Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5907 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 26/09/2016, dep.08/03/2017),  n. 5907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18882/2009 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COOPERATIVA ZEDA ARL in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO 91, presso

lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati NATALE MANGANO, UMBERTO GIARDINI

giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 33/2008 della COMM.TRIB.REG. del PIEMONTE,

depositata il 09/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato LUCISANO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 33 del 9 luglio 2008 la Commissione tributaria regionale del Piemonte respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Torino che aveva annullato l’avviso di accertamento ai fini IVA per l’anno di imposta 2001 con cui l’Ufficio finanziario, sulla base delle risultanze del processo verbale di constatazione del 26 settembre 2005, redatto dalla G.d.F. a seguito della verifica fiscale effettuata nei confronti del Consorzio Manital, avente ad oggetto la gestione integrata di complessi immobiliari ed operante in regime di mandato senza rappresentanza, di cui la Cooperativa ZE.DA. a r.l. era consorziata, da cui era emerso l’irregolare ribaltamento pro quota fra i consorziati dei costi sostenuti per le prestazioni di servizi da parte del consorzio, nonchè degli utili derivanti dai proventi delle commesse in favore delle società consorziate, perchè effettuato mediante preventiva compensazione fra operazioni attive e passive, che comportava l’esclusione dalle fatturazioni delle quote compensate, aveva contestato alla predetta cooperativa l’omessa fatturazione e l’omessa regolarizzazione dei rapporti economici intrattenuti con il consorzio nonchè la presentazione di dichiarazione IVA infedele.

1.1. La Commissione di appello sosteneva che la base imponibile per le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza, com’era nella specie il Consorizo Manital, andava determinata in base alla disposizione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), che esclude dalla base imponibile la provvigione dovuta al mandatario; che l’operato del consorzio e della consorziata era conforme allo Statuto e al Regolamento disciplinante i rapporti tra detti soggetti economici, ed era mancata la prova di un loro comportamento illegittimo, avendo effettuato il ribaltamento dei costi e dei ricavi in proporzione alle rispettive quote e al netto delle spese; che nel calcolo effettuato dai verificatori erano stati utilizzati valori erronei; che la consorziata non poteva emettere autofattura per le quote di partecipazione alle spese generali del consorzio in quanto non era stata deliberata secondo le previsioni statutarie; che la consorziata non aveva partecipato ad alcuna commessa nell’anno in verifica cosicchè non vi era base imponibile su cui basare una qualche pretesa tributaria.

2. Avverso detta statuizione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato ad otto motivi, cui la cooperativa intimata ha replicato con controricorso.

2.1. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

3. La causa perviene da rinvio a nuovo ruolo disposto in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, intervenuta con sentenza n. 12190 del 2016, su questione di diritto analoga a quella prospettata nel ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e corredato di idoneo quesito di diritto, la ricorrente sostiene che la Commissione di appello ha violato le disposizioni di cui all’art. 1241 c.c. e segg., art. 2602 c.c. e segg., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, nel ritenere che, nonostante la natura mutualistica del consorzio e della previsione statutaria di necessaria partecipazione pro quota delle consorziate ai costi sostenuti dal consorzio, la mancata partecipazione della società contribuente alle commesse distribuite dal consorzio e la mancata adozione della delibera presidenziale di ripartizione delle spese generali sostenute dal consorzio, consentisse a quest’ultimo di effettuare il ribaltamento sulle consorziate dei costi generali di gestione e dei costi specifici delle singole commesse mediante compensazione con i ricavi (per le commesse svolte o, come nella specie, per le quote consortili), così da determinare un effetto di evasione fiscale in ragione dei minori importi fatturati.

2. Con il secondo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. e concluso con idoneo quesito di fatto, la ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata laddove la CTR ha ritenuto erronei i valori utilizzati dai verificatori per l’attribuzione delle quote consortili sulla base delle sole prospettazioni della società contribuente, senza spiegare “le ragioni per cui il ragionamento del contribuente sia corrispondente alla realtà”, benchè lo statuto consortile prevedesse all’art. 6 che il fondo consortile dovesse essere costituito da una quota di ammissione, una quota una tantum (annualmente determinata dal Consiglio Direttivo) ed almeno una quota consortile e, quindi, la quota di partecipazione della consorziata, utilizzata ai fini del ribaltamento dei costi e dei ricavi, andasse determinata nella risultante della proporzione tra il fondo consortile e la somma delle predette tre quote.

