Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5903 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. I, 23/02/2022, (ud. 20/01/2022, dep. 23/02/2022), n.5903

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 2526/2016 proposto da:

Z.G., in proprio e quale titolare dell’impresa individuale

“Impresa edile Z.G.”, rappresentato e difeso dall’Avv.

Maurizio Savasta, per procura speciale in calce al ricorso per

cassazione, ed elettivamente domiciliato ai fini di questo Giudizio

in Roma, via Piemonte, n. 39, presso lo studio dell’Avv. Michele

Guzzo.

– ricorrente –

contro

Comune di Mottola, nella persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale in

calce al controricorso, dall’Avv. Giuseppe Misserini, e, unitamente

a questo, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Cosseria, n.

2, presso lo studio del Dott. Alfredo Placidi.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di LECCE, sezione

distaccata di Taranto, n. 292/2015 pubblicata il 15 giugno 2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2022 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione, ritualmente notificato, l’Impresa edile Z.G. ha citato in giudizio il Comune di Mottola per sentirlo condannare al pagamento in suo favore della somma di Euro 488.294,16 o di quella diversa accertata in corso di causa, in virtù del contratto di appalto del 13 gennaio 1999, con cui l’Ente comunale aveva commissionato alla stessa la realizzazione di un edifico sito in (OMISSIS) da adibire a Caserma dei Carabinieri, per il prezzo di Lire 924.528.676, oltre IVA, già considerato il ribasso del 20,75% sull’importo a base d’asta di Lire 1.166.597.699.

2. Nell’atto introduttivo, l’Impresa ha riproposto le undici “Riserve” già iscritte in calce al verbale di collaudo, rappresentanti le prime dieci presunti inadempimenti contrattuali del Comune, che avrebbero costituito la ragione del ritardo dell’opera, con conseguente illegittimità della penale applicata dalla P.A. per il mancato rispetto del termine di tale consegna, oggetto della riserva n. 11.

3. Il Comune di Mottola, nella comparsa di costituzione, ha specificato di avere corrisposto all’Impresa edile la somma complessiva di Lire 1.041.100.00 e che, tenuto conto del costo dei lavori indicato in Lire 1.074.172.082, della penale per la ritardata consegna dell’opera pari a Lire 85.600.00, delle trattenute per la cattiva esecuzione del giunto di dilatazione quantificati in Lire 3.172.000 e degli oneri inevasi di collaudo gravanti sull’Impresa ex art. 71 del Capitolato speciale d’appalto pari a Lire 4.017.168, l’Ente comunale risultava essere creditore della somma di vecchie Lire 59.717.086.

4. Il Tribunale di Taranto, con sentenza n. 1648/2012, ha dato atto che lo Z. era creditore verso controparte della complessiva somma di Euro 21.844,61, oltre accessori e che il Comune di Mottola era creditore verso controparte della complessiva somma di Euro 47.921,66, oltre accessori e ha condannato, all’esito della compensazione legale fino alla concorrenza del minore importo sopra specificato, l’Impresa Z.G. al pagamento della complessiva somma di Euro 26.077,05, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese processuali, compensate al 20% e liquidate nell’importo esigibile in complessivi Euro 19.520,00, oltre accessori come per legge.

