Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5906 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 26/09/2016, dep.08/03/2017),  n. 5906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5531-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COOPLUS SERVICE SCARL IN LIQUIDAZIONE in persona del Liquidatore

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati UMBERTO

GIARDINI, NATALE MANGANO giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12/2009 della COMM.TRIB.REG. del Piemonte

depositata il 03/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/09/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato LUCISANO che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO FEDERICO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Sulla base di rilievi contenuti in processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, da cui è emerso che il Consorzio Manital, di cui fa parte la Cooplus Service s.c.a.r.l. in liquidazione, ha operato come impresa commerciale con scopo di lucro non attenendosi alle modalità previste in materia di consorzi sia per la contabilizzazione di costi e ricavi, sia per la fatturazione attiva e passiva con IVA, effettuando una compensazione tra operazioni attive e passive e documentando solo la differenza, l’Agenzia delle Entrate ha notificato alla predetta società quattro atti impositivi e precisamente avvisi di accertamento e atti di contestazione rispettivamente per infedeltà della dichiarazione annuale presentata, mancata inclusione di componenti positive e mancata fatturazione del ribaltamento delle commesse del Consorzio Manital, con recupero dell’IVA, IRPEG e IRAP dovute, da un lato, e irrogazione di sanzioni per omessa e tardiva autofatturazione di IVA, dall’altro, per gli anni 2001 e 2002.

La Commissione tributaria regionale del Piemonte in Torino, con sentenza depositata il 3 febbraio 2009 n. 12, ha rigettato, previa riunione, gli appelli proposti dall’Agenzia delle entrate e confermato quattro sentenze della Commissione tributaria provinciale di Torino che hanno annullato gli atti impositivi.

La Commissione regionale, premessa l’ammissibilità degli appelli, sulla base di diversa motivazione rispetto alle sentenze di primo grado li respingeva, dando atto che la società contribuente partecipa al Consorzio MANITAL che stipula, nella qualità di mandatario senza rappresentanza, contratti di appalto di manutenzione di complessi immobiliari con i terzi committenti, provvedendo poi a concludere con le singole imprese consorziate distinti contratti di affidamento dei lavori necessari per la esecuzione del contratto di appalto di manutenzione. Ha tuttavia rilevato che nel caso di specie non sussistesse la prova che i lavori fossero stati affidati dal Consorzio a tutte le società consorziate, per cui i verbalizzanti avrebbero infondatamente ritenuto che i costi ed i compensi relativi ai predetti contratti di appalto di manutenzione immobiliare dovessero essere “ribaltati” dal Consorzio anche alle imprese che non avevano partecipato alla esecuzione del contratto.

La sentenza di appello, non notificata, è stata ritualmente impugnata per cassazione dalla Agenzia delle Entrate con un unico motivo. Resiste con controricorso la società intimata, che deposita altresì memoria.

La causa è trattata all’odierna udienza a seguito di ordinanza interlocutoria che aveva disposto rinvio a nuovo ruolo in attesa di pronuncia delle sezioni unite sulla questione trattata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con l’unico motivo la ricorrente deduce la violazione del combinato disposto degli artt. 1705 e 1706 c.c., art. 1713 c.c., comma 1, art. 1719 c.c., art. 1720 c.c., comma 1 e art. 1709 c.c. (norme in tema di mandato), dell’art. 2602 e dell’art. 2615-ter c.c. (concernenti il contratto di consorzio), del principio generale del divieto dell’abuso del diritto desunto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 1, dell’art. 53 Cost. e del principio di primazia del diritto comunitario in tema di IVA, dell’art. 1241 c.c. in tema di compensazione e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 3, art. 6, comma 3, art. 13, commi 1 e 2 e art. 21, comma 1, concernenti gli obblighi IVA, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2. – L’Agenzia, come emerge dal quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c., formulato in calce al motivo, premettendo che sulla base dei dati contabili aggregati del Consorzio avente scopo non lucrativo aveva contestato operazioni esistenti ma non fatturate nè auto fatturate, verificando che costi e ricavi relativi alle commesse acquisite dal Consorzio mediante l’impiego elusivo della compensazione non erano stati ribaltati sulla società consorziata, avendo percepito il Consorzio quale mandatario senza rappresentanza prezzi maggiori delle somme riversate alla consorziata, chiede a questa Corte di dire se si applichi la normativa derivante dal combinato disposto delle norme indicate, secondo cui il consorzio e la consorziata devono emettere fattura, anche per le partite oggetto di compensazione, e ribaltare nella loro integralità costi e ricavi, in luogo della inesistente regola affermata dalla Commissione regionale secondo cui tale ribaltamento non è dovuto al pari delle conseguenti obbligazioni tributarie.