3. Con il terzo e quarto motivo, accompagnati da idonei quesiti di diritto, la ricorrente deduce, rispettivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3, ed in relazione alla questione posta nel secondo motivo, la violazione e falsa applicazione dei principi regolatori del processo tributario di merito e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 2, sostenendo che la CTR, che aveva ritenuto l’atto impositivo solo parzialmente illegittimo per motivi di carattere sostanziale, e cioè per erroneità del calcolo della quota consortile della società contribuente, non avrebbe potuto annullare l’avviso di accertamento impugnato, ma avrebbe dovuto rideterminare tale quota sulla base delle proprie valutazioni di merito.

4. Con il quinto motivo, corredato da idoneo quesito di diritto, la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, e art. 55, comma 1, e comma 2, nn. 2 e 3.

La ricorrente lamenta che la Commissione di appello ha erroneamente ritenuto che nella specie l’Amministrazione finanziaria non ha dato prova dell’illegittimità della condotta contabile tenuta dal consorzio e dalle società consorziate e che l’incompletezza della documentazione fornita dalla società contribuente ai verificatori non fa venir meno l’onere dell’Amministrazione finanziaria di dimostrare l’entità dell’imposta evasa, così sostanzialmente violando le disposizioni censurate che consentono all’Ufficio finanziario, nelle ipotesi – come quella di specie – di incompletezza della documentazione esibita dalla parte contribuente, di accertare induttivamente, e cioè sulla base dei dati e delle notizie raccolti o conosciuti in base alla verifica fiscale, l’ammontare dell’imponibile sottratto a tassazione a seguito delle accertate modalità di ribaltamento dei costi e dei ricavi attuate dal consorzio e dalle consorziate, con la conseguenza che era onere della società contribuente dimostrare il diverso ammontare dell’imponibile da assoggettare ad imposta.

5. Con il sesto motivo l’Agenzia ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata laddove la CTR sostiene che il consorzio non “avrebbe dovuto ripartire tra le consorziate secondo le rispettive quote di partecipazione i corrispettivi dovuti dall’ente appaltante per conto di dette imprese in quanto la quota di partecipazione non incide sull’importo fatturato”, che mancava la prova della illegittimità del comportamento del consorzio e che “l’accertamento dell’Ufficio non rispecchia, quindi, la realtà istituzionale del consorzio risultante dallo Statuto stesso” (così alle pagg. 48 e 49 del ricorso), senza però spiegare le ragioni del convincimento per cui, nonostante tali circostanze non facessero venir meno l’obbligo di integrale ribaltamento dei costi e dei ricavi tra consorzio e consorziate, “i costi di gestione del consorzio non venissero ribaltati sulle consorziate (anche quelle che non avevano eseguito alcuna commessa, come l’odierna intimata) mediante l’incameramento degli utili realizzati con per le commesse eseguite direttamente dal consorzio o delle somme percepite come ricarico sul prezzo delle commesse eseguite dalle consorziate, utili a loro volta non ribaltati” (così, testualmente, nel momento di sintesi conclusivo del motivo).

6. Con il settimo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per avere la CTR sostenuto che in assenza della delibera di ripartizione dei costi, da adottarsi con la procedura prevista dall’art. 6 dello Statuto, la consorziata non avrebbe potuto emettere autofattura non conoscendo l’entità degli stessi, senza però considerare che non vi era alcun a necessità per le consorziate di conoscere detti costi in quanto ribaltati forfettariamente con l’accordo tacito della consorziata, come era avvenuto nel caso di specie.

7. Con l’ottavo motivo, corredato di idoneo quesito, l’Agenzia ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241, 1706, 1709 e 1719 c.c., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, art. 6, comma 3, art. 13, comma 2, e art. 15, nonchè D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, comma 1. Sostiene che la CTR ha violato le predette disposizioni in quanto, pur risultando che il consorzio, per espressa previsione statutaria (art. 3, comma 1), non operava a fini di lucro, aveva qualificato la trattenuta operata sulle commesse eseguite dalle consorziate come provvigione per l’espletamento del mandato – come tale escluso dall’imponibile tassabile, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), – invece che strumento di ribaltamento dei costi di gestione.