5. L’impresa edile ha proposto appello avverso la sentenza del Tribunale di Taranto, che è stato rigettato dalla Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza del 15 giugno 2015, sulla base delle seguenti motivazioni: tra le opere in materia di difesa che lo Stato aveva mantenuto tra le sue funzioni non erano da ricomprendere quelle relative alla caserma della locale Stazione dei carabinieri, ma quelle destinate in via diretta ed immediata al compito della difesa nazionale, come riscontrato dalla distinzione dell’art. 822 c.c., comma 1, tra caserme e opere destinate alla difesa nazionale e dalla L. 6 febbraio 1985, n. 16, art. 3, che equiparava le caserme dell’Arma alle opere destinate alla difesa militare al solo fine dell’accertamento della conformità urbanistica ai sensi del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 81; del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 93 e 94, non riservavano allo Stato la costruzione di opere destinate ad alloggio e sedi di servizio delle forze armate, come le caserme, potendo lo Stato esercitare le sue funzioni in materia di forze armate delegando alle Regioni e agli Enti locali la realizzazione delle caserme; per alterazione dei rapporti contrattuali in atto dovevano intendersi solo quelle comportanti una “modifica” delle originarie pattuizioni contrattuali e non anche una “mera integrazione” delle originarie pattuizioni, con la conseguente applicabilità della L.R. Puglia 11 maggio 2001, n. 13, art. 23, comma 2, che prevedeva l’imposizione della cauzione, con conseguente decadenza dell’appellante dal diritto di iscrivere le riserve nn. 7, 8 e 9 e 11; il rigetto del primo motivo di appello comportava l’assorbimento degli altri motivi di gravame; con riguardo alla riserva n. 4, i maggiori costi degli infissi, i soli iscritti in riserva, la domanda era infondata, poiché dalla documentazione in atti e dalle dichiarazioni testimoniali era stato accertato che l’incremento dei costi era dovuto a ragioni diverse da quelle allegate; in relazione alla riserva n. 6 (non remunerabilità dei prezzi anche per il disagio provocato dall’esecuzione dei lavori aggiuntivi ad impianti elettrici completi e finiti in ogni loro parte), la genericità della domanda e della riserva rendeva esplorativa la consulenza tecnica d’ufficio e il rinnovo della stessa ed, inoltre, il consulente tecnico non poteva sostituirsi alla parte nell’assolvimento dell’onere probatorio e, in ogni caso, lo Z. avrebbe potuto fare ricorso allo strumento processuale di cui all’art. 210 c.p.c..

6. Avverso la sentenza della Corte di appello l’Impresa edile Z.G. ricorre in Cassazione con atto affidato a due motivi.

7. Il Comune di Mottola ha depositato controricorso.

8. Con ordinanza interlocutoria n. 25 del 5 gennaio 2021, questa Corte ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimità costituzionale della L.R. Puglia 11 maggio 2001, n. 13, art. 23, comma 2, nella parte in cui dispone che “Qualora, a seguito dell’iscrizione delle riserve da parte dell’impresa sui documenti contabili, l’importo economico dell’opera variasse in aumento rispetto all’importo contrattuale, l’impresa è tenuta alla costituzione di un deposito cauzionale a favore dell’Amministrazione pari allo 0,5 per cento dell’importo del maggior costo presunto, a garanzia dei maggiori oneri per l’Amministrazione per il collaudo dell’opera. Tale deposito deve essere effettuato in valuta presso la Tesoreria dell’ente o polizza fidejussoria assicurativa o bancaria con riportata la causale entro quindici giorni dall’apposizione delle riserve. Decorso tale termine senza il deposito delle somme suddette, l’impresa decade dal diritto di far valere, in qualunque termine e modo, le riserve iscritte sui documenti contabili. Da tale deposito verrà detratta la somma corrisposta al collaudatore e il saldo verrà restituito all’impresa in uno con il saldo dei lavori”, in relazione all’art. 117 Cost., comma 2, lett. l), che stabilisce la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile.

9. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 211 del 5 novembre 2021, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata.

10. L’Impresa edile Z.G. ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Deve premettersi che la Corte Costituzionale con la sentenza n. 211 del 5 novembre 2021 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della L.R. Puglia 11 maggio 2001, n. 13, art. 23, comma 2, sollevata in riferimento all’art. 117 Cost., comma 2, lett. l), per difetto di rilevanza sotto due distinti profili.

1.1 Sotto un primo profilo, perché la L.R. Puglia n. 13 del 2001, non è applicabile alla fattispecie concreta oggetto del giudizio a quo, che attiene ad un contratto di appalto per “la realizzazione di un edificio (…) da adibire a Caserma dei Carabinieri”, disponendo l’art. 1 di tale Legge Regionale l’esclusione dal suo raggio di applicazione dei “lavori pubblici, comunque realizzati, attinenti allo svolgimento di compiti e funzioni mantenuti allo Stato, ai sensi della L. 15 marzo 1997, n. 59 e del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112”, con la conseguenza che vengono sottratti alla normativa regionale – in conformità con il riparto di competenze di cui all’art. 117 Cost., comma 2, lett. d), – i lavori riguardanti “difesa, forze armate, armi e munizioni, esplosivi e materiale strategico” (L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 1, comma 3, lett. b, recante “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”), spettando allo Stato le funzioni relative alla “programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione di opere in materia di difesa, dogane, ordine e sicurezza pubblica ed edilizia penitenziaria” (D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 93, comma 1, lett. d, recante “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59″).

