Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5899 del 23/02/2022

Cassazione civile sez. II, 23/02/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 23/02/2022), n.5899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14183/2017 proposto da:

L.N., rappresentato e difeso dall’avv. PASQUALE VIRGILIO;

– ricorrente –

contro

POGGIO FIORITO SRL, IN PERSONA DELL’A.U. E LEGALE RAPP.TE PRO

TEMPORE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO, 23, presso

lo studio dell’avvocato FRANCESCO BALESTRAZZI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

contro

P.F., PI.FI., S.M.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 232/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 09/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

07/12/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. Con atto di citazione del 19/02/2007 la società Poggio Fiorito s.r.l. assumendosi proprietaria di un immobile a destinazione commerciale situato in (OMISSIS), per averlo acquistato dai fratelli P.R. e P.M.V.G. con atto pubblico del 30/12/2002 – conveniva davanti al Tribunale di Bari, Sezione Distaccata di Rutigliano, S.M., che tale immobile deteneva per averlo ricevuto in locazione da L.N., nonché lo stesso L.N., rivendicando il cespite nei loro confronti ai sensi dell’art. 948 c.c..

2. S.M. si costituiva chiedendo di essere estromesso dal giudizio; egli sosteneva che, nella sua qualità di conduttore dell’immobile, non era legittimato a resistere all’azione di rivendica esercitata dalla società attrice, la quale, a suo dire, avrebbe dovuto proporre la domanda esclusivamente nei confronti di L.N..

3. Anche L.N. si costituiva, deducendo di avere usucapito l’immobile de quo per essere succeduto nel relativo possesso a suo padre L.V., il quale, a propria volta, lo aveva posseduto dal 1973. Più precisamente, egli esponeva che suo padre V. si era reso promissario acquirente di tale immobile con scrittura privata stipulata il 24/11/1973 con il suddetto P.R., promittente venditore; che il medesimo L.V., versato un acconto sul prezzo, aveva conseguito il possesso dell’immobile, mantenendolo pacificamente e ininterrottamente fino alla sua morte, avvenuta nel (OMISSIS); che dopo il (OMISSIS) esso L.N. era succeduto a suo padre nel possesso dell’immobile, ne aveva acquistato la proprietà per usucapione e, con contratto del 23/01/2004, lo aveva concesso in locazione al signor S..

4. L.N. aggiungeva che i fatti da lui rappresentati risultavano confermati dalla sentenza n. 740/2004 con cui il Tribunale di Bari aveva rigettato la domanda di rivendica del medesimo immobile contro di lui proposta nel 1994 da P.R. e P.M.V.G., danti causa dell’attrice Poggio Fiorito s.r.l.. Riguardo a tale sentenza, inoltre, L.N. sottolineava che la stessa aveva rigettato la domanda riconvenzionale di usucapione da lui avanzata in quel giudizio contro gli attori in rivendica per la sola ragione che – poiché gli stessi P.R. e P.M.V.G. avevano dichiarato di aver venduto il medesimo immobile alla società Ettani s.r.l. nel 1973 – il Tribunale aveva ritenuto costoro privi di legittimazione passiva rispetto alla domanda di usucapione, affermando che tale domanda si sarebbe dovuta proporre nei confronti della menzionata società Ettani s.r.l..

5. Sulla scorta delle suddette premesse, L.N., per un verso, proponeva una domanda riconvenzionale di accertamento del suo acquisto per usucapione dell’immobile de quo e, per altro verso, spiegava nei confronti di P.R. in proprio e quale procuratore generale del fratello M.V.G. (previa chiamata in causa del medesimo P.R. in proprio e nei nomi del di lui fratello) una domanda subordinata di esecuzione in forma specifica, ex art. 2932 c.c., del preliminare dal medesimo stipulato con L.V. nel 1973.

6. P.R. si costituiva resistendo alle domande del chiamante L.; egli, quindi, decedeva in corso di causa e nel processo gli succedevano i figli P.F. e Fi..