8. La questione che, nell’ambito delle società consortili, i sunteggiati motivi di ricorso ripropongono è quella del “ribaltamento” sulle società consorziate dei costi e ricavi derivanti dalla esecuzione delle commesse e della correlativa disciplina fiscale, recentemente oggetto delle pronunce delle sezioni unite di questa Corte nn. 12190, 12191, 12192, 12193 e 12194 del 2016, cui si sono conformati i successi arresti della sezione tributaria (nn. 21860, 21861, 21862, 21863, 21864, 22210, 22211, 22435 e 24380 del 2016), che hanno riguardato proprio i rapporti tra il consorzio Manital e la folta compagine delle imprese sue consorziate.

Hanno affermato le sezioni unite che “la funzione mutualistica dei Consorzi desumibile dall’art. 2602 c.c., non è ostativa allo svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale con scopo di lucro” e da quest’affermazione hanno fatto discendere gli altri principi enunciati in materia e cioè che “costituisce questione di merito l’accertamento in ordine ai rapporti intercorsi tra società consortile e società consorziata nella assegnazione dei lavori o servizi ai singoli consorziati e nella esecuzione delle commesse” e che “nel caso di differenza tra quanto fatturato dalla società consortile al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato, nel rispetto dei principi di certezza, effettività inerenza e competenza, costituisce onere del consorziato fornire la prova che tale differenza non sia costituita da ricavi, o che la stessa corrisponda a provvigioni o servizi resi dal consorzio al terzo”. Con specifico riguardo all’Iva hanno, altresì affermato, che, a norma del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, comma 3, ultimo periodo, e art. 13, comma 2, lett. b), deve esservi piena corrispondenza tra la base imponibile fatturata dalla società consortile al terzo committente e quella fatturata dall’impresa consorziata al Consorzio mandatario, salvo la rilevanza fiscale della eventuale provvigione, qualora il contribuente dimostri che la stessa sia stata formalmente pattuita.

9. Muovendo, quindi, dall’affermata distinta soggettività della società consortile rispetto alle consorziate, con conseguente autonoma responsabilità per le obbligazioni, anche tributarie, connesse alle operazioni rispettivamente poste in essere dall’una o dalle altre, necessariamente distinguendosi – quanto alle attività svolte dalla società consortile – tra operazioni realizzate in esecuzione del patto mutualistico ovvero di un’autonoma attività commerciale, le sezioni unite della Corte hanno affermato che presupposti imprescindibili per stabilire se sia o meno necessario il ribaltamento integrale o parziale di costi e ricavi – che è questione che rileva nel presente giudizio – è proprio l’accertamento della “natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dalla società consortile o dalle consorziate, ed al rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate” (Cass. S.U. cit., p. 21). “Qualora, difatti, il consorzio acquisisca una commessa e proceda autonomamente ad eseguirla, indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, non si deve procedere ad alcun ribaltamento di costi tra tutti i consorziati. Il ribaltamento di costi e di ricavi rimane doveroso, peraltro, nel caso in cui il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque correlati alla finalità mutualistica di utilizzo del servizio consortile” (così in Cass. n. 22435/16 cit.).

10. Ciò posto in termini generali, venendo al caso concreto, la difesa erariale con il primo motivo lamenta l’inosservanza da parte della CTR delle disposizioni di cui all’art. 1241 c.c. e segg., art. 2602 c.c. e segg., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, perchè, “a dispetto della natura mutualistica del consorzio e di quanto previsto dalla statuto consortile (partecipazione pro quota delle consorziate ai costi del consorzio)” (pag. 29 del ricorso), aveva negato l’obbligo del consorzio di ribaltare tutti i costi generali di gestione ed i costi specifici relativi alle singole commesse sulle consorziate, compresa l’odierna intimata, “per il suo mero ruolo di consorziata” (ricorso, pag. 19), quindi a prescindere dalla sua partecipazione – che nella specie non vi era stata – alla distribuzione delle commesse da parte della società consortile, in tal modo legittimando un’operazione contabile – in base alla quale la società consortile provvedeva a ribaltare costi e ricavi sulle consorziate esecutrici di commesse operando una compensazione a proprio favore del 25% dell’importo fatturato alla committente per coprire i costi generali e a quelli specifici sostenuti per ogni singola commessa – che si risolveva in una violazione degli obblighi di fatturazione (dell’intero importo delle commesse) ed autofatturazione (per il ribaltamento dei costi, generali e specifici, di gestione), con conseguente evasione delle relative imposte.

