Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5911 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 11/03/2010), n.5911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

la s.r.l. BRUNA CARNI (gia’ s.n.c. BRUNA CARNI di Cardoncello Mario

&

C.), con sede in (OMISSIS) in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata (giusta “memoria in sostituzione” notificata all’Agenzia

il 17 aprile 2009 e depositata il 30 aprile 2009) in Roma alla Via

Silla n. 2/a presso l’avv. Emiddio Perreca insieme con l’avv. di

MAGGIO Gennaro che la rappresenta e difende in forza della procura

speciale rilasciata con atto autenticato nella firma il 30 marzo 2009

in Boscotre-case dal notaio Plinio Varcaccio Garofano;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 183/33/06 depositata il giorno 11 dicembre

2006 dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 gennaio 2010

dal Cons. Dott. D’ALONZO Michele;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. avv. RANUCCI Diana

(dell’Avvocatura Generale dello Stato), per l’Agenzia, e dall’avv.

Gennaro di MAGGIO, per la societa’;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, il quale ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso (consegnato all’ufficiale giudiziario il 26 gennaio 2008 e dallo stesso) notificato alla s.n.c. BRUNA CARNI di Cardoncello Mario & C. il primo febbraio 2008 (ricorso depositato il 12 febbraio 2008), l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che “con avviso di rettifica IVA 1997” notificato il 16 settembre 2002 l’Ufficio, in base alle risultanze di un PVC della Guardia di Finanza “notificato” il 30 giugno 1998, aveva recuperato “indebite detrazioni per acquisti di bestiame soggettivamente inesistenti, in quanto effettuati presso due societa’ “cartiere” (Agro Impx srl di Gorizi e Vittorio srl di Cennamo) fittiziamente interposte rispetto al vero venditore intracomunitario, ma inattive o destinate ad operare per pochi mesi per poi essere messe in liquidazione o in fallimento, prive di struttura organizzativa e con sedi fittizie, e comunque inadempienti ad ogni obbligo fiscale” -, in forza di tre motivi, chiedeva di cassare (con “ogni consequenziale provvedimento anche in ordine alle spese”), la sentenza n. 183/33/06 della Commissione Tributaria Regionale della Campania (depositata il giorno 11 dicembre 2006) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (178/03/05) della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli la quale aveva accolto il ricorso di detta societa’ “ritenendo indimostrati i rilievi”.

La s.r.l. BRUNA CARNI (gia’ s.n.c. BRUNA CARNI di Cardoncello Mario &

C.) depositava “memoria di costituzione” nella quale instava per la conferma della sentenza impugnata; il 16 novembre 2009, quindi, la stessa societa’ notificava all’Agenzia “memoria di costituzione in sostituzione” di nuovo difensore, il quale il 12 gennaio 2010 depositava memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con la sentenza impugnata la Commissione Tributaria Regionale – premesso che: (a) “l’Ufficio, facendo propri i rilievi contenuti in un PV della Guardia di Finanza …, contestava alla societa’, per il periodo di imposta 1997, una indebita detrazione IVA …, liquidando … le relative sanzioni e gli interessi”; (b) la societa’ aveva contestato “la legittimita’ dell’operato dell’Ufficio per violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 poiche’ alla base della presunta infedelta’ della dichiarazione avrebbe dovuto esserci prove certe, presunzioni gravi, precise e concordanti” (“mancanti nel caso specifico”) nonche’ “l’acritica trasposizione dei rilievi mossi dalla G. di F. nelle motivazioni dell’avviso di accertamento” – ha disatteso il gravame dell’Ufficio osservando:

– “correttamente i giudici di prime cure hanno ritenuto, ed il giudizio va condiviso, di accogliere il ricorso stante la mancanza di qualsiasi prova certa da parte dell’Ufficio”;

– “neanche in questa sede l’Ufficio e’ riuscito a fornire le presunzioni semplici ma gravi, precise e concordanti che possono giustificare la rettifica impugnata”;

– “questo Collegio ritiene … infondato l’accertamento perche’ basato su presunti dati di fatto la cui veridicita’ non e’ possibile determinare se non recependo in toto ed acriticamente i risultati di altri accertamenti”;

– “le presunzioni e gli indizi su cui l’Ufficio basa il proprio operato sono generici e non convincenti e come tali non riconducibili al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 mancando il benche’ minimo elemento da cui si possa desumere la colpevolezza della societa’ circa la falsita’ delle fatture di acquisto”;

– “l’avviso di rettifica de quo deve conseguentemente essere considerato illegittimo”.