7. Il Tribunale, con la sentenza 221/2013, dichiarava il difetto di legittimazione attiva dell’attrice, società Poggio Fiorito, sull’assunto che la sentenza n. 740/2004 del Tribunale di Bari, sopra menzionata nel paragrafo 4, avrebbe accertato, con efficacia di giudicato, che la proprietaria dell’immobile controverso era la società Ettani s.r.l..

8. La Corte di appello di Bari, adita dalla società Poggio Fiorito, ha riformato totalmente la sentenza di primo grado e – nel contraddittorio tra tale società e gli appellati L.N. e S.M., e nella contumacia degli appellati P.F. e Pi.Fi. – ha accolto l’azione di rivendica dalla stessa spiegata.

8.1. La Corte barese ha preliminarmente dichiarato inammissibile la querela di falso proposta dall’appellato L.N. in relazione all’atto pubblico di compravendita del 30/12/2012. con cui la Poggio Fiorito s.r.l. aveva acquistato l’immobile de quo ed alla procura generale rilasciata per la stipula di tale atto Da P.M.V.G. al fratello R.. La Corte territoriale ha giudicato tardiva la proposizione di tale querela, in quanto effettuata nell’udienza (celebrata il 05/07/2016) di discussione orale della causa dopo il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica ed inerente a documenti già presenti in atti sin dal primo grado.

8.2. La Corte d’appello ha inoltre rigettato l’eccezione preliminare dell’appellato, secondo cui il gravame sarebbe stato inammissibile per essergli stata notificata tardivamente la relativa citazione, sul rilievo della tempestiva notifica dell’appello agli altri litisconsorti necessari.

8.3. Nel merito, il giudice del gravame ha affermato che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, la sentenza n. 740/2004 del Tribunale di Bari non poteva spiegare alcun effetto conformativo nei confronti della società appellante Poggio Fiorito, giacché la stessa non era stata parte di quel giudizio.

8.4. La Corte distrettuale ha poi ritenuto provato il diritto di proprietà della società appellante sulla scorta dell’atto pubblico del 2002, ritenendo attenuato l’onere probatorio sulla stessa gravante in considerazione del riconoscimento, da parte dell’appellato L., dell’esistenza di un comune dante cause (i fratelli P.R. e M.V.G.). Il Collegio barese, d’altro canto, ha giudicato non maturata l’usucapione dell’immobile in capo a L.N., sul rilievo che il suo dante causa V., avendo ricevuto la consegna dell’immobile in forza di un contratto preliminare di compravendita, ne era stato detentore e non possessore; e che egli medesimo non aveva offerto alcuna prova del compimento di atti idonei a determinare la interversio possessionis nei confronti del promittente venditore.

9. Quanto alla posizione dell’appellato S.M., il Collegio barese – precisato come egli fosse passivamente legittimato rispetto all’azione di rivendica esercitata dalla società Poggio Fiorito, in quanto, essendo nella materiale detenzione dell’immobile, era in grado di restituirlo all’attrice – ha tuttavia rilevato come, in corso di causa, egli avesse restituito l’immobile al locatore L. ed ha ritenuto che quest’ultimo dovesse rifondergli le spese del giudizio per averlo espressamente manlevato dalle conseguenze pregiudizievoli della lite in sede di udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado.

10. L.N. ha proposto ricorso, sulla scorta di sei motivi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Bari.

11. Resiste con controricorso la Poggio Fiorito s.r.l., in persona dell’amministratore unico. Sono rimasti intimati S.M., Pi.Fi. e P.F..

12. La causa è stata chiamata all’adunanza camerale del 7 dicembre 2021, per la quale la società contro ricorrente ha depositato una memoria.

13. Col primo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si lamenta “la violazione o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., anche in relazione agli artt. 2909 e 948 c.c.” (rubrica del motivo, pag. 10 del ricorso) per avere la Corte d’Appello violato il giudicato sostanziale contenuto nella sentenza del Tribunale di Bari n. 740/2004.11 ricorrente sposa le argomentazioni della sentenza di primo grado, riformata dalla pronuncia d’appello qui gravata. La società Poggio Fiorito, sostiene il ricorrente, se passasse in giudicato la sentenza qui gravata, sarebbe riconosciuta come proprietaria dell’immobile controverso. Ciò che contrasterebbe con la sentenza n. 740/2004, la quale aveva statuito che gli aventi causa della Poggio Fiorito (i P.) avevano venduto il suddetto immobile alla società Ettani. Sarebbe quest’ultima società l’unico soggetto a poter essere quindi considerato proprietario. Nello specifico,, sostiene il ricorrente che “conseguentemente la Poggio Fiorito s.r.l., avendo acquisito (..) da soggetti non legittimati e non proprietari, non aveva e non ha affatto la legittimazione di agire nel presente giudizio ex art. 948 c.c. e di esercitare la relativa rivendicazione. Non era e non è assolutamente effettiva legittima proprietaria dell’immobile” (pag. 17 rigo 10 ss.).