10.1. Il motivo non si sottrae al preliminare rilievo di inammissibilità, muovendo l’Agenzia ricorrente da presupposti di fatto erronei, se non addirittura contraddittori. Invero, a fronte dell’affermazione fatta in sentenza, secondo cui la consorziata “non aveva ricevuto o reso alcuna prestazione per cui l’assenza di rapporti significativi con il Consorzio riafferma, anche sotto questo profilo, che non si era potuto costituire nella fattispecie neppure il presupposto su cui si basava la pretesa tributaria portata dall’atto impugnato poichè non poteva esservi base imponibile quando non vi era stata alcuna assegnazione di commesse e poichè la fatturazione doveva essere effettuata solo dalla consorziata alla quale era stata affidata l’esecuzione della commessa”, la difesa erariale replica, da un lato, che era onere del consorzio ribaltare gli utili ed i costi su tutti i consorziati, “indipendentemente dalla partecipazione della singola impresa alle commesse che hanno generato gli utili e determinato i costi”, stante “la particolare natura ed il particolare ruolo del consorzio” (ricorso pag. 25), e, dall’altro, contraddittoriamente, che il consorzio avrebbe dovuto addebitare le spese ai consorziati “nel caso in cui i ricavi (fatturati al committente” fossero inferiori rispetto ai costi” (ricorso pag. 20). La prima delle sopra riportate affermazioni è frutto di una visione della causa consortile in chiave esclusivamente mutualistica oramai abbandonata ed in contrasto, quindi, con il pronunciamento delle sezioni unite di questa Corte, sopra citate, che hanno riconosciuto – in ciò seguito dalle successive pronunce di questa sezione tributaria (peraltro in giudizi riguardanti proprio società facenti parte del consorzio Manital) – la compatibilità dello scopo lucrativo con il modello consortile cosicchè, se “nessuna alterazione della causa di esso configurante un abuso del modello stesso è (…) ravvisabile se il consorzio ometta di ribaltare la totalità dei proventi e dei costi sui singoli consorziati, trattenendo per sè una quota proporzionale dei primi a fronte di oneri sostenuti in proprio” (Cass. n. 22210/16 cit.), allora non è giustificabile alcun ribaltamento di costi, e tanto meno di utili, nei confronti di quelle consorziate che non hanno ricevuto alcuna commessa e che, quindi, non hanno conseguito utili, nè hanno potuto generare costi, rimanendo estranee al meccanismo compensativo adottato dalla Manital per la regolazione dei rapporti contabili con le consorziate esecutrici di commesse.

11. Dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, il secondo (inteso a denunciare l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata sull’erroneità dei valori utilizzati dai verificatori per l’attribuzione delle quote consortili, in quanto fondata sulla sola prospettazione della società contribuente), come pure il terzo ed il quarto (entrambi diretti a censurare, ancorchè sotto diversa prospettazione di vizio dedotto, l’omessa rideterminazione da parte del giudice di appello, sulla base delle proprie valutazioni di merito, della quota consortile dovuta dalla società contribuente),vanno dichiarati assorbiti.

12. Ad analogo rilievo di inammissibilità non si sottrae il quinto motivo di ricorso, per la non decisività della questione con esso posta dalla difesa erariale, inerente la facoltà dell’Ufficio finanziario di accertare induttivamente l’ammontare imponibile tassabile mediante “calcoli proporzionali su valori aggregati del Consorzio” (ricorso pag. 45) per l’incompleta esibizione da parte della contribuente della documentazione contabile.