1.2 Sotto un secondo profilo per l’erronea interpretazione della L.R. Puglia n. 13 del 2001, art. 27, comma 3, dal quale dipende l’applicabilità dell’art. 23, comma 2, della medesima Legge Regionale, a procedure in corso di esecuzione relative a contratti conclusi anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina, perché:

– l’onere di iscrivere riserve ha una valenza generale e investe ogni pretesa di carattere economico che l’esecutore dei lavori intenda far valere nei confronti dell’amministrazione” (sentenza n. 109 del 2021): esso, dunque, ricomprende anche spettanze relative a inadempimenti della controparte o che la legge riconosce all’appaltatore in talune ipotesi di sopravvenienze contrattuali;

-impedire, con un meccanismo di decadenza, la possibilità di pretendere l’esatta esecuzione dell’originario sinallagma o di adeguare il medesimo, nei termini consentiti dalla legge, alle eventuali sopravvenienze equivale ad ostacolare il pieno rispetto del contratto, oltre che del principio rebus sic stantibus riflesso in talune previsioni di legge, e questo vuol dire chiaramente alterare i rapporti contrattuali in atto; -la previsione del deposito cauzionale o della fidejussione bancaria o assicurativa, per quanto oggetto di un onere, implica comunque un aggravio rispetto all’originaria pattuizione e, soprattutto, presuppone ab imis un nuovo obbligo in capo all’appaltatore;

– l’obbligo di sostenere i “maggiori oneri per l’Amministrazione per il collaudo dell’opera”, previsto dalla medesima disposizione, comporta, dunque, un maggior costo rispetto a quello che dovrebbe gravare sull’appaltatore in base alle previsioni contemplate dalla normativa statale (D.Lgs. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 238, recante “Regolamento di esecuzione ed attuazione del D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE””, e prima art. 210 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, recante “Regolamento di attuazione della legge quadro in materia di lavori pubblici 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni”).

2. Con il primo motivo l’Impresa ricorrente lamenta la violazione ed errata applicazione dell’art. 1372 c.c., in relazione all’art. 25 Cost. e art. 11 preleggi; la violazione e falsa applicazione della L.R. Puglia n. 13 del 2001, art. 23, comma 2, in relazione all’art. 27, comma 3, della stessa legge e la violazione dell’art. 112 c.p.c..

Ad avviso del ricorrente la Corte aveva omesso del tutto l’esame delle riserve nn. 7, 8, 9 e 11 in applicazione della L.R. Puglia n. 13 del 2001, art. 23, comma 2, che prevedeva la costituzione di una cauzione entro quindici giorni dalla proposizione delle riserve a pena di decadenza. Inoltre la motivazione della Corte di appello non era corretta perché non poteva ritenersi semplice adeguamento di un contratto una clausola che imponeva condizioni peggiorative per uno dei contraenti non previste in sede di sottoscrizione del contratto, quali l’introduzione di decadenze dall’azione, anche considerando che le riserve costituiscono un aspetto essenziale del contratto tanto che si impone la forma scritta per tutti gli atti di contabilità dei lavori; l’Amministrazione, per far valer tale clausola, avrebbe dovuto eccepire la presentazione della garanzia, poiché la determinazione della stazione appaltante in ordine alle riserve formulate dall’appaltatore era espressione della struttura privatistica del rapporto e non di poteri autoritativi; l’art. 27, comma 3, della Legge Regionale si applicava alle procedure in atto e non anche ai rapporti di natura privatistica regolati dalla norma contrattuale del capitolato di appalto, si era quindi in presenza di una procedura amministrativa e non si trattava di una mera integrazione; l’interpretazione data dalla Corte era contraria ai principi generali di legge estendendosi lo ius superveniens a rapporti già costituiti ed efficaci in forza di altre regole ed era contraria al principio generale di irretroattività della legge e di intangibilità dei contratti che andavano interpretati ed eseguiti ratione temporis.