3. – Il motivo è inammissibile.

4. – Preliminarmente rispetto all’esame del motivo giova premettere che i profili giuridici da esso incisi sono stati di recente rivisitati da questa Corte a sezioni unite con le sentenze nn. 12190, 12191, 12192, 12193 e 12194 del 2016. Precedentemente rispetto all’intervento delle sezioni unite (q.v. per richiami), un primo indirizzo giurisprudenziale relativo alla società consortile (art. 2615 ter c.c.) considerava la “funzione mutualistica” ex art. 2602 c.c., comma 1 e art. 2614 c.c. tale da non esaurirsi nell’oggetto o scopo, e da informare invece la stessa causa del negozio consortile, con la conseguenza che una eventuale elusione della funzione mutualistica potrebbe assumere rilievo ai sensi dell’art. 1344 c.c. (contratto in frode alla legge), se tesa a violare norme tributarie, attesa l’imperatività propria di queste, venendo a configurare una fattispecie di abuso del diritto. Secondo l’indirizzo in esame, il consorzio, proprio in considerazione della causa negoziale predetta, non potrebbe e non dovrebbe avere nessun vantaggio economico per sè, perchè tali vantaggi (come gli eventuali svantaggi) appartengono, sempre e solo, alle imprese consorziate. Ne conseguirebbe che il consorzio – anche se costituito in forma societaria – non potrebbe trattenere utili nè sopportare costi derivanti dalla attività svolta nell’interesse delle consorziate, ma dovrebbe sempre e comunque riaccreditare e riaddebitare (o con altra terminologia “ribaltare”) ad esse rispettivamente il corrispettivo ricavato dai contratti stipulati con i terzi committenti, nonchè i costi generali – concernenti le spese di funzionamento della organizzazione – e specifici – relativi alle spese sostenute per la stipula ed esecuzione dei singoli contratti – ripartendoli tra le consociate in proporzione alla quota di partecipazione detenuta da ciascuna impresa. Da tali premesse è stata tratta la conseguenza che la difformità tra il maggiore importo fatturato dal consorzio e gli importi fatturati dalle singole consociate configurerebbe una indebita compensazione tra i ricavi del consorzio (che devono invece essere interamente ribaltati alla consorziata) e il rimborso delle spese da esso sostenute, non potendo neppure giustificarsi tale differenza di importi in base alla provvigione richiesta dal consorzio-mandatario (senza rappresentanza) alle consociate imprese-mandanti in quanto, se da un lato non può escludersi che il mandato, “in assenza di finalità lucrativa”, ben potrebbe essere svolto a titolo gratuito dal consorzio, dall’altro, la provvigione deve necessariamente trovare corrispondente riscontro probatorio nelle scritture contabili sia del consorzio che delle consorziate e inserita nella determinazione della base imponibile indicata nelle fatture emesse dalle consorziate.

