Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5910 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 26/09/2016, dep.08/03/2017),  n. 5910

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20099-2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA ZEDA ARL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso

lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati NATALE MANGANO, UMBERTO GIARDINI

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 24/2008 della COMM.TRIB.REG. del Piemonte

depositata l’11/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato LUCISANO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 24 dell’11 giugno 2008 la Commissione tributaria regionale del Piemonte respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino che aveva annullato l’avviso di accertamento ai fini IREPG ed IRAP per l’anno di imposta 2002 con cui l’Ufficio finanziario, sulla base delle risultanze del processo verbale di constatazione del 26 settembre 2005, redatto dalla G.d.F. a seguito della verifica fiscale effettuata nei confronti del consorzio Manital, avente ad oggetto la gestione integrata di complessi immobiliari ed operante in regime di mandato senza rappresentanza, di cui la Cooperativa ZE.DA. a r.l. era consorziata, da cui era emerso l’irregolare ribaltamento pro quota fra i consorziati dei costi sostenuti per le prestazioni di servizio rese dal consorzio, nonchè degli utili derivanti dai proventi delle commesse in favore delle società consorziate, perchè effettuato mediante preventiva compensazione fra operazioni attive e passive che comportava l’esclusione dalle fatturazioni delle quote compensate, aveva contestato alla società contribuente l’omessa fatturazione e l’omessa regolarizzazione dei rapporti economici intrattenuti con il consorzio nonchè la presentazione di dichiarazione IVA infedele.

1.1. La Commissione di appello sosteneva che la base imponibile per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza, com’era nella specie il Consorizo Manital, andava determinata in base alla disposizione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), che esclude dalla base imponibile la provvigione dovuta al mandatario; che l’operato del consorzio e della consorziata era conforme allo Statuto e al Regolamento disciplinante i rapporti tra detti soggetti economici, ed era mancata la prova di un loro comportamento illegittimo, avendo effettuato il ribaltamento dei costi e dei ricavi in proporzione alle rispettive quote e al netto delle spese; che nel calcolo effettuato dai verificatori erano stati utilizzati valori erronei; che la consorziata non poteva emettere autofattura per le quote di partecipazione alle spese generali del consorzio in quanto non era stata deliberata secondo le previsioni statutarie; che la consorziata non aveva partecipato ad alcuna commessa nell’anno in verifica cosicchè non vi era base imponibile su cui basare una qualche pretesa tributaria.

2. Avverso detta statuizione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, cui la cooperativa intimata ha replicato con controricorso.

3. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..

4. La causa perviene da rinvio a nuovo ruolo disposto in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, intervenuta con sentenza n. 12190 del 2016, su questione di diritto analoga a quella prospettata nel ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, corredato di idoneo quesito di diritto, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5 e art. 55, comma 1 e comma 2, nn. 2) e 3).

1.1. La ricorrente lamenta che la Commissione di appello ha erroneamente ritenuto che nella specie l’Amministrazione finanziaria non ha dato prova dell’illegittimità della condotta contabile tenuta dal consorzio e dalle società consorziate e che l’incompletezza della documentazione fornita dalla società contribuente ai verificatori non fa venir meno l’onere dell’Amministrazione finanziaria di dimostrare l’entità dell’imposta evasa, così sostanzialmente violando le disposizioni censurate che consentono all’Ufficio finanziario, nelle ipotesi – come quella di specie – di incompletezza della documentazione esibita dalla parte contribuente, di accertare induttivamente, e cioè sulla base dei dati e delle notizie raccolti o conosciuti in base alla verifica fiscale, l’ammontare dell’imponibile sottratto a tassazione a seguito delle accertate modalità di ribaltamento dei costi e dei ricavi attuate dal consorzio e dalle consorziate, con la conseguenza che era onere della società contribuente dimostrare il diverso ammontare dell’imponibile da assoggettare ad imposta.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1706 c.c., art. 1713 c.c., comma 1, art. 1719 c.c., art. 1720 c.c., comma 1, artt. 1709, 2602 e 2615-ter cod. civ., del principio generale dell’abuso del diritto desunto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 1, dall’art. 53 Cost. e dal principio di primazia del diritto comunitario in tema di IVA, degli artt. 1241 e 1705 cod. civ., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, ultimo periodo, art. 6, comma 3, primo periodo, art. 13, commi 1 e 2 e art. 21, comma 1.