2.1 Il motivo è fondato, alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 211 del 2021, laddove ha affermato che la legge regionale Puglia n. 13 del 2001 non è applicabile alla fattispecie concreta oggetto del giudizio in esame, che attiene ad un contratto di appalto per “la realizzazione di un edificio (…) da adibire a Caserma dei Carabinieri”, disponendo l’art. 1 di tale Legge Regionale, infatti, l’esclusione dal suo raggio di applicazione dei “lavori pubblici, comunque realizzati, attinenti allo svolgimento di compiti e funzioni mantenuti allo Stato, ai sensi della L. 15 marzo 1997, n. 59 e del D.lgs. 31 marzo 1998, n. 112”, con la conseguenza che vengono sottratti alla normativa regionale – in conformità con il riparto di competenze di cui all’art. 117 Cost., comma 2, lett. d) – i lavori riguardanti “difesa, forze armate, armi e munizioni, esplosivi e materiale strategico” (L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 1, comma 3, lett. b, recante “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della pubblica amministrazione e per la semplificazione amministrativa”), spettando allo Stato le funzioni relative alla “programmazione, progettazione, esecuzione e manutenzione di opere in materia di difesa, dogane, ordine e sicurezza pubblica ed edilizia penitenziaria” (D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 93, comma 1, lett. d, recante “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59”).

2.2 In particolare, i giudici delle leggi hanno precisato che le caserme dell’Arma dei carabinieri rientrano fra le opere di difesa militare, oltre che fra quelle preposte a garantire l’ordine e la sicurezza pubblica e che tali sedi “rappresentano “beni strumentali non solo per il servizio di pubblica sicurezza, ma anche per tutte le altre attività di ogni formazione armata dello Stato (addestramento, esercitazioni, custodia di armi e munizioni, ecc.)”” (sentenza n. 150 del 1992), nonché “per le altre complesse mansioni, anch’esse proprie dei Carabinieri, come quelle di polizia militare, di raccolta di informazioni e notizie attinenti alla difesa sia all’interno che all’estero, e ancora per le attività, sia pure svolte congiuntamente ad altri organi statali, intese a neutralizzare azioni di spionaggio e di terrorismo: funzioni, queste, chiaramente preordinate e strumentali alla difesa e alla stessa integrità della Nazione” (sentenza n. 216 del 1985)”.

2.3 La Corte Costituzionale, inoltre, nella sentenza richiamata, ha evidenziato che tale ricostruzione aveva trovato esplicita conferma nel D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66, art. 233 (Codice dell’ordinamento militare) che, proprio “al fine dell’affidamento ed esecuzione di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, include tra le opere destinate alla difesa nazionale: “a) (le) sedi di servizio e relative pertinenze necessarie a soddisfare le esigenze logistico-operative dell’Arma dei carabinieri”, e “e) (le) caserme”, concludendo che il contratto di appalto relativo ad una caserma dei carabinieri deve ritenersi escluso dall’ambito di applicazione della norma regionale censurata.