Con un secondo indirizzo, incentrato sulla autonoma soggettività giuridica e fiscale del consorzio rispetto alle singole imprese associate, questa Corte, prendendo le mosse dallo scopo tipico del contratto di consorzio, ha affermato – proprio in riferimento al soggetto per cui è causa – che la natura di ente non a fini di lucro desumibile dallo statuto non escluderebbe lo svolgimento di un’attività intrinsecamente commerciale, traendo da essa dei ricavi, parte dei quali diretti a coprire i costi di gestione. Tale orientamento ripete il proprio fondamento dalla impostazione teorica secondo cui lo scopo di mutualità non contraddice lo scopo di lucro, inteso in senso oggettivo come esigenza di economicità della gestione dell’attività svolta dal soggetto consortile, con la conseguenza che il consorzio ben potrebbe conseguire autonomi ricavi dall’attività svolta nei confronti dei terzi, salvo il perseguimento dello scopo mutualistico – assunto nell’oggetto sociale – nei rapporti interni con le imprese consorziate. In tale ottica, la natura di ente non avente finalità di lucro non implicherebbe che i costi di gestione debbano obbligatoriamente cedere a carico delle imprese consorziate. Da ciò la conclusione che il consorzio, agendo in conformità allo scopo indicato, potrebbe evitare di addossare alle società consociate eventuali maggiori oneri connessi ai costi di gestione (spese generali) della propria attività e alle spese di funzionamento della organizzazione consortile, ricavando dallo svolgimento della attività esterna i proventi necessari a coprire integralmente tali costi, nella specie trasferendoli, attraverso la applicazione di una percentuale di ricarico, sul maggior corrispettivo che riceve dai terzi committenti per i contratti di appalto stipulati in nome proprio e per conto delle consorziate.

Nel riesaminare la propria giurisprudenza anche in materie affini, le sezioni unite hanno ritenuto meritevole di condivisione un indirizzo intermedio tra i due orientamenti contrapposti. Esse hanno, da un lato, riaffermato che l’esercizio di un’impresa commerciale ed il relativo intento di lucro non sono inconciliabili con lo scopo mutualistico. Dopo aver ammesso che vi sono società senza scopo di lucro e consorzi in forma societaria, si è in tale ottica anche affermato che la stessa società cooperativa può avere uno scopo di lucro. La compatibilità va confermata anche ai fini fiscali, come si trae dal dettato normativo di cui alla L. n. 240 del 1981, art. 4 laddove si subordina la possibilità per i consorzi e le società consortili di fruire di una determinata agevolazione fiscale alla previsione statutaria di un divieto di distribuzione di utili alle consorziate; divieto altresì disposto dalla L. n. 317 del 1991, art. 18 e che non avrebbe ragion d’essere qualora si escluda la possibilità per le società consortili di conseguire utili.

Da ciò traggono le sezioni unite – con indirizzo cui va qui data continuità – che, se deve ammettersi la coesistenza della causa mutualistica con lo scopo lucrativo, non ne consegue “ex se” il riconoscimento della effettiva sussistenza di entrambi, in pari misura, in un soggetto consortile; è necessaria dunque la distinzione in concreto tra le operazioni poste in essere dal soggetto consortile in esecuzione del patto mutualistico da quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale, alla luce non solo dei patti consortili, ma anche dell’attività in concreto esercitata, con verifica tesa a valutare se il ricorso all’organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale. Tale intento è ben presumibile laddove lo scopo mutualistico risulti, a detto accertamento, di carattere del tutto residuale.

Le diverse modalità attraverso le quali viene svolta l’attività consortile, nonchè la correlazione delle stesse con gli scopi di volta in volta perseguiti, impongono la necessità di un ulteriore accertamento circa i rapporti intercorsi tra il soggetto consortile e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati, rapporti che, in assenza di specifica disposizione normativa, possono anche essere in concreto ricondotti a istituti anche diversi dal mandato con o senza rappresentanza.

In base a tale verifica in ordine alla natura delle operazioni o servizi rispettivamente espletati dal soggetto consortile o dalle consorziate, e al rapporto sottostante all’assegnazione dei servizi alle consorziate, sarà possibile stabilire se sia o meno necessario il “ribaltamento” integrale o parziale di costi e ricavi.