2.1. Sulla premessa che il consorzio non ha scopo di lucro e che nella specie le società consorziate fatturavano il prezzo dei lavori loro assegnati nella minore misura del 25% dell’importo della commessa pagato dal committente al consorzio, la ricorrente sostiene che, operando il consorzio attraverso lo strumento giuridico del mandato senza rappresentanza, i giudici di appello avevano errato: a) nel ritenere legittima tale forma di compensazione, attuata dal consorzio a proprio favore per la copertura dei costi di gestione, escludendo la necessità di un ribaltamento integrale dei corrispettivi delle commesse dal consorzio alle consorziate e, viceversa, per i costi, generali e specifici, sostenuti dal primo; b) nel ritenere insussistente, a dispetto della natura neutrale – e quindi non lucrativa – del consorzio e del divieto di abusare della personalità giuridica, l’obbligo di integrale ribaltamento dei ricavi e dei costi nei rapporti tra consorzio e consorziate, imposto dalle disposizioni censurate, non derogabili dalle norme statutarie; c) nel ritenere il metodo compensativo attuato dal consorzio idoneo ad esaurire integralmente e con certezza l’importo spettante al mandante; d) nel ritenere, in violazione delle disposizioni in materia di IVA applicabile ai rapporti tra mandante e mandatario, “che l’obbligo di formalizzare il ribaltamento dei costi (e, ove posti in compensazione, degli utili) dal Consorzio alla Consorziata non sia desumibile dalla concreta situazione accertata dai verificatori” (ricorso pag. 61), così legittimando quel meccanismo compensativo che determinava un effetto di evasione dell’IVA anche per le società consorziate che non avevano ricevuto commesse, perchè, una volta accertata la realizzazione di ricavi e l’effettuazione di spese, l’obbligo del ribaltamento discende ex lege; e) nel giustificare il minor importo incassato dalle consorziate sulla commessa, alludendo ad una provvigione dovuta al consorzio per l’attività svolta, perchè tesi in contrasto con il fine mutualistico del consorzio e con l’assenza di prova di una sua originaria pattuizione.

3. Con il terzo motivo di ricorso, formulato in subordine rispetto al precedente (secondo) motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata sul fatto controverso e decisivo costituito dal ribaltamento delle spese generali e, quindi, sulla necessità che le consorziate emettessero autofattura, che la CTR ha invece escluso sul rilievo che non risultava essere stata attivata la procedura prevista dall’art. 6 dello Statuto consortile, nonostante risultasse che il consorzio aveva effettuato il ribaltamento dei costi di gestione in modo “occulto”, seppur in tacito accordo con le consorziate, attraverso il meccanismo compensativo sopra descritto (punto 2.1).

4. Con il quarto motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la ricorrente si duole della violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 13, comma 2, lett. b), per avere la CTR ritenuta applicabile la predetta disposizione, che esclude dalla tassabilità ai fini IVA l’importo delle provvigioni versate al mandatario per l’espletamento del mandato, pur risultando che il consorzio aveva effettuato una trattenuta sui ricavi percepiti dai committenti da versare alle consorziate come strumento per il ribaltamento dei costi di gestione e non a titolo di provvigione.

5. Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del principio di ultrapetizione, ex art. 112 cod. proc. civ., lamentando che la CTR aveva affermato, in assenza di domanda od eccezione espressamente formulata dalle parti, l’erroneità dei valori che i verificatori avevano utilizzato per l’attribuzione delle quote alle società consorziate.

6. In relazione alla medesima questione, ma in via subordinata, la ricorrente formula il sesto motivo di ricorso deducendo l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata laddove la CTR ha affermato che, “come fatto presente dalla ricorrente, per il calcolo effettuato dai verificatori per l’attribuzione delle quote erano stati utilizzati valori erronei”, senza descrivere il processo logico-giuridico e cognitivo attraverso il quale si era formato il giudizio finale e senza indicare quali mezzi di prova avevano formato oggetto del giudizio espresso nei termini sopra riportati.

7. Con il settimo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione alla questione posta nel quinto motivo e sempre in via subordinata a quest’ultimo, l’error in procedendo in cui era incorsa la CTR che, in violazione dei principi regolatori del processo tributario di merito e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1, 2, 7 e 36 aveva ritenuto invalido l’atto impositivo per motivi di carattere sostanziale, attinenti all’erroneità dei valori assunti dall’Amministrazione finanziaria per determinare l’imponibile evaso, non avrebbe potuto annullare l’avviso di accertamento impugnato, ma avrebbe dovuto rideterminare tale imponibile sulla base delle proprie valutazioni di merito.