13. E’ inammissibile anche il sesto motivo di ricorso, incentrato sul difetto di motivazione della sentenza impugnata perchè, secondo la prospettazione di parte ricorrente, le ragioni addotte dalla CTR – e cioè la mancanza di prove certe di un comportamento illegittimo del consorzio; la regolamentazione dei rapporti tra Manital e società consorziate attuata con modalità tali da garantire il reciproco equilibrio tra giusto guadagno per queste ultime e copertura dei costi per la prima; la circostanza che la quota di partecipazione delle consorziate non incideva sull’importo fatturato dall’esecutore della commessa – erano insufficienti a spiegare le ragioni per le quali aveva ritenuto che gli utili ed i costi di gestione non dovessero essere ribaltati sulla società contribuente.

13.1. Invero, il presupposto da cui muove la ricorrente, reso esplicito dalla premessa del momento di sintesi che conclude il motivo (ricorso pag. 56), in cui sostiene che la consorziata odierna intimata percepiva e fatturava una somma inferiore rispetto a quanto spettantele “sia per le commesse eseguite sia in generale per la partecipazione al consorzio”, è errato e non corrisponde alla fattispecie in esame, essendo nel caso di specie pacifico che la società contribuente non aveva eseguito alcuna commessa. Ed erra, altresì, la ricorrente quando, nel precisare di aver operato una netta distinzione tra consorziate che avevano eseguito le commesse e le altre che non ne avevano avute di assegnate dal consorzio, sostiene che la ripartizione pro quota dei proventi anche tra queste ultime riguardava “unicamente le commesse eseguite direttamente dal consorzio o attraverso terzi” nonchè i costi di gestione e di esecuzione del consorzio, perchè questa è tesi che si pone in contrasto con i sopra enunciati principi giurisprudenziali, originati dalle ricordate pronunce delle sezioni unite di questa Corte.

14. Anche il settimo motivo è inammissibile. Censurando la sentenza di merito per l’insufficiente motivazione resa in ordine alla ritenuta impossibilità della società consorziata di emettere autofattura non essendo nota l’entità degli stessi, mancando la delibera societaria di ripartizione dei costi, da adottarsi con la procedura prevista dall’art. 6 dello Statuto, sostiene la ricorrente che i giudici di appello non avevano considerato che non vi era alcuna necessità per le consorziate di conoscere quei costi, in quanto ribaltati forfettariamente con l’accordo tacito della consorziata, com’era avvenuto nel caso di specie.

14.1. L’argomentazione, oltre ad essere contraddittoria, laddove nega la possibilità di un’autofatturazione di costi non conosciuti per poi ammetterla in via forfetaria, non è neanche decisiva, in quanto la questione inerisce la posizione delle società consorziate assegnatarie di commesse (ma non è il caso della contribuente intimata) che, secondo la tesi sostenuta nel mezzo di impugnazione, “accettavano la corresponsione di una somma inferiore rispetto a quella proporzionalmente incamerata dal Consorzio dal committente, senza che il Consorzio avesse in alcun modo svolto attività di realizzazione delle commesse, e non avendo il Consorzio un fine di lucro”, ponendosi con tale ultima affermazione in rinnovato contrasto con il sopra citato pronunciamento delle sezioni unite di questa Corte.

15. Anche l’ultimo motivo di ricorso (l’ottavo), incentrato sull’erronea qualificazione della trattenuta operata dalla società consortile sulle commesse eseguite dalle consorziate come provvigione per l’espletamento del mandato – come tale escluso dall’imponibile tassabile, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 2, lett. b), – invece che quale strumento di ribaltamento dei costi di gestione, è inammissibile perchè non decisivo in quanto, nel caso di specie, in cui non vi è stata alcuna assegnazione di commessa alla società contribuente, non è ipotizzabile alcuna attribuzione di provvigione in favore della società consortile.

16. In estrema sintesi, vanno dichiarati inammissibili il primo, sesto, settimo ed ottavo motivo, assorbiti tutti gli altri e le spese processuali interamente compensate tra le parti in considerazione dell’incidenza sulla decisione dei recenti arresti giurisprudenziali.

PQM

La Corte dichiara inammissibili il primo, sesto, settimo ed ottavo motivo di ricorso, assorbiti gli altri e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Quinta Civile, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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