13.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

13.2. In primo luogo va sottolineato che l’efficacia di una sentenza nei confronti degli aventi causa a titolo particolare che abbiano acquistato la res litigiosa in pendenza del giudizio (come la Poggio Fiorito, che ha acquistato l’immobile de quo nel 2002, prima della pronuncia, intervenuta nel 2004, della sentenza del Tribunale di Bari di cui il ricorrente invoca l’efficacia di giudicato) non è regolata dall’art. 2909 c.c., di cui impropriamente il ricorrente lamenta la violazione, ma dall’art. 111 c.p.c., u.c., e che, d’altra parte, il ricorrente, non misurandosi con tale disposizione, non ha dedotto né che la Poggio Fiorito fosse stata chiamata o fosse intervenuta nel giudizio definito con la sentenza del 2004, né che la domanda di rivendica su cui tale sentenza si è pronunciata fosse stata trascritta ai sensi ex art. 2653 c.c., n. 1 (cfr. Cass. n. 1390/1968, Cass. 3643/2013).

13.3. Comunque, anche a prescindere dalle suddette considerazioni, è decisivo e assorbente il rilievo che il presupposto su cui si fonda il motivo di ricorso – ossia che la sentenza che accerta l’avvenuto trasferimento di un immobile dall’originario proprietario (nella specie, i fratelli P.) ad un (primo) acquirente (nella specie, la società Ettani) implicherebbe l’accertamento negativo del diritto di proprietà di colui che abbia successivamente acquistato lo stesso immobile (nella specie, la società Poggio Fiorito) – è destituito di fondamento giuridico, in quanto il conflitto tra i successivi acquirenti dello stesso immobile dal medesimo venditore si risolve sulla base della priorità della trascrizione dell’acquisto e non sulla base della priorità dell’acquisto; e il ricorrente non deduce di avere indicato, in sede di merito, se e quando la società Ettani avrebbe trascritto il proprio atto di acquisto.

14. Col secondo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 325 c.p.c., comma 1 e dell’art. 326 c.p.c., comma 2, in cui la Corte d’appello sarebbe incorsa rigettando l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dal signor L. sul rilievo che tale impugnazione gli era stata notificata tardivamente.

