Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5908 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 11/03/2010), n.5908

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30320/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

FONDAZIONE BANCA DEL MONTE DI LOMBARDIA in persona del Presidente pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO SOMALIA 67 presso

lo studio dell’Avvocato GRADARA RITA, rappresentata e difesa dagli

Avvocati FALSITTA Gaspare, PANSIERI SILVIA giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 106/2005 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di MILANO, depositata il 02/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito per il resistente l’Avvocato PANSIERI SILVIA, che si riporta

agli atti;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, con le quali si chiede

l’accoglimento del ricorso.

Il Procuratore Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE si riporta alle

conclusioni scritte.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2/9/2005 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in accoglimento del gravame interposto dalla contribuente Fondazione Banca del Monte della Lombardia riformava la pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Milano di rigetto dell’opposizione spiegata in relazione ad avviso di accertamento con rettifica delle dichiarazioni a fini IRPEG ed ILOR relativa agli anni d’imposta 1994 e 1995 emesso dall’Ufficio II.DD. di Milano.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso la Fondazione Banca del Monte della Lombardia, che ha presentato anche memoria.

Con requisitoria scritta il P.G. ha chiesto emettersi pronunzia ex art. 375 c.p.c., di accoglimento del ricorso per manifesta fondatezza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1^ motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis, D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, art. 14 preleggi, art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamentano che il giudice dell’appello ha ritenuto la sussistenza in capo alla contribuente dei requisiti per poter beneficiare dell’agevolazione prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, senza invero debitamente valutare la natura dell’attività in concreto dalla medesima e senza che la contribuente abbia assolto l’onere, su di essa incombente, di provare di avere svolto in concreto ed in misura prevalente specifiche attività socialmente utili.

Si dolgono che nell’impugnata sentenza si affermi che risulta incontestato il fatto che la contribuente abbia operato in concreto in settori rilevanti, laddove essi hanno “dimostrato (senza incontrare contestazione alcuna da controparte) che la Fondazione non operava in alcun settore perchè doveva limitarsi, in via indiretta, alla mera erogazione di fondi a terzi”.

Con il 2^ motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2082, 2195 e 2697 c.c., D.P.R. n. 917 del 1986, art. 51, comma 1, D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis, D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, comma 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamentano che erroneamente il giudice dell’appello ha escluso la natura commerciale dell’attività di amministrazione della partecipazione nella società conferitaria nel caso posta in essere dalla contribuente, laddove l'”attività di holding della Fondazione costituisce attività di governo della partecipata e non può essere ridotta ad attività conservativa o di mero godimento”.

Con il 3 motivo i ricorrenti denunziano la violazione e falsa applicazione degli artt. 87, 88 Trattato CE, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamentano che “la Corte di Giustizia ha condiviso la configurazione delle fondazioni bancarie (per lo meno nel regime, qui rilevante, anteriore alle modifiche apportate con il D.Lgs. n. 153 del 1999) come parte integrante del sistema creditizio, già fatta propria dalla Corte costituzionale”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.

Come le Sezioni Unite di questa Corte hanno, a scioglimento dell’insorto contrasto interpretativo in argomento, avuto modo di affermare, gli enti di gestione delle partecipazioni bancarie, quali risultanti dal conferimento delle aziende di credito in apposite società per azioni e gravati dall’obbligo di detenzione e conservazione della maggioranza del relativo capitale ai sensi della L. n. 218 del 1990 ed in base al D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, a causa del particolare vincolo genetico che le univa alle aziende scorporate, non possono essere assimilati nè alle persone giuridiche di cui alla L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis (che perseguono esclusivamente scopi di beneficenza, educazione, istruzione, studio e ricerca scientifica), ai fini della esenzione dal versamento della ritenuta d’acconto sugli utili, nè agli enti ed istituti di interesse generale aventi scopi esclusivamente culturali, di cui al D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, ai fini del riconoscimento della riduzione a metà dell’aliquota sull’IRPEG. La predetta disciplina agevolativa non trova applicazione quanto agli enti considerati nè in via analogica, trattandosi di disposizioni eccezionali, nè in via estensiva, poichè la sua ratto va ricercata nella esclusività e tipicità del fine sociale previsto per ciascun ente, individuato in maniera tassativa quale già esistente al momento dell’entrata in vigore delle predette norme.

La successiva disciplina di riforma del sistema creditizio, nell’attribuire a tali enti, ai sensi del D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12 ed ove si siano adeguati alle nuove prescrizioni, la qualifica di fondazioni con personalità giuridica di diritto privato, così estendendo ad essi il regime tributario proprio degli enti non commerciali, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, ex art. 87, comma 1, lett. c) (T.U.I.R.), non ha assunto valenza interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, avendo essa previsto adempimenti collegati all’attuazione della riforma stessa, senza influenza sui periodi precedenti.