8. La questione che, nell’ambito delle società consortili, i sunteggiati motivi di ricorso ripropongono è quella del “ribaltamento” sulle società consorziate dei costi e ricavi derivanti dalla esecuzione delle commesse e della correlativa disciplina fiscale, recentemente oggetto delle pronunce delle sezioni unite di questa Corte nn. 12190, 12191, 12192, 12193 e 12194 del 2016, cui si sono conformati i successi arresti della sezione tributaria (nn. 21860, 21861, 21862, 21863, 21864, 22210, 22211, 22435 e 24380 del 2016), che hanno riguardato proprio i rapporti tra il consorzio Manital e la folta compagine delle imprese sue consorziate.

Hanno affermato le sezioni unite che “la funzione mutualistica dei Consorzi desumibile dall’art. 2602 cod. civ. non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro” e da quest’affermazione hanno fatto discendere gli altri principi enunciati in materia e cioè che “costituisce questione di merito l’accertamento in ordine ai rapporti intercorsi tra società consortile e società consorziata nella assegnazione dei lavori o servizi ai singoli consorziati e nella esecuzione delle commesse” e che “nel caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato, nel rispetto dei principi di certezza, effettività inerenza e competenza, costituisce onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, o che la stessa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo”. Con specifico riguardo all’Iva hanno, altresì affermato, che, a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 3, ultimo periodo e art. 13, comma 2, lett. b), deve esservi piena corrispondenza tra la base imponibile fatturata dalla società consortile al terzo committente e quella fatturata dall’impresa consorziata al Consorzio mandatario, salvo la rilevanza fiscale della eventuale provvigione, qualora il contribuente dimostri che la stessa sia stata formalmente pattuita.

9. Muovendo, quindi, dall’affermata distinta soggettività della società consortile rispetto alle consorziate, con conseguente autonoma responsabilità per le obbligazioni, anche tributarie, connesse alle operazioni rispettivamente poste in essere dall’una o dalle altre, necessariamente distinguendosi – quanto alle attività svolte dalla società consortile – tra operazioni realizzate in esecuzione del patto mutualistico ovvero di un’autonoma attività commerciale, le sezioni unite della Corte hanno affermato che presupposti imprescindibili per stabilire se sia o meno necessario il ribaltamento integrale o parziale di costi e ricavi – che è questione che rileva nel presente giudizio – è proprio l’accertamento della “natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dalla società consortile o dalle consorziate, ed al rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate” (Cass. S.U. cit., p. 21). “Qualora, difatti, il consorzio acquisisca una commessa e proceda autonomamente ad eseguirla, indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, non si deve procedere ad alcun ribaltamento di costi tra tutti i consorziati. Il ribaltamento di costi e di ricavi rimane doveroso, peraltro, nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque correlati alla finalità mutualistica di utilizzo del servizio consortile” (così in Cass. n. 22435/16 cit.).

10. Ciò posto in termini generali, venendo al caso concreto, la difesa erariale con il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi preliminarmente per ragioni di ordine logico, investendo questioni pregiudiziali a quelle poste negli altri motivi, lamenta, con diffusa articolazione di argomentazioni, sostanzialmente dirette a censurare le modalità di ribaltamento dei costi e dei ricavi concretamente attuata dal consorzio Manital, che la CTR aveva legittimato un’operazione contabile – in base alla quale la società consortile provvedeva a ribaltare costi e ricavi sulle consorziate esecutrici di commesse operando una compensazione a proprio favore del 25% dell’importo fatturato alla committente per coprire i costi generali e a quelli specifici sostenuti per ogni singola commessa – che si risolveva in una violazione degli obblighi di fatturazione (dell’intero importo delle commesse) ed autofatturazione (per il ribaltamento dei costi, generali e specifici, di gestione), con conseguente evasione delle relative imposte, anche da parte dell’odierna intimata, per il suo ruolo di consorziata, quindi a prescindere dalla sua partecipazione – che nella specie non vi era stata – alla distribuzione delle commesse da parte della società consortile.

10.1. Il motivo non si sottrae al preliminare rilievo di inammissibilità, muovendo l’Agenzia ricorrente da presupposti erronei. Invero, a fronte dell’affermazione fatta in sentenza, secondo cui la consorziata “non aveva ricevuto o reso alcuna prestazione per cui l’assenza di rapporti significativi con il Consorzio riafferma, anche sotto questo profilo, che non si era potuto costituire nella fattispecie neppure il presupposto su cui si basava la pretesa tributaria portata dall’atto impugnato poichè non poteva esservi base imponibile quando non vi era stata alcuna assegnazione di commesse e poichè la fatturazione doveva essere effettuata solo dalla consorziata alla quale era stata affidata l’esecuzione della commessa”, la difesa erariale sostiene, da un lato, che era onere del consorzio ribaltare gli utili ed i costi su tutti i consorziati, prescindendo dalla partecipazione della singola impresa alle commesse che generano utili e determinano costi, perchè, stante “la particolare natura ed il particolare ruolo del consorzio”, una volta accertata la realizzazione di ricavi e l’effettuazione di spese, l’obbligo del ribaltamento discende ex lege (ricorso pag. 65)