14.1. Il motivo è infondato. Al riguardo va preliminarmente ricordato l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua (sottolineatura nostra): “A norma degli artt. 1586 e 1777 c.c. – che esprimono una regola generale applicabile anche fuori dell’ambito dei contratti di locazione e di deposito – il convenuto in un’azione di revindica, che indichi il soggetto in nome del quale detiene il bene rivendicato, ha diritto di essere estromesso dalla lite e perde, quindi, la legittimazione passiva rispetto alla domanda. Ne consegue che fra tali soggetti non viene a costituirsi un rapporto di litisconsorzio necessario neanche nel caso in cui venga disposta, sotto il profilo della comunanza di causa, l’intervento “jussu judicis” della persona indicata come l’effettivo possessore del bene rivendicato. Peraltro, l’obbligo del giudice di estromettere dalla causa il detentore originariamente citato non è incondizionato, ma a norma del citato art. 1586 c.c., presuppone che quest’ultimo dimostri di non aver alcun interesse a rimanere della lite e non si opponga, quindi, all’azione del terzo che pretende di aver diritto alla cosa. Pertanto, se la sentenza di primo grado, ritenendo persistere siffatto interesse, non estrometta il detentore del giudizio, ma decida la lite nei confronti sia del detentore che del possessore chiamato in causa, si verifica, in sede di gravame, un’ipotesi di causa inscindibile, con la conseguente necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’interventore coatto, cui l’atto di appello non sia stato validamente notificato”. (Cass. n. 457/1976). Nella specie è pacifico che il conduttore S. partecipò al giudizio di primo grado (a nulla rilevando che egli sia stato ab origine convenuto dall’attrice e non chiamato jussu iudicis) e non fu estromesso dal Tribunale, cosicché la sentenza di primo grado fu pronunciata anche nei suoi confronti; le cause introdotte dalla attrice in rivendica contro lo S. e contro il L. erano pertanto da considerare inscindibili e, pertanto, l’impugnata declaratoria di infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del gravame risulta conforme all’insegnamento di questa Corte Suprema, da ultimo ribadito da Cass. sez. III, sent. n. 19379/2021 secondo cui “la notifica dell’impugnazione relativa a cause inscindibili – sia nell’ipotesi di litisconsorzio necessario sostanziale che processuale – eseguita nei confronti di uno solo dei litisconsorti nei termini di legge, introduce validamente il giudizio di gravame nei confronti di tutte le altre parti, ancorché l’atto di impugnazione sia stato a queste tardivamente notificato; in tal caso, infatti, l’atto tardivo riveste la funzione di notificazione per integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., e l’iniziativa della parte, sopravvenuta prima ancora dell’ordine del giudice, assolve alla medesima funzione”.

15. Col terzo motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce “la violazione o falsa applicazione degli artt. 221 e 355 c.p.c., anche in relazione all’art. 276 c.p.c., comma 1” (rubrica del motivo, pag. 20 del ricorso) per avere la Corte d’appello illegittimamente dichiarato inammissibile, poiché tardiva, la querela di falso proposta dall’attuale ricorrente.

15.1. Per una migliore intelligenza della censura, è necessario ripercorrere la scansione processuale del giudizio d’appello, per come riportata dalla sentenza qui gravata (pag. 6-7).

All’udienza del 16/02/2016 le parti precisarono le conclusioni e l’appellato L. chiese, ferma la concessione dei termini per conclusionali e repliche ex art. 190 c.p.c., la fissazione di un’udienza di discussione orale della causa.

All’udienza del 05/07/2016 le parti discussero la causa oralmente.

In quella sede, L.N. propose personalmente querela di falso avverso l’atto pubblico del 30/12/2002 (di compravendita dell’immobile tra i P. e la società Poggio Fiorito) ed avverso la procura generale del 16/03/1970 rilasciata da P.M.V.G. in favore di P.R..

La causa venne quindi rinviata all’udienza del 20/09/2016, nella quale il legale rappresentante della Poggio Fiorito sostenne di voler avvalersi dei documenti oggetto della querela.

Con ordinanza in pari data, La Corte d’appello sollevò d’ufficio la questione relativa all’ammissibilità della querela di falso, in relazione alla sua tempestività, e rinviò la causa all’udienza del 17/01/2017, affinché le parti potessero prendere posizione al riguardo.

Nell’udienza del 17/01/2017, il sig. L. reiterò la querela di falso e la causa venne trattenuta in decisione.

Il ricorrente sostiene che, poiché all’udienza del 20/09/2016 la composizione del collegio era cambiata rispetto a quella dell’udienza del 05/07/2016, nella quale le parti avevano discusso oralmente la causa, la querela reiterata all’udienza del 17/01/2017 non poteva considerarsi tardiva perché “la Corte d’appello non poteva e non doveva giuridicamente ritenere come svolte dinanzi a sé le ultime attività processuali delle parti, ossia la precisazione delle conclusioni operata il 16 Febbraio 2016 o la discussione operata il 5 luglio 2016″ (pagina 25, secondo capoverso” del ricorso).

