Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5898 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5898 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: DE RENZIS ALESSANDRO

SENTENZA
sul ricorso proposto
DA
POSTE ITALIANE S.p.A.., in persona del legale rappresentante

pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Po 25 b, presso lo studio
dell’Avv. ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende per procura a
margine del ricorso
Ricorrente
CONTRO
DI ZIO VALERIO, elettivamente domiciliato in Roma, Via Flaminia n. 195,
presso lo studio dell’Avv. SERGIO VACIRCA, che la rappresenta e difende,
unitamente e disgiuntamente, con l’Avv. CLAUDIO LALLI per procura a
margine del controricorso

Data pubblicazione: 13/03/2014

Controricorrente
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di L’Aquila n.
1240/07 del 18.10.2007/29.11.2007 nella causa iscritta al n. 530 R.G.
dell’anno 2006.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6.02.2014

udito l’Avv. MARIO MICELI, per delega dell’Avv. ROBERTO PESSI, per la
ricorrente;
udito l’Avv. SERGIO VACIRCA per il controricorrente;
sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. Con ricorso, ritualmente depositato, VALERIO DI ZIO agiva in giudizio nei
confronti della S.p.A. POSTE ITALIANE chiedendo l’accertamento della
nullità del termine apposto al contratto a tempo stipulato con decorrenza dal
2.11.1999 al 30.11.1999 ai sensi dell’art. 8 del CCNI del 26.11.1994, in
relazione ad esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione
degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione
di nuovo processi produttivi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e
completo equilibrio sul terreno delle risorse umane.
Con sentenza n.

224 del 1°.02.2005/6.07.2005. l’adito

Tribunale di

Pescara respingeva la domanda.
Tale decisione, appellata dall’originaria ricorrente, è stata riformata dalla
Corte di Appello di L’Aquila con sentenza n. 1240 del 2007, cha ha accolto
la domanda proposta dal Di Zio dichiarando la nullità della clausola in

dal Consigliere Dott. ALESSANDRO DE RENZIS;;

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questione , con le conseguenti statuizioni circa la conversione del contratto
a tempo indeterminato, la riammissione in servizio della lavoratore, la
corresponsione delle retribuzioni a decorrere dalla messa in mora, con
detrazione di quanto atiunde perceptum dall’appellante.
la società potesse concludere

validamente i contratti a temine fino al 30 aprile 1998, essendo autorizzata
in tale senso dalle parti collettive, sicché il superamento di tale termine
nella stipulazione del contratto comportava la nullità della clausola relativa
al termine e dell’intero contratto..
La stessa Corte ha ritenuto che il pagamento delle retribuzioni competesse
con decorrenza dalla messa in mora, momento dal quale erano state offerte
le prestazioni lavorative.
La S.p.A. Poste Italiane ricorre per cassazione con due motivi.
Di ZIO Valerio resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno presentato rispettiva memoria ex art. 378 CPC
2. In via preliminare In via preliminare va rilevata l’intempestività del
controricorso, essendo stato notificato in data 26.03.2009, a fronte della
notifica del ricorso per cassazione in data 3.12.2008, quindi oltre i termini
previsti dall’art. 370 CPC.
3 La ricorrente denuncia con il primo motivo lamenta violazione e falsa
applicazione delle norme di diritto (art. 1362, 1363 e seguenti, Cod.,Civ.),
nonché vizio di motivazione circa un fatto decisivo, rilevando che il giudice
di appello non ha correttamente interpretato l’accordo collettivo del
25.09.1997 alla luce del comportamento tenuto dalle parti nel senso di
escludere l’apposizione di un temine finale e di dare copertura alle

La Corte territoriale ha ritenuto che

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assunzioni a tempo determinato anche per periodi successivi al 30 aprile
1998..
.In tale senso viene formulato quesito di diritto.
Il motivo è infondato.
In base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte
(con riferimento al sistema vigente anteriormente al D.Lgs. n. 368 del 2001)
sulla scia di Cass. S.U. n. 4588 del 2 marzo 2006, è stato precisato che
“l’attribuzione alla contrattazione collettiva ex art. 23 della legge n. 56 del
1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a
quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle
necessità del mercato del lavoro per i lavoratori ed efficace salvaguardia
per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale
dei lavoratori da assumere rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato)
e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di
collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni
oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare
contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro
di procedere ad assunzioni a tempo determinato (cfr Cass. n. 21063 del 4
agosto 2008, Cass. n. 9245 del 20 aprile 2006). “Ne risulta, quindi, una
sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che
ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di
ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo
operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed
inserendosi nel sistema da questa delineato” (cfr tra le altre, Cass. n. 21062