10.2. Orbene, le predette affermazioni sono frutto di una visione della causa consortile in chiave esclusivamente mutualistica oramai abbandonata ed in contrasto, quindi, con il pronunciamento delle sezioni unite di questa Corte che hanno riconosciuto – in ciò seguito dalle successive pronunce di questa sezione tributaria (peraltro in giudizi riguardanti proprio società facenti parte del consorzio Manital) – la compatibilità dello scopo lucrativo con il modello consortile cosicchè, se “nessuna alterazione della causa di esso configurante un abuso del modello stesso è (…) ravvisabile se il consorzio ometta di ribaltare la totalità dei proventi e dei costi sui singoli consorziati, trattenendo per sè una quota proporzionale dei primi a fronte di oneri sostenuti in proprio” (Cass. n. 22210/16 cit.), allora non è giustificabile alcun ribaltamento di costi e tanto meno di utili nei confronti di quelle consorziate che non hanno ricevuto alcuna commessa e che, quindi, non hanno conseguito utili, nè hanno potuto generato costi, rimanendo estranee al meccanismo compensativo adottato dalla Manital per la regolazione dei rapporti contabili con le consorziate esecutrici di commesse.

11. Dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso, il primo (intesa a censurare la statuizione impugnata, che aveva affermato l’erroneità dei valori utilizzati dai verificatori per l’attribuzione delle quote consortili, implicitamente escludendo che l’Ufficio finanziario, nell’ipotesi di mancata esibizione di una completa documentazione contabile, “potesse effettuare calcoli proporzionali su valori aggregati del Consorzio, in parte induttivi” per accertare l’ammontare dell’imponibile tassabile), come pure il quinto, il sesto ed il settimo (tutti diretti a censurare, ancorchè sotto diversa prospettazione di vizio dedotto, la statuizione di merito sulla ritenuta erroneità del calcolo effettuato dai verificatori per l’attribuzione delle quote consortili, per aver pronunciato ultrapetita o, comunque, per non avere offerto un’adeguata spiegazione logica dell’erroneità di quei valori e, infine, per non aver proceduto, nonostante il lamentato errore di calcolo, all’autonoma rideterminazione del dovuto),vanno dichiarati assorbiti, non sottraendosi il primo dei suddetti motivi neppure al rilievo di inammissibilità per difetto di decisività della questione sottoposta all’esame di questa Corte.

12. Il terzo motivo di ricorso è, invece, infondato. Le ragioni poste dalla CTR a sostegno della esclusione del ribaltamento dei costi relativi alle spese generali è spiegata in modo logico ed adeguato dai giudici di appello, che hanno fatto leva sull’assenza della delibera del presidente del consorzio come previsto dall’art. 6 dello Statuto consortile. Peraltro, nel precisare che proprio per l’assenza di quella delibera la consorziata “non avrebbe potuto emettere la documentazione che le era stata richiesta con l’avviso di accertamento” e, immediatamente dopo, che “l’appellata non aveva ricevuto o reso alcuna prestazione”, le ragioni di quell’esclusione si fanno ancora più chiare, in quanto la società contribuente, essendo rimasta estranea all’assegnazione di commesse e, quindi, alle operazioni di compensazione, non poteva procedere autonomamente all’autofatturazione di spese di cui non era, nè poteva essere a conoscenza.

13. Il quarto motivo, incentrato sull’erronea qualificazione della trattenuta operata dalla società consortile sulle commesse eseguite dalle consorziate, come provvigione per l’espletamento del mandato – come tale escluso dall’imponibile tassabile, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), – invece che quale strumento di ribaltamento dei costi di gestione, è inammissibile perchè non decisivo in quanto, nel caso di specie, in cui non vi è stata alcuna assegnazione di commessa alla società contribuente, non è ipotizzabile alcuna attribuzione di provvigione in favore della società consortile.

14. In estrema sintesi, vanno dichiarati inammissibili il secondo ed il quarto motivo di ricorso, infondato il terzo, assorbiti tutti gli altri e le spese processuali interamente compensate tra le parti in considerazione dell’incidenza sulla decisione dei recenti arresti giurisprudenziali.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il secondo ed il quarto motivo di ricorso, infondato il terzo, assorbiti tutti gli altri e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5^ sezione civile, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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