Come ricordano le sezioni unite, ad esempio, nell’ipotesi in cui il consorzio acquisisca una commessa e proceda a un autonomo adempimento della stessa indipendentemente dalla partecipazione delle consorziate, va esclusa la legittimità di un ribaltamento del costi tra tutti i consorziati; a questo si dovrà invece procedere se il consorzio, pur avvalendosi di proprie strutture, svolga servizi complementari, comunque connessi al criterio mutualistico di utilizzo del servizio consortile.

Le richiamate sentenze delle sezioni unite hanno poi ricordato che l’eventuale differenza tra quanto fatturato dal consorzio al terzo committente e quanto fatturato dal consorziato al consorzio può ricollegarsi a più evenienze:

a) differenza costituita dalle spese di gestione generali ripartita tra i singoli consorziati e addebitata al consorziato in occasione della commissione dei lavori;

b) differenza costituita dal costo di specifici servizi forniti dal consorzio al consorziato in relazione ai lavori che questo è deputato a svolgere;

c) differenza costituita dalle provvigioni dovute dal consorziato (mandante) al consorzio (mandatario senza rappresentanza), escluse dall’imponibile IVA (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13);

d) differenza costituita dal costo e dagli utili per ulteriori servizi forniti solo dal consorzio, quale soggetto imprenditoriale, in favore del terzo committente, in relazione ai lavori posti in essere dal consorziato a seguito della commessa in suo favore.

In relazione a ciò, le sezioni unite hanno statuito che l’individuazione dell’evenienza nel concreto realizzatasi costituisce un problema di prova e di onere della prova, il cui esame è rimesso al giudice del merito con valutazione sottratta al sindacato di questa Corte se motivata nelle forme di legge.

Soccorrono, in tale valutazione, le regole per cui nelle ipotesi a) e b) la differenza del “quantum” fatturato, nel caso di compensazione tra consorziato e consorzio, in assenza di dettaglio di costi e ricavi, si risolve in un occultamento dei ricavi del consorziato, presunzione questa rispetto alla quale costituisce onere del consorziato fornire la prova contraria, nel senso che tale differenza non sia costituita da ricavi, nel rispetto dei principi di certezza, effettività, inerenza e competenza. Egualmente sarà onere del consorziato, nelle ipotesi c) e d), provare che la differenza suddetta sia costituita da provvigioni o da servizi resi dal consorzio al terzo.

Infine, in correlazione tra attività esercitata dal consorzio o dalla consorziata in relazione ai diversi scopi (consortile-lucrativo), andrà riconosciuto il diritto alla detrazione dei costi ai fini IVA; e ciò conformemente alla direttiva comunitaria (art. 17, par.2 della 6^ direttiva).

Alla luce di tali statuizioni delle sezioni unite, cui come detto il collegio intende conformarsi, l’inammissibilità del motivo di ricorso discende dalla circostanza che esso, attinente come già sopra notato a dedotte violazioni di norme e abuso del diritto per mancata fatturazione e mancato ribaltamento integrale di costi e ricavi, postula l’affermazione di una “regula iuris” (in sintesi, l’obbligo di ribaltamento) non confacente – o non più confacente, dopo l’intervento nomofilattico – rispetto alla fattispecie concreta, cui si attaglia ormai il principio di diritto per cui deve procedersi alla distinzione tra le operazioni poste in essere dal soggetto consortile in esecuzione del patto mutualistico da quelle costituenti esercizio di un’autonoma attività commerciale, alla luce non solo dei patti consortili, ma anche dell’attività effettivamente esercitata, e tenuti presenti i rapporti intercorsi tra consorzio e la consorziata nella fase di assegnazione dei lavori o dei servizi ai singoli consorziati, con verifica tesa a valutare se il ricorso all’organizzazione consortile sia finalizzato unicamente a conseguire un indebito risparmio fiscale. Su tali profili non si è soffermato il predetto motivo, come ricordato solo imperniato sulla tesi dell’integrale ribaltamento delle voci contabili tra consorzio e consorziate.

5. – Stante il consolidarsi del quadro giuridico di riferimento per la controversia soltanto nel 2016, per effetto delle cennate sentenze delle sezioni unite a soluzione di contrasti interpretativi, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il motivo di ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 26 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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