3. L’Agenzia censura tale decisione con tre motivi.

A. Con la prima doglianza la ricorrente – assunto che “nel ricorso controparte nulla dice sugli accertamenti incrociati, non lamentando la loro (acritica) recezione, bensi’ solo … che l’Ufficio avesse “acquisito autonomamente e passivamente le errate risultanze della Guardia di Finanza … senza effettuarne alcuna valutazione” – denunzia “violazione dell’art. 112 c.p.c. per extrapetizione” esponendo che “la ricorrente … ha censurato solo l’adesione a tale verbale nell’avviso ma non il fatto che esso a sua volta recepisse la “segnalazione pervenuta da altri Comandi della G. di F, … ne’ tanto meno i contenuti di questi per cui il rigetto dell’appello per l’asserita “acritica recezione dei risultati di altri accertamenti” appare … extra petitum“; a conclusione formula questo quesito:

“se rispetti l’ambito della domanda, censurante la recezione pretesamene acritica del PVC a carico del ricorrente nell’avviso di accertamento, la statuizione che sanzioni la recezione, sempre pretesamene acritica, dei risultati di accertamenti a carico di altri soggetti nel PVC a carico del ricorrente (ovvero l’accertamento che lo riguarda)”.

B. Con il secondo motivo l’Agenzia denunzia “violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3, e art. 2697 c.c.” nonche’ “omessa e comunque insufficiente motivazione” adducendo, in primo luogo, essere “perfettamente legittimo che una rettifica “recepisca i risultati di altri accertamenti in quanto (a) il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 3 detto, “a prescindere dall’esame della contabilita’”, consente il riferimento a “verbali“ e ad “ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti“ per contestare “deduzioni non spettanti” e (b) “la semplice recezione di tali risultanze ispettive da parte dell’Ufficio … non e’ ne’ acritica ne’ illegittima” ma “costituisce una forma di economia di atti, in cui l’Ufficio concorda totalmente con le conclusioni della Finanza”; formula, in proposito, il “quesito” seguente:

“se sia legittimo l’avviso di rettifica che recepisca in toto le risultanze di un verbale di accertamento della G. di F., anche qualora questo recepisca a sua volta gli esiti di accertamenti relativi a terzi”.

La stessa Agenzia, di poi, assume che “la statuizione” e’ (a) “immotivata in quanto afferma la mancanza di “prove certe” (“non si spiega per quale motivo le prove fornite dall’Ufficio non fossero ritenute “certe”, valutazione assunta come determinante per la reiezione dell’appello”) e (b) “illegittima per l’oggetto che ritiene che queste dovessero avere (la consapevolezza della societa’ circa la falsita’ delle fatture di acquisto)”: secondo la ricorrente i “dati” esposti dall’Ufficio (ovverosia “essere stato rilevato dai finanzieri che le societa’ fatturanti erano “prive di ogni struttura e con sedi fittizie”, nonche’ “inattive o destinate ad operare per pochi mesi per poi essere messe in liquidazione o in fallimento”, e inoltre “nessun obbligo fiscale viene adempiuto”) “sono pacifici in causa perche’ non contestati dalla parte, anche solo verbalmente, in quanto essa non li nega ma dice unicamente di non poterne essere tenuta responsabile”.

Per l’Agenzia, quindi, poiche’ “la parte da … per scontata ed indiscussa la realta’ delle operazioni”, “del tutto illogicamente e contraddittoriamente il giudice avalla tale assunto, perche’ se le venditrici sono fittizie, come ex adverso incontestato, l’operazione non puo’ essere reale”; essa, in conseguenza, formula il “quesito” seguente:

“se violi i principi relativi all’onere probatorio il giudice che ritenga non provato un fatto necessariamente e univocamente implicito in un altro fatto che risulti incontrastato”.

C. Col la terza (ed ultima) doglianza l’Agenzia censura come “illegittimo” l’”assunto” secondo il quale “l’Ufficio dovesse provare la “colpevolezza della societa’ circa la falsita’ delle fatture di acquisto“ e denunzia “violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 e falsa applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000” nonche’ “omessa o comunque insufficiente e illogica motivazione” adducendo che “ai fini di un accertamento meramente tributario e non penale …, l’elemento soggettivo dell’autore di una violazione puo’ avere rilievo al solo fine delle eventuali sanzioni (che qui non sono state affatto contestate), ma non … al fine di escludere l’evasione, che puo’ essere anche del tutto incolpevole ed inconsapevole, purche’ obiettivamente verificata”: chiede, quindi (“quesito”) “se ai fini dell’accertamento dell’illegittima detrazione di fatture per operazioni inesistenti l’Ufficio debba dimostrare la colpevolezza dell’accertato circa la fittizieta’ delle fatture stesse”.

Secondo la ricorrente, inoltre ed infine, “l’ipotesi che la societa’ fosse estranea ad un agire illecito proprio della sola “cartiera” era del tutto irragionevole” (apparendo l’”accipiens” … l’unico beneficiario del meccanismo evasivo”) per cui “il giudice avrebbe dovuto giustificare perche’ la considerasse plausibile” non potendosi trascurare “la considerazione del globale ed obiettivo significato dell’interposizione, alla luce della quale l’interesse all’illecito non era ne’ dell’allevatore comunitario (che fattura e versa sempre la stessa IVA al 9%) ne’ … della stessa “cartiera” (che anzi se fosse reale sarebbe svantaggiata, potendo detrarre solo un’ IVA al 9% e fatturarne e versarne una al 19%), bensi’ solo e soltanto dell’acquirente quale controparte (che in tal modo detrae un’IVA al 19% avendola versata solo al 9%, tramite la cartiera che nessuna imposta ha versato)”.

4. Il primo motivo di ricorso dell’Agenzia deve essere respinto; gli altri due, invece, vanno accolti.

A. In via preliminare va ricordato che per l’art. 370 c.p.c.:

– “la parte contro la quale il ricorso e’ diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. In mancanza di tale notificazione, essa non puo’ presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale” (comma 1): l’inosservanza del termine detto – nonostante il “difetto di un’espressa previsione” -, giusta i “principi generali del processo civile in tema d’inosservanza dei termini relativi ad atti processuali contenenti difese da portare a conoscenza del giudice e dell’avversario”, comporta (Cass., 3^, 10 marzo 2000 n. 2805, che richiama “Cass. fi. 9 maggio 1981 n. 3066”; 3^ 21 novembre 1981 n. 6220) “L’improcedibilita’” del controricorso;

– “Il controricorso e’ depositato nella cancelleria della Corte entro venti giorni dalla notificazione, insieme con gli atti e i documenti e con la procura speciale, se conferita con atto separato” (comma 3).

Per la norma, quindi, “la parte contro la quale … e’ diretto” il ricorso per Cassazione (nel caso, la societa’) puo’ “contraddire“ (ovverosia far valere innanzi a questa Corte le argomentazioni, anche di fatto, ritenute idonee a contrastare quanto assunto nell’avverso ricorso ed a determinare il rigetto dello stesso) unicamente “mediante il controricorso” – atto al quale (art. 370 c.p.c., comma 2) “si applicano le norme degli artt. 365 e 366 c.p.c., in quanto possibili” “da notificare al ricorrente nel domicilio eletto“: “in mancanza di tale notificazione“, prosegue la norma, essa parte “non puo’ presentare memorie, ma soltanto partecipare alla discussione orale“.

Nel caso la societa’ – la quale, peraltro, ha conferito al proprio difensore la procura speciale che (Cass., 3^, 26 giugno 2007 n. 14749, tra le recenti) deve essere rilasciata in epoca anteriore alla proposizione (del ricorso o) del controricorso solo il 15 aprile 2008, quindi ben oltre il termine di quaranta giorni, decorrente dal primo febbraio 2008, di notifica del ricorso -, non ha notificato all’Agenzia nessun controricorso ma ha depositato unicamente una “memoria di costituzione” che (Cass.: lav., 9 settembre 2008 n. 22928 e 2^, 28 gennaio 2005 n. 1737) non puo’ essere qualificata come controricorso (peraltro, comunque inammissibile perche’ tardivo).

Alla societa’, pertanto, e’ consentito soltanto di “partecipare alla discussione orale” e non anche di “presentare” le “memorie” previste dall’art. 378 c.p.c.: di conseguenza, ai fini della decisione della controversia, non puo’ tenersi alcun conto (del contenuto) delle memorie depositate.

B. La doglianza contenuta nel primo motivo di ricorso dell’Agenzia (“violazione dell’art. 112 c.p.c. per extrapetizione”) e’ insussistente.

L’inciso della sentenza impugnata “questo Collegio ritiene …

infondato l’accertamento perche’ basato su presunti dati di fatto la cui veridicita’ non e’ possibile determinare se non recependo in toto ed acriticamente i risultati di altri accertamenti” – oggetto del motivo -, invero, va correttamente letto in correlazione con il contesto motivazionale nel quale e’ inserito, afferente propriamente alla “mancanza di qualsiasi prova certa da parte dell’Ufficio”, affermata dal giudice di primo grado e condivisa da quello di appello: questo, quindi, diversamente da quanto esposto dall’Agenzia, non ha affatto fondato il rigetto dell’appello dell’Ufficio sull’”asserita “acritica recezione dei risultati di altri accertamenti“ perche’ l’”acritica recezione dei risultati di altri accertamenti“ e’ presa in considerazione dalla Commissione Tributaria Regionale unicamente nella complessiva valutazione (negativa per l’Ufficio) della “prova certa” di cui i giudici di merito hanno ritenuto essere gravato l’Ufficio stesso.

L’affermazione de qua, quindi, attiene perfettamente alla complessiva confutazione (che l’Agenzia riconosce contenuta nel ricorso di controparte) sia della “autonoma” che della “passiva” acquisizione delle “risultanze della Guardia di Finanza” perche’ queste facevano riferimento ai “risultati di altri accertamenti” si’ che la contestazione delle “risultanze” conteneva necessariamente anche quella dei “risultati” detti.

C. In ordine all’esame degli altri due motivi di ricorso – scrutinabili congiuntamente per la loro riferibilita’ alla fondatezza o meno dell’atto di imposizione – va evidenziato che il giudice di appello, come riportato, ha ritenuto illegittimo l’”operato dell’Ufficio” assumendo la “violazione”, da parte dello stesso, “del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54” perche’ “alla base della presunta infedelta’ della dichiarazione avrebbe dovuto esserci prove certe, presunzioni gravi, precise e concordanti” (“mancanti nel caso specifico-”, secondo quel giudice) e non la sola “acritica trasposizione dei rilievi mossi dalla G. di F. nelle motivazioni dell’avviso di accertamento”.

Per detto giudice, quindi:

– “l’accertamento” e’ “infondato … perche’ basato su presunti dati di fatto la cui veridicita’ non e’ possibile determinare se non recependo in toto ed acriticamente i risultati di altri accertamenti”;

– “le presunzioni e gli indizi su cui l’Ufficio basa il proprio operato sono generici e non convincenti e come tali non riconducibili al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 mancando il benche’ minimo elemento da cui si possa desumere la colpevolezza della societa’ circa la falsita’ delle fatture di acquisto”.

L’illegittimita’ dell’”accertamento”, in definitiva, e’ stata affermata, unicamente, (1) per la ritenuta “acritica trasposizione dei rilievi mossi dalla G. di F. nelle motivazioni dell’avviso di accertamento” e (2) per la mancanza del “benche’ minimo elemento da cui si possa desumere la colpevolezza della societa’ circa la falsita’ delle fatture di acquisto”.

Siffatte proposizioni (le uniche enunciate dalla Commissione Tributaria Regionale a fondamento della sua decisione) suppongono, di necessita’ logica, la “falsita’” (comunque soggettiva, ovverosia quanto al soggetto che avrebbe operato le cessioni dei beni in esse indicate in favore della allora snc BRUNA CARNI) “delle fatture di acquisto”: tale “falsita’”, quindi, costituisce un accertamento di fatto divenuto ormai irreversibile perche’ coperto dal giudicato interno formatosi sul punto in conseguenza della mancata impugnazione della relativa statuizione da parte della societa’.

Dalla formazione di tale giudicato interno (rilevabile ex officio) discende la erroneita’, in diritto, delle riprodotte due affermazioni che sorreggono la decisione impugnata, entrambe investite dalle doglianze dell’Agenzia.

C1. L’avviso d’accertamento motivato, quand’anche con riferimento “acritico” ad atti o verbali formati dalla Guardia di Finanza (come da altri organi deputati alla fase investigativa), invero, “… non puo’ considerarsi illegittimo in quanto l’obbligo di motivazione deve ritenersi assolto ogni qual volta il contribuente sia stato messo in grado di conoscere l’an e il quantum della maggior pretesa fiscale, a nulla rilevando (Cass., trib., 21 maggio 2001 n. 6888) l’apprezzamento critico dell’ufficio accertatore circa gli atti ed i verbali ai quali esso si e’ riferito nell’avviso, avendoli comunque fatti propri nel momento in cui ha deciso di rinviare, per i motivi dell’imposizione, al contenuto degli stessi”: ricorrendo alla “motivazione per relationem”, infatti, l’Ufficio dimostra univocamente di condividere il complessivo procedimento accertativo degli inquirenti con le relative conclusioni e realizza unicamente “una economia di scrittura, la quale, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi gia’ noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio” (Cass., trib.: 6 agosto 2009 n. 18020; 8 ottobre 2007 n. 21040; 30 ottobre 2006 n. 23353; 13 ottobre 2006 nn. 22012 e 22013; 11 ottobre 2006 n. 21711, da cui gli excerpta; 7 aprile 2006 nn. 8253 e 8254; 28 novembre 2005 n. 25146; 14 novembre 2003 n. 17243; 26 giugno 2003 n. 10205; 26 febbraio 2001 n. 2780).

C.2. In tema di Imposta sul valore Aggiunto (IVA), di poi (Cass., trib., 18 giugno 2008 n. 16492, da cui gli excerpta, nonche’ 30 gennaio 2007 n. 1950 e 17 dicembre 2008 n. 29467), “nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti”, “Il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente – prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta informalmente indicata, ma richiede altresi’, a dimostrazione dell’effettiva inerenza dell’operazione all’attivita’ istituzionale dell’impresa, che il committente – cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruita’ della fatturazione, riscontri precisi, non esaurientisi nella prova dell’avvenuta consegna della merce e del pagamento della stessa nonche’ dell’IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al thema probandum, in rapporto alle peculiarita’ del meccanismo dell’IVA e dei relativi, possibili, abusi (Cass. 1950/07)”.

La disposizione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 (secondo la quale “e’ detraibile dall’ammontare dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, quello dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresa …”), “in considerazione del particolare meccanismo che presiede al funzionamento dell’IVA” (per il quale un’ “… infrazione fiscale si configura … per il solo fatto oggettivo che il contribuente, con il proprio comportamento, doloso o colposo che sia, abbia determinato il rischio per l’Amministrazione di non conseguire il pagamento dell’imposta effettivamente dovuta o l’abbia esposta a indebite detrazioni”), infatti, “va letta in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 17 e 20 della sesta direttiva del Consiglio CEE n. 77/388 e del principio affermato dalla Corte di Giustizia CEE con sentenza 13 dicembre 1989 (c. 342/87) nel senso che il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresi’, che l ‘ imposta sia effettivamente dovuta e, cioe’, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all’IVA” (Cass., trib.: 16 luglio 2003 n. 11110; 5 giugno 2003 n. 8959; 2 settembre 2002 n. 12756; 26 ottobre 2001 n. 13222; 27 giugno 2001 n. 8786).

La divaricazione tra il soggetto che ha emesso la fattura e quello ha ceduto la merce o prestato il servizio, quindi, fa venir meno il requisito della detraibilita’ dell’imposta per carenza dell’”inerenza all’impresa” (che e’ onere del contribuente provare: cfr., Cass. nn. 13205 del 2003, 11109 del 2003 e 15228 del 2001, citt.) dell’operazione fatturata, ovverosia della ricorrenza dell’imprescindibile “nesso funzionale” che deve legare “Il costo alla vita dell’impresa”, cioe’ quel “rapporto tra un costo e lo svolgimento della specifica attivita’, che costituisce la ragion d’essere stessa dell’impresa”: “in ipotesi di inesistenza soggettiva – nella quale, pur essendo i beni entrati nella disponibilita’ patrimoniale dell’impresa cessionario, risulti che l’emittente della fattura e’ soggetto diverso dal cedente – prestatore – l’obbligo di corrispondere l’importo corrispondente all’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente deriva dal precetto normativo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, mentre risulta evasa l’imposta dovuta, in base al fisiologico funzionamento del meccanismo IVA, per l’operazione effettivamente realizzata (in tal senso: v.

Cass. 6378/06)”, con la conseguenza che “il costo dell’IVA versata sulla fattura relativa ad operazione soggettivamente inesistente si appalesa quale costo non necessariamente inerente”.

C.3. Nella decisione resa il 6 luglio 2006 nei procedimenti riuniti C – 439/04 e C – 440/04 (richiamata nella sentenza 24 luglio 2009 n. 17377 di questa sezione), la (sez. 3^della) Corte Giustizia CE – dopo avere (testualmente) affermato: (a) che ” … gli operatori che adottano tutte le misure che possano essere da essi ragionevolmente pretese al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode, che si tratti di frode all’IVA ovvero di altre frodi, devono poter fare affidamento sulla liceita’ di tali operazioni senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell’IVA pagata a monte (v., in tal senso, sentenza 11 maggio 2006, causa C – 384/04 … punto 33)” e, di conseguenza (“ne consegue”), (b) che “52 …qualora una cessione sia operata nei confronti di un soggetto passivo che non sapesse e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si iscriveva in una frode commessa dal venditore, l’art. 17 della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che osta ad una norma di diritto nazionale secondo cui l’annullamento del contratto di vendita, per effetto di una disposizione di diritto civile che sanzioni tale contratto con la nullita’ assoluta in quanto contrario all’ordine pubblico per una causa illecita perseguita dall’alienante, comporti per il detto soggetto passivo la perdita del diritto alla deduzione dell’IVA” essendo ” al riguardo, … irrilevante la questione se la detta nullita’ derivi da una frode all’IVA ovvero da altre frodi” – ha, “per contro”, precisato (sempre testualmente) che “53 … i criteri obiettivi su cui si fondano le nozioni di cessioni di beni effettuale da un soggetto passivo in quanto tale e all’attivita’ economica non sono soddisfatti in caso di frode fiscale perpetrata dallo stesso soggetto passivo (v. sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a., Racc. pag. 1-0000, punto 59)” atteso che “54 …, come la Corte ha gia’ dichiarato, la lotta contro la frode, l’evasione fiscale e gli eventuali abusi e’ un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva (v., sentenza 29 aprile 2004, cause riunite C437/01 e C-7/02, Gemeente Leusden e Holin Groep, Racc. p. 1-5337, punto 76)”, si’ che “gli interessati non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (v., in particolare, sentenza 12 maggio 1998, causa C-367/96, Kefalas e a., Racc. pag. 1-2843, punto 20; 23 marzo 2000, causa C-373/97, Diamanti’s, Racc. pag. 1-1705, punto 33 e 3 marzo 2005, causa C- 32/03, Fini H, Racc. pag. 1-1599, punto 32)” per cui “55 se l’Amministrazione Finanziaria rileva che il diritto alla deduzione e’ stato esercitato in modo fraudolento, puo’ chiedere, con effetto retroattivo, il rimborso degli importi dedotti (v., segnatamente, sentenze 14 febbraio 1985, causa 268/83, Rompelman, Racc. pag. 655, punto 24; 29 febbraio 1996, causa C-l 10/94, 1NZ0, Racc. pag. 1-857, punto 24, e Gabalfrisa e a., cit., punto 46) e spetta al giudice nazionale negare il beneficio del diritto a detrazione se e’ dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v. sentenza Fini H, cit., punto 34)”.

“56 del pari”, aggiunge il giudice comunitario, “un soggetto passivo che sapesse o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’ operazione che si iscriveva in una frode all’IVA, ai fini della sesta direttiva, deve essere ritenuto partecipante a tale frode, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla vendita dei beni” in quanto “57 in una tale situazione … il soggetto passivo collabora con gli autori della frode e ne diviene complice”, per cui “58 …, rendendone piu’ diffi’cile la realizzazione, un’interpretazione siffatta e’ tale da ostacolare le operazioni fraudolente”, con la conseguenza che “59 …

spetta al giudice nazionale negare il beneficio del diritto alla deduzione qualora risulti acclarato, alla luce di elementi obiettivi che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’ operazione che si iscriveva in una frode all’IVA, anche se l’operazione in oggetto soddisfaceva i criteri oggettivi sui quali si fondano le nozioni di cessioni di beni effettuate da un soggetto passivo che agisce in quanto tale e di attivita’ economica”.

Dagli esposti principi discende la diversita’ di trattamento giuridico della situazione (espressamente considerata nella decisione comunitaria, avente a dichiarato oggetto il “diniego dell’Amministrazione Finanziaria belga di riconoscere il diritto di dedurre l’imposta sul valore aggiunto … versata a monte su operazioni connesse con frodi realizzate mediante operazioni di tipo carosello”) del “soggetto passivo” dell’imposta cui (come teste’ detto) venga negato il diritto di “dedurre l’imposta sul valore aggiunto … versata a monte” perche’ “l’operazione interessata si iscriveva) in una frode commessa dal venditore” rispetto alla situazione del “soggetto passivo” che, come nel caso, sia autore esso stesso della “frode fiscale”: il giudice comunitario, infatti, ha ritenuto meritevole di tutela, allorche’ siano carenti le condizioni specificate (“che sapesse o avrebbe dovuto sapere”), solo il “soggetto passivo” implicato nella prima specie di operazione e non pure il soggetto autore della “frodefiscale”.

La oggettiva situazione fattuale (ormai irreversibilmente accertata) relativa alla inidoneita’ del soggetto che ha emesso le fatture contestate a porre in essere le operazioni economiche rappresentate nelle stesse (classica fattispecie di “fatture soggettivamente inesistenti”) implica, di necessita’ logica, la volontaria utilizzazione, a fini di “frode fiscale” (detrazione dell’imposta pretesamente versata al finto venditore), di una documentazione fiscale non corrispondente alla realta’ economica – perche’ posta in essere (peraltro non necessariamente alle stesse condizioni indicate in dette fatture) con il diverso soggetto rimasto ignoto – e, quindi, l’attribuibilita’ (nella specie) alla stessa societa’ contribuente (peraltro unica avvantaggiata dalla documentazione “soggettivamente falsa”) della conseguente “frode fiscale”, escludente, di per se’, proprio la sussistenza, a favore della stessa, di una situazione soggettiva di “non conoscenza” o di ” impossibilita’ di conoscenza” della frode medesima e, quindi, in definitiva la “colpevolezza” della societa’ sulla cui (asserita) carenza di prova il giudice di appello ha erroneamente fondato la sua decisione.

C.4. Le considerazioni esposte impongono di cassare la sentenza impugnata perche’ fondata su affermazioni giuridiche rivelatesi erronee.

Dagli atti accessibili a questa Corte non emerge che l’applicazione alla fattispecie dei corretti principi innanzi richiamati richieda un qualche ulteriore accertamento fattuale (essendo, come evidenziato, ormai indiscutibile la natura “soggettivamente” falsa delle fatture contestate) ne’ (tenuto conto del fatto, risultante dalla sentenza impugnata, che “la societa’ appellata non ha svolto alcuna difesa” innanzi alla Commissione Tributaria Regionale e, di conseguenza, non ha riproposto a questo giudice, come indispensabile, eventuali questioni assorbite dalla decisione di primo grado ad essa favorevole) che la controversia abbisogni della soluzione di aspetti ulteriori e diversi: la causa, pertanto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., deve essere decisa “nel merito” da questa Corte con il rigetto del ricorso di primo grado della contribuente.

5. Le spese processuali dell’intero giudizio vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in considerazione del complessivo sviluppo dello stesso.

PQM

LA CORTE Rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo ed il terzo;

cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso di primo grado della contribuente; compensa integralmente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

 

 

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