Ne consegue l’esistenza di una presunzione di esercizio di impresa bancaria in capo ai soggetti che, in relazione all’entità della partecipazione al capitale sociale, sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio e, dall’altro, la possibile fruizione dei predetti benefici, per gli enti considerati, solo a seguito della dimostrazione, di cui sono onerati secondo il comune regime della prova ex art. 2697 c.c., di aver in concreto svolto un’attività, per l’anno d’imposta rilevante, del tutto differente da quella prevista dal legislatore, dunque un’attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale anzichè quella di controllo e governo delle partecipazioni bancarie e sempre che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo, non incombendo all’A.F. l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni v. Cass., Sez. Un., 22/1/2009, n. 1576. Conformemente v. Cass. 5^ 21/12/2009, n. 26883;

Cass., 9/12/2009, n. 25738).

Orbene, il giudice dell’appello ha nell’impugnata sentenza invero disatteso i suindicati principi (cfr. Cass., 30/12/2009, n. 28041).

In particolare laddove, nell’ affermare che “La questione nodale della presente controversia va individuata nella spettanza o meno, alle fondazioni, della riduzione alla metà dell’aliquota IRPEG prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6” (sicchè risulta per tabulas infondata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per l’estraneità dei motivi di impugnazione al thema decidendum sollevata dalla controricorrente), perviene a ritenere spettante anche all’odierna contribuente il beneficio della riduzione alla metà dell’aliquota IRPEG riservata ai soggetti ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, argomentando dal ravvisato “decisivo rilievo” del “fatto che detto ente sia per statuto un ente pubblico che persegue finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, laddove la gestione delle sue partecipazioni nei soggetti conferitali e degli altri suoi beni costituisce il mezzo per il perseguimento dei fini istituzionali dell’ente medesimo”. E non già, dunque, sulla base di prova debitamente fornita dalla contribuente ed idonea a vincere la suindicata presunzione a carico della medesima di esercizio di impresa bancaria.

Al riguardo, si noti, anche nel controricorso quest’ultima, nel muovere dall’erroneo convincimento – contrario al principio affermato da Cass., Sez. Un., 22/1/2009, n. 1576 – secondo cui “o si dimostra che la fondazione ha operato in violazione della normativa che la interessa e del proprio Statuto – ma (anche solo) del tentativo di una siffatta dimostrazione non vi è traccia negli atti della controparte – oppure si deve convenire che non vi è spazio alcuno per sostenere la commercialità dell’amministrazione della partecipazione nella Banca del Monte”, si limita invero, in violazione del principio di autosufficienza valido sia per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che per quello di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (cfr. Cass., 23/7/2009, n. 17253), e applicatesi anche al controricorso (cfr. Cass., 7/3/2006, n. 4840), a fare apoditticamente riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, allo “Statuto”, alla “ampia, concreta e documentata prova, da un lato, … alla entità delle varie erogazioni, anche e soprattutto in relazione ai dati complessivamente emergenti dal bilancio annuale”, agli “accantonamenti”, all'”intero supero delle rendite sulle spese di funzionamento e sugli oneri fiscali … destinato al perseguimento delle finalità istituzionali”).

Risultano a tale stregua inidoneamente indicate le prove – quali richieste nella sopra richiamata Cass., Sez. Un., 22/1/2009, n. 1576 – eventualmente fornite dalla contribuente e dai giudici di merito asseritamente non o mal valutate, alla cui stregua possa evincersi la non commercialità della svolta attività, non ponendosi pertanto questa Corte in condizione di verificare il fondamento della denunziata violazione e di apprezzarne la rilevanza e pertinenza ai fini del decidere (cfr. Cass., 12/7/2005, n. 14601; Cass., 22/10/2004, n. 20593; Cass., 28/7/2004, n. 14262) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, ivi compresa la sentenza impugnata, non essendo possibile sopperire alle relative lacune con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 172/1995, n. 1161).

Quanto infine al giudicato interno sostanzialmente eccepito dalla controricorrente in ordine all’attività in concreto svolta dall’ente nel periodo in contestazione, a parte quanto già più sopra osservato in ordine alla insussistenza di un onere a carico dell’A.F. di sollevare in proposito precise contestazioni (v. Cass., Sez. Un., 22/1/2009, n. 1576), va posto in ogni caso in rilievo che l’appello erariale ha investito ogni aspetto della questione concernente la spettanza dell’agevolazione in argomento, laddove la decisione impugnata si è limitata ad esaminare in astratto l’assetto normativo e statutario delle finalità di detta attività.

Dell’impugnata sentenza s’impone pertanto la cassazione.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.

Le ragioni della decisione costituiscono peraltro giusti motivi per disporsi la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente.

Compensa tra le parti le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

 

 

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