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del 4 agosto 2008, Cass. n. 18378 del 23 agosto 2008).
In tale quadro, ove però un limite temporale sia stato previsto dalle parti
collettive, la sua inosservanza determina la nullità della clausola di
apposizione del termine ( cfr fra le altre, Cass. n. 18383 del 23 agosto 2008,

In particolare, quindi, come questa Corte ha più volte precisato, “in materia
di assunzione a temine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25
settembre 1997, attuativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, le parti
hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione
straordinaria,

relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla

conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne
consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine
intervenute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo
derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi
contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile
1962 n. 230 (cfr fra le altre, Cass. n. 20608 del 1° ottobre 2007, Cass. n.
7979 del 27 marzo 2008; Cass. n. 18378/2006 cit.).
La sentenza impugnata ha fornito adeguata e coerente motivazione circa la
scadenza degli accordi collettivi e ha correttamente applicato i principi di
diritto affermati dalla giurisprudenza sul punto ritenendo illegittimo il termine
apposto ai contratti in questione stipulati dopo il 30 aprile 1998.
4. Con il

secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa

applicazione di norme di diritto e vizio di motivazione della sentenza
impugnata in ordine al danno riconosciuto a favore del lavoratore,

non

Cass. n. 7745 del 14 aprile 2005, Cass. n. 2866 del 14 febbraio 2004).

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avendo quest’ultimo fornito la prova delle retribuzioni perdute per la
mancata esecuzione delle prestazioni lavorative.
Il motivo è corredato dal seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se in
caso di domanda di risarcimento danni proposta dal lavoratore a seguito

effetto dell’iniziativa del datore di lavoro fondata su clausola risolutiva
contrattuale nulla”, rimane a carico dello stesso lavoratore, in qualità di
attore, l’onere di allegare e di provare ” il danno da scioglimento del
rapporto di lavoro fondato su clausola risolutiva contrattuale nulla” e se tale
danno può equivalere alle retribuzioni perdute- detratto l’alíunde perceptuma causa della mancata esecuzione delle prestazioni lavorative, anche
presupponendo l’esplicita offerta delle prestazioni stesse da parte del
lavoratore e l’illegittimo rifiuto da parte del datore di lavoro”.

Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis CPC, introdotto con
l’art. 6 del D.Lgs. n. 40 del 2006, perché il detto quesito di diritto non
presenta una adeguata ed appropriata formulazione, tale da consentire di
individuare lo specifico contenuto dell’impugnazione e il profilo logicogiuridico risolutivo della questione introdotta, né censura in modo specifico
e chiaro il ragionamento attraverso il quale il giudice del gravame è giunto a
determinare le conseguenze patrimoniali derivanti dall’accertamento della
nullità del contratto dalla data della messa in mora.
Al riguardo si richiama indirizzo di questa Corte (in particolare Cass. n.
10758 del 2013 e altre precedenti decisioni), secondo cui il quesito di
diritto ex art. 366 bis C.P.C. deve essere completo ed idoneo, in modo tale
da porre il giudice di legittimità di comprendere, attraverso la sua sola

dell’intervenuto “scioglimento del rapporto di lavoro determinatosi per

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lettura, quale sia l’errore commesso dal giudice di merito.
5. La ricorrente società con la memoria ex art. 378 CPC deduce in via
subordinata la violazione dello ius superveniens, costituito dall’art. 32-5°
comma- della legge n. 183 del 2010, disciplina applicabile al presente

nella misura minima, pari a 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto.
La censura è inammissibile, in quanto si riferisce al profilo delle
conseguenze di carattere patrimoniale, derivanti dall’accertamento della
nullità del contratto in questione, profilo sollevato con il secondo motivo del
ricorso e ritenuto, come detto, inammissibile, stante la genericità e non
adeguatezza del relativo quesito di diritto.
Ed invero va evidenziato che costituisce condizione necessaria per poter
applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto,
con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il
fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alla questione
oggetto di censura, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici e rituali motivi di ricorso (Cass. 30
settembre 2013 n. 2319; Cass. 8 maggio 206 n. 10547; Cass. 27 febbraio
2004 n. 4070).
6. In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano a
favore del controricorrente come da dispositivo in relazione all’attività

difensiva svolta in sede di pubblica discussione, stante, come già detto,
l’intempestività del controricorso.

giudizio, secondo la quale l’indennità risarcitoria deve essere determinata

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PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in
€ 100,00 per esborsi e in € 2000,00 per compensi , oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma addì 6 febbraio 2014
Il Presidente

Il Cons. rel. est.

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