15.2. Il motivo è infondato. La doglianza del ricorrente (che richiama un precedente, Cass. n. 104/1997, relativo al rito di appello anteriore alla novella recata dalla L. n. 353 del 1990) non si confronta, infatti, col principio di diritto più volte enunciato da questa Corte, con riferimento al vigente rito di appello, alla cui stregua “la previsione secondo cui la querela di falso può essere proposta in qualsiasi stato e grado del giudizio va intesa nel senso che la relativa istanza, in primo o in secondo grado, deve comunque intervenire prima della rimessione della causa in decisione e, cioè, entro l’udienza di precisazione delle conclusioni; ne consegue che la querela non può essere avanzata negli scritti difensivi, quale – nella specie – la comparsa conclusionale, successivi a tale scansione processuale e riservati alla sola illustrazione delle difese”. (Cass. 25487/2021; Cass. 1870/2016). Da quest’insegnamento deriva che, se la querela non può essere presentata negli scritti difensivi successivi alla precisazione delle conclusioni, non può essere presentata neanche all’udienza di discussione orale fissata, ai sensi dell’art. 352 c.p.c., comma 2, all’esito del deposito delle memorie di replica alle comparse conclusionali. Tale udienza di discussione orale, del resto, “ha una funzione meramente illustrativa delle posizioni già assunte e delle tesi già svolte nei precedenti atti difensivi e non è sostitutiva delle difese scritte di cui all’art. 190 c.p.c.” (Cass. n. 18618/2003), sicché non può essere la sede per presentare istanze istruttorie o querele di falso.

15.3. Ne’ rileva, al riguardo, il richiamo del ricorrente a Cass. n. 6488/2017, nella cui motivazione si legge il principio, da ultimo richiamato da Cass. 15660/2020, secondo cui “in base alla disciplina di cui al novellato art. 352 c.p.c., il collegio che Delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l’ultima attività processuale (cioè la discussione o la precisazione delle conclusioni), conseguendone la nullità della sentenza nel caso di mutamento della composizione del collegio medesimo (Cass. n. 18268/09 e Cass. n. 4925/15)”. Tale principio di diritto non conduce affatto alla conclusione sostenuta dal ricorrente, secondo cui il cambiamento del collegio comporterebbe la regressione del processo al momento dell’udienza di precisazione delle conclusioni. D’altra parte, giova precisare, posto che l’ultima attività processuale compiuta dalle parti nel giudizio di appello è stata la discussione orale svolta all’udienza del 17 gennaio 2017, davanti allo stesso Collegio che ha pronunciato la sentenza gravata, quest’ultima è immune da vizi relativi alla composizione del Collegio che l’ha emessa.

15.4. In definitiva, correttamente la Corte territoriale ha individuato nell’udienza di precisazione delle conclusioni l’ultimo termine utile per proporre la querela di falso, a nulla rilevando l’eventuale difformità tra il collegio davanti al quale sono state precisate le conclusioni e quello davanti al quale si è svolta la discussione orale successiva al deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica. Il motivo va quindi rigettato.

16. Col quarto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si deduce “la violazione dell’art. 350 e dell’art. 331 c.p.c. e nullità della sentenza, anche in relazione all’art. 161 c.p.c.” (rubrica del motivo, pag. 28 del ricorso). Sostiene il ricorrente che la società appellante non notificò la citazione in appello a P.M.V.G., rimasto contumace in primo grado, con la conseguenza che la sentenza d’appello sarebbe inutiliter data.