2.3 Tanto premesso, la Corte territoriale ha ritenuto infondato il primo motivo di gravame (con il quale l’Impresa appellante, richiamando della L.R. 11 maggio 2001, n. 13, art. 1 e della L. 15 marzo 1997, n. 59, art. 1, aveva affermato che i compiti riconducibili alla materia delle forze armate erano riservati allo Stato e che l’opera in esame atteneva ad una materia mantenuta alle funzioni dello Stato), affermando che per opere in materia di difesa si dovevano intendere solo quelle destinate in via diretta ed immediata al compito della difesa nazionale, non la caserma della locale Stazione dei Carabinieri, che sicuramente non era destinata a compiti di difesa; che tale distinzione trovava conferma nell’art. 822 c.c., comma 1, e nell’art. 826 c.c., che distinguevano le opere destinate alla difesa nazionale dalle caserme, queste ultime non ritenute dunque opere destinate alla difesa nazionale, nonché nella L. 6 febbraio 1985, n. 16, art. 3, che equiparava le caserme dell’Arma alle opere destinate alla difesa militare al solo fine dell’accertamento della conformità urbanistica ai sensi del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 81; che anche del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, artt. 93 e 94, non riservavano allo Stato la costruzione di opere destinate ad alloggio e sedi di servizio delle forze armate, opere in cui potevano farsi rientrare le caserme; che, in conclusione, lo Stato aveva mantenuto la titolarità delle funzioni e dei compiti in materia di forze armate, ma non la realizzazione delle caserme delle forze armate, potendo lo Stato esercitare le sue funzioni in materia di forze armate delegando alle Regioni e agli Enti locali la realizzazione delle caserme e tanto trovava conferma anche nella vicenda per cui era causa, essendo stata la realizzazione della locale caserma dell’Arma curata dal Comune di Mottola e non dallo Stato.

2.4 Si tratta di assunti che, alla luce dei principi affermati dalla Corte Costituzionale, non sono condivisibili, sicché il primo motivo va accolto e la sentenza impugnata sul punto va cassata.

3. Con il secondo motivo, l’Impresa ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 184 e 194 c.p.c. e degli artt. 61 e 62, in relazione all’art. 2697 c.c.; errore in procedendo; violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 2.

Il ricorrente si duole del fatto che la Corte di appello ha precluso al consulente d’ufficio l’acquisizione di dati tecnici rilevanti da lui richiesti, quali la copia dei progetti esecutivi depositati presso il Comune di Mottola e di potere fare dei rilievi sui luoghi di causa, per confrontare la veridicità di alcune misurazioni e le caratteristiche di alcune opere, violando il principio secondo il quale al consulente tecnico è consentito acquisire aliunde i dati necessari per svolgere l’accertamento affidatogli.

3.1 Il motivo è infondato.

3.2 E’ orientamento di questa Corte che “In tema di consulenza tecnica di ufficio, in virtù del principio dispositivo e dell’operare nel processo civile di preclusioni, assertive ed istruttorie, l’ausiliare del giudice, nello svolgimento delle proprie attività, non può – nemmeno in presenza di ordine del giudice o di acquiescenza delle parti – indagare di ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti, né acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi delle domande o delle eccezioni proposte e nemmeno procurarsi, dalle parti o dai terzi, documenti che forniscano tale prova. A tale regola può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione non possa essere oggettivamente fornita dalle parti con i mezzi di prova tradizionali, postulando il ricorso a cognizioni tecnico-scientifiche, oppure per la prova di fatti tecnici accessori o secondari e di elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti” (Cass., 6 dicembre 2019, n. 31886).

Inoltre, lo svolgimento di indagini peritali su fatti estranei al “thema decidendum” della controversia o l’acquisizione ad opera dell’ausiliare di elementi di prova (nella specie, documenti) in violazione del principio dispositivo cagiona la nullità della consulenza tecnica, da qualificare come nullità a carattere assoluto, rilevabile d’ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti (Cass., 26 giugno 2018, n. 16800).

3.3 La Corte territoriale, sul punto, ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, avendo affermato che nel caso in esame non si chiedeva di fare accertare al perito d’ufficio fatti rilevabili unicamente con il ricorso a cognizioni tecniche specifiche, ma di acquisire della documentazione in possesso di una delle parti in giudizio e dalla stessa non prodotta, così chiedendo al consulente tecnico di sostituirsi alle parti nell’assolvimento del loro onere probatorio e che il consulente d’ufficio poteva acquisire gli elementi necessari a rispondere ai quesiti, anche se risultanti da documenti non acquisiti in giudizio, purché tuttavia attinenti a fatti accessori, mentre nel caso in esame si trattava di acquisire documentazione che avrebbe consentito di accertare i fatti posti a fondamento delle riserve contabili.

4. In conclusione la decisione impugnata va cassata in relazione al primo motivo con rinvio alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, per il riesame e la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

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