato dal testo unico, il contratto di investimento si presta ad assurgere a forma giuridica di ogni investimento di natura finanziaria, ai sensi dell’art. 1, comma 1, lett. u). L’atipicità del contratto riflette la natura aperta e atecnica di prodotto finanziario (Cass. 5 febbraio 2013, n. 2736; Cass. 19 maggio 2005, n. 10598, con riferimento alla disciplina di cui alla L. 2 gennaio 1991, n. 1), la quale, se da un lato costituisce la risposta del legislatore alla creatività del mercato e alla molteplicità di prodotti offerti al pubblico dai suoi attori, dall’altro risponde all’esigenza di tutela degli investitori, consentendo di ricondurre nell’ambito della disciplina di protezione dettata dal testo unico anche forme innominate di prodotti finanziari.

L’investimento di natura finanziaria comprende ogni conferimento di una somma di denaro da parte del risparmiatore con un’aspettativa di profitto o di remunerazione, vale a dire di attesa di utilità a fronte delle disponibilità investite nell’intervallo determinato da un orizzonte temporale, e con un rischio (Cass. n. 2736/2013).

Nel caso portato all’attenzione di questa Corte, sulla base della fattispecie concreta e avendo riguardo alla finalità complessiva di scambio, non ci troviamo di fronte a una mera transazione commerciale – nella specie della compravendita di opere d’arte garantita da un diritto di “ripensamento”, con restituzione del bene nel termine previsto – ma a un’operazione complessa, promossa da promotori finanziari, costituita dalla sottoscrizione di un contratto di compravendita di opere d’arte a un prezzo scontato con una percentuale variabile tra il 5% e il 7% del prezzo indicato in listino con la facoltà per gli acquirenti di risolvere il contratto e di ottenere, una volta scaduto il termine convenuto, la restituzione dell’importo superiore rispetto a quello versato al momento dell’acquisto e pari al prezzo di listino dell’opera d’arte.

Tale operazione complessa, caratterizzata dalla predeterminazione dell’importo promesso, non è esente da rischio – nella specie del “rischio emittente” – così come indicato da questa Corte, in fattispecie del tutto analoga, per il riconoscimento della sussistenza di un prodotto finanziario (Cass. n. 2736/2013 in cui il meccanismo negoziale consisteva nella consegna in affidamento di un diamante del valore ipotetico di 1.000 Euro, chiuso in un involucro sigillato, contro il versamento in denaro della stessa somma e l’impegno della società, dopo dodici mesi, di “riprendersi” il diamante, restituendo il capitale di 1.000 Euro e corrispondendo l’importo di 80 Euro a titolo di custodia, meccanismo attraverso cui si realizzava un investimento del capitale con la prospettiva dell’accrescimento delle disponibilità investite). Si ritiene infatti che “poichè anche il rischio emittente è incluso nell’alea assunta dall’investitore mediante l’investimento, ai fini della configurabilità della presenza di un prodotto finanziario, con la correlata applicazione della disciplina in materia di sollecitazione, è sufficiente che sussista l’incertezza in merito non all’entità della prestazione dovuta o al momento in cui questa sarà erogata – bensì alla capacità stessa dell’emittente di restituire il tantundem, con la maggiorazione promessa”.

L’operazione va pertanto ricondotta nel novero dei prodotti finanziari.

2.2. – Non censurabile in questa sede è l’accertamento di fatto compiuto dalla corte d’appello, mentre nella struttura della motivazione il riferimento al numero di coloro che hanno optato per la restituzione delle opere assume valore meramente confermativo della qualificazione della fattispecie precedentemente operata.

2.3. – Risulta altresì infondata la censura concernente l’omesso esame di un fatto decisivo riguardo al profilo dell’offerta al pubblico del prestito obbligazionario, perchè la lettura della motivazione consente di ritenere che tale profilo è stato trattato dalla corte d’appello nella parte riguardante la destinazione al pubblico dell’offerta, letto alla luce della prospettazione della Consob e del ragionamento successivo.

3. – Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo a carico del solo ricorrente V.P., essendo stata dichiarata l’inammissibilità del controricorso in relazione alla posizione della Arteinvest s.p.a..

4. – Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente V.P. al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 15.200,00, di cui 15.000,00 per compensi, oltre a spese generali nella misura del 15% e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il 19 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2018

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