16.1. Il motivo è infondato. P.R. e M.V.G. erano stati chiamati in causa dal L. perché questo ultimo aveva dispiegato nei loro confronti la domanda di trasferimento dell’immobile ex art. 2932 c.c., rassegnata in linea di subordine per l’ipotesi di mancato accoglimento della sua domanda riconvenzionale di usucapione. E’ evidente che la Poggio Fiorito era estranea alla causa di adempimento in forma specifica dell’obbligo di contrarre instaurata dal L. contro i fratelli P. e che tale causa era scindibile dalle cause di rivendica instaurate da Poggio Fiorito contro il L. e contro lo S.; con la conseguenza che la mancata notifica dell’appello della Poggio Fiorito a P.M.V.G. determinò solo gli effetti di cui all’art. 332 c.p.c., così riassunti in Cass. n. 7031/20: “La notificazione dell’impugnazione a parti diverse da quelle dalle quali o contro le quali è stata proposta ai sensi dell’art. 332 c.p.c., non ha la stessa natura della notificazione prevista dall’art. 331 c.p.c., relativo all’integrazione del contraddittorio in cause inscindibili, in quanto, mentre in tale ultima norma si tratta di una “vocatio in jus” per integrare il contraddittorio, in ipotesi di cause scindibili, invece, detta notificazione integra soltanto una “litis denuntiatio” allo scopo di avvertire coloro che hanno partecipato al giudizio della necessità di proporre le impugnazioni, che non siano già precluse o escluse, nel processo instaurato con l’impugnazione principale; in tale ultima ipotesi, ove sia omessa l’indicata notificazione, l’unico effetto è che il processo, per facilitare l’ingresso dell’eventuale interveniente, è da ritenere in situazione di stasi e di quiescenza fino alla decorrenza dei termini stabiliti dagli artt. 325 e 327 c.p.c., onde la sentenza non può essere utilmente emessa. Ne consegue che, in relazione a cause scindibili, qualora non sia stata disposta la notificazione del gravame alle altre parti, la sentenza d’appello è annullabile dalla Corte di cassazione soltanto se, quando essa è chiamata a decidere, non siano decorsi i termini per l’appello, laddove, se questi sono scaduti, l’inosservanza dell’art. 332 c.p.c., non produce alcun effetto”. Il motivo, pertanto, va rigettato.

17. Col quinto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce l'”omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Vizio di motivazione. Violazione o falsa applicazione dell’art. 183, comma 6, n. 3 e dell’art. 356 c.p.c., comma 1″ (rubrica del motivo, pag. 29 del ricorso). Il ricorrente afferma di avere insistito, con la comparsa di costituzione in appello, nell’accoglimento di tutte le richieste istruttorie articolate nel verbale di udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado e sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato il suo diritto di difesa, non avendo mai valutato l’ammissibilità o la rilevanza delle suddette istanze istruttorie.

17.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni. In primo luogo, il ricorrente si limita ad allegare di aver insistito, in sede di comparsa di costituzione in appello, per l’accoglimento delle istanze istruttorie già formulate in primo grado. Tace, tuttavia, circa il contenuto delle proprie istanze istruttorie in sede di precisazione delle conclusioni avanti alla Corte d’appello. Le istanze lì non riproposte sono infatti considerate rinunciate (Cass. sez. III, sent. n. 16886/2016; Cass. sez. II, ord. n. 22709/2017). Il motivo risulta, quindi, aspecifico e, pertanto, è inammissibile.

17.2. In secondo luogo, comunque, il quinto motivo è inammissibile perché non si conforma al paradigma di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5; il ricorrente, infatti, non indica uno o più fatti storici oggetto di discussione tra le parti di cui assume, sulla scorta di una specifica argomentazione, la decisività; ma si limita a dolersi della mancata ammissione delle sue richieste istruttorie sostenendo che sarebbe “logicamente certo e inconfutabile che ove la prova fosse stata ammessa ed espletata avrebbe portato ad una diversa soluzione e decisione” (pag. 30, righi 18-19 del ricorso), così formulando una censura tipicamente di merito, non suscettibile di scrutinio in questa sede di legittimità.

18. Col sesto motivo di ricorso, riferito all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 112 c.p.c.. Il ricorrente afferma, trascrivendo le relative comparse di costituzione e risposta, che né in primo né in secondo grado S.M. aveva chiesto la sua condanna alla rifusione delle spese processuali. Contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, inoltre, il ricorrente afferma essersi reso disponibile a manlevare il sig. S. esclusivamente in ordine ai canoni di locazione, non alle spese processuali.

18.1. Anche quest’ultimo motivo non può trovare accoglimento. La Corte d’appello ha posto a base della condanna del L. alla rifusione delle spese sostenute dal litisconsorte S. non soltanto la dichiarazione del L. di voler manlevare lo S., ma anche la “considerazione dell’esito della lite”, così conformandosi all’insegnamento di questa Corte, secondo cui, “l’individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi” (Cass. 25141/06).

19. Il ricorso e’, in definitiva, rigettato.

20. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

21. Si dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.500, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Dà atto che sussistono le condizioni per dichiarare che il ricorrente è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2022

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA