Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5897 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5897 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: LORITO MATILDE

SENTENZA

sul ricorso 24-2008 proposto da:
BIANCOFIORE

GIUSEPPE

C.F.

BNCGPP62L06H926T,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI 121,
presso

lo

rappresentato

studio
e

dell’avvocato VISCO
difeso

dall’avvocato

FRANCESCO,
DE MICHELE

VINCENZO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
431

contro

OSPEDALE CASA SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA – ISTITUTO DI
RICOVERO E CURA A CARATTERE SCIENTIFICO DELLA
FONDAZIONE CASA DEL SOLLIEVO DELLA SOFFERENZA – C.F.

Data pubblicazione: 13/03/2014

00138660717, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CITTA’
DELLA PIEVE, 19, presso lo studio dell’avvocato MARTINO
CLAUDIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in
atti;

avverso la sentenza n. 2105/2006 della CORTE D’APPELLO
di BARI, depositata il 15/12/2006 r.g.n. 556/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/02/2014 dal Consigliere Dott. MATILDE
LORITO;
udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO per delega verbale DE
MICHELE VINCENZO;
udito l’Avvocato MARTINO CLAUDIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

– controricorrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Giuseppe Biancofiore, dipendente dell’Ospedale Casa Sollievo
della Sofferenza con qualifica di operaio e mansioni di cuoco,
adiva il Tribunale di Foggia in funzione di giudice del lavoro
chiedendo l’annullamento del provvedimento di sospensione
cautelare dal servizio irrogato a far tempo dal 19/10/02,
nonché la declaratoria di estinzione del procedimento

13/3/03.
Sosteneva l’illegittimità del provvedimento di sospensione in
quanto adottato in carenza dei presupposti sanciti dall’art.5
codice disciplinare e dell’art.32 c.c.n.l. Comparto Sanità,
nonchè l’estinzione del procedimento disciplinare instaurato
nei suoi confronti perché non concluso nel termine di 120
giorni sancito dall’art.29 comma 6 c.c.n.l. di comparto.
Il Tribunale adito accoglieva il ricorso con sentenza del
20/4/04.
La pronuncia veniva riformata dalla Corte d’Appello di Bari
con sentenza in data 15/12/06 con la quale venivano respinte
le domande tutte proposte dal Biancofiore in primo grado.
La Corte di merito approdava a tali conclusioni all’esito
della esegesi del disposto di cui all’art.5 del codice
disciplinare aziendale alla cui stregua l’azienda, nelle
ipotesi di reati contro la persona o il patrimonio, cessato lo
stato di restrizione della libertà personale, prolunga il
periodo di sospensione del dipendente sino alla sentenza
definitiva alle condizioni di cui al comma 2 dell’art.4,
disposizione che sancisce il computo del periodo di
allontanamento cautelativo nella sanzione e limita la
privazione della retribuzione agli effettivi giorni di
sospensione irrogati.
Dopo aver proceduto ad una interpretazione della disposizione
codicistica in coordinazione con il dettato di cui all’art.32
c.c.n.l. comparto sanità, ritenuto complessivamente

meno

favorevole della prima per il lavoratore, la Corte d’Appello
1

disciplinare avviato nei suoi confronti con provvedimento

affermava che la norma disciplinare era sorretta da una
coerenza logico giuridica tale da non giustificare alcuna
interpretazione che trascendesse i suoi termini logicoletterali e che pertanto,

diversamente da quanto argomentato

dal giudice di prima istanza, non postulava il rinvio a
giudizio del dipendente (non intervenuto nella specie), quale
requisito coessenziale al prolungamento della sospensione

restrizione della libertà personale.
Quanto alla domanda concernente la richiesta di declaratoria
di estinzione del procedimento disciplinare spiegata ai sensi
dell’art.29 ccnl di settore, secondo cui tale procedimento
deve concludersi entro 120 giorni dalla data di contestazione
dell’addebito, la Corte osservava che esso era stato
ritualmente iniziato nel termine di cui alla citata
disposizione, decorrente dal momento in cui gli organi
amministrativi dell’ospedale avevano avuto effettiva piena
contezza dei fatti addebitati al lavoratore.
Inoltre, proseguivano i giudici di merito,

dal tenore

dell’art.29 c.8 coni si evinceva che il procedimento
disciplinare era sospeso di diritto sino alla sentenza
definitiva, sicchè anche sotto tale profilo doveva ritenersi
non esaurito il termine sancito dalle parti sociali per
l’espletamento del procedimento disciplinare.
Avverso tale pronuncia della Corte territoriale il Biancofiore
ha spiegato ricorso per Cassazione affidato a due motivi
illustrati da quesiti di diritto.
Ha resistito con controricorso l’Ospedale Casa Sollievo della
Sofferenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il Biancofiore lamenta vizio di
violazione e/o falsa applicazione di legge (artt. 7 1.300/70
artt.31-32 ccnl Comparto Sanità del 1/9/95 ed artt.4-5 codice
disciplinare Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza,
artt.1362-1371 c.c.) in relazione all’art.360 n.3 c.p.c. per
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cautelare dal servizio una volta cessato lo stato di

avere i giudici di merito trascurato i dati desumibili dal
combinato disposto di cui all’art.5 c.3 codice disciplinare ed
art.32 comma 3 ccnl Comparto Sanità.
Ribadisce al riguardo la tesi recepita dal giudice di prima
istanza, secondo cui l’elemento caratterizzante la
disposizione di cui all’art. 32 c.3 c.c.n.l. comparto sanità e
l’art.5 comma 3 codice disciplinare non è ravvisabile tanto

fatto che il dipendente sia stato rinviato a giudizio dopo che
sia cessata la misura restrittiva della libertà personale,
condizione che non si sarebbe verificata nel caso di specie.
Nella descritta prospettiva, il ricorrente propone una esegesi
della disciplina sanzionatoria interna (nella quale è assente
ogni riferimento al rinvio a giudizio del dipendente) che
trascende il senso letterale della disposizione, onde
consentirne il coordinamento con i dettami di cui all’art.32
coni di comparto secondo cui il datore una volta cessato lo
stato di restrizione della libertà personale, può prolungare
il periodo di sospensione del dipendente fino alla sentenza
definitiva, quando sia stato rinviato a giudizio per fatti
direttamente attinenti al rapporto di lavoro o tali da
comportare, se accertati, l’applicazione della sanzione
disciplinare del licenziamento.
La censura è priva di pregio.
Occorre premettere, per un ordinato iter motivazionale, che la
violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi del
lavoro pubblico prevista in generale dall’art.63 d.lgsl. n.165
del 2001 e statuita espressamente dall’art.64 del medesimo
testo normativo per le controversie in tema di accertamento
sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti
collettivi, in considerazione della natura negoziale degli
stessi, deve essere compiuta secondo i criteri dettati
dall’art.1362 e seguenti c.c. (vedi sul punto,
Cass. S.U. n.10374 del giorno 8 maggio 2007).
3

ex plurimis,

nella tipologia del reato commesso dal lavoratore, quanto nel

Questa Corte è, inoltre, ferma nel ritenere che ai fini della
ammissibilità del ricorso è necessario che in esso siano
motivatamente specificati i suddetti canoni ermeneutici in
concreto violati, nonché il punto ed il modo in cui il giudice
di merito si sia da essi discostato.
Nel caso di specie, che involve l’esegesi di disposizioni
contrattuali collettive del comparto sanità pacificamente

disposizioni disciplinari aziendali, non risulta che il
ricorrente si sia attenuto ai principi che governano la
materia come delineati dalla costante giurisprudenza di
legittimità, avendo omesso di rimarcare, come doveroso,
l’errore logico-giuridico in cui sarebbe incorsa la Corte di
merito nell’espletamento della operazione esegetica dei testi
regolanti la materia dibattuta, specificamente enunciando le
ragioni in cui risiede la violazione dei canoni codicistici
che regolano l’interpretazione delle norme pattizie, di natura
soggettiva ed oggettiva (1362-1370 c.c.) e di proporre una
esegesi alternativa sorretta da adeguato sostrato logicogiuridico che ne attesti la decisività, presupposto necessario
per l’accoglimento del suo ricorso.
Il Biancofiore, come già accennato, si è infatti limitato a
riproporre la tesi interpretativa delle disposizioni che
regolano la fattispecie accreditata in primo grado, omettendo
di censurare specificamente l’iter logico-giuridico percorso
dalla Corte territoriale che risulta sorretto, per contro, da
motivazione congrua, esente da vizi di ordine argomentativo,
supportata da puntuali richiami ai dati normativi di
riferimento e sostenuta dal ricorso ai criteri interpretativi
sanciti dagli artt.1362-1363 c.c. che la rendono immune dalle
censure formulate.
Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt.29 e 30 coni di comparto sanità
e dell’art.74 d.lgsl. n.29/93 in relazione all’art.360 comma l
n.3. Lamenta al riguardo l’erroneità degli approdi ai quali è
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applicabili al rapporto oggetto di controversia, nonché di

pervenuta la Corte territoriale in ordine alla eccezione di
estinzione del procedimento disciplinare formulata ai sensi
dell’art.29 =l di settore, secondo cui tale procedimento
deve concludersi entro 120 giorni dalla data di contestazione
dell’addebito, assumendo che il

dies a quo per il computo del

termine andava ravvisato nella data del 21 ottobre 2002 quando
era stato adottato il provvedimento cautelare nei suoi

Corte di merito aveva collegato lo stato di piena conoscenza,
da parte datoriale, dei fatti addebitati al lavoratore. Il
motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di
diritto:”Voglia

questa Ecc.ma Corte di Cassazione-sez.Lavoro-

stabilire se, ai sensi degli artt.29 e 30 =l Comparto Sanità
del 1/9/95 e dell’art.74 d.lgsl. n.29/93, il procedimento
disciplinare avviato dall’Ospedale Casa Sollievo della
Sofferenza nei confronti del sig.Biancofiore Giuseppe con
lettera del 13-14/2/03 deve considerarsi estinto e, pertanto,
acclarare se la Corte d’Appello di Bari -sez-lavoro- con la
sentenza n.2105/06 ha violato la predetta normativa legale e
contrattuale’.
Il quesito è inammissibile.
Questo giudice di legittimità (vedi di recente, Cass. n.21672
del 23 settembre 2013), ha già avuto più volte modo di
affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della
questione, onde consentire alla corte di cassazione
l’enunciazione di una

regula iuris

suscettibile di ricevere

applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso
dalla sentenza impugnata. Ne consegue che è inammissibile il
motivo di ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui
formulazione sia del tutto inidonea a chiarire l’errore di
diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla
concreta controversia (Cass. n.7197 del 25 marzo 2009), quanto
che sia destinato a risolversi (Cass. n.4044 del 19 febbraio
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confronti, piuttosto che nel giorno 24 febbraio 2003 cui la

2009) nella generica richiesta (quale quelle di specie)
rivolta al giudice di legittimità di stabilire se sia stata o
meno violata una certa norma.
Il quesito deve, di converso, investire la

ratio decidendi

della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di
segno opposto: le stesse sezioni unite di questa corte hanno
chiaramente specificato (Cass. ss. uu. n. 28536 del 2 dicembre

dell’art. 366 bis cod. proc. civ. il ricorso per cassazione
nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata
dalla formulazione di un quesito di diritto che si risolve in
una tautologia o in un interrogativo circolare, che già
presupponga la risposta (ovvero la cui risposta non consenta
di risolvere il caso sub ludice).
La corretta formulazione del quesito esige, in definitiva
(vedi Cass. 19892 del 25 settembre 2007), che il ricorrente
dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la
rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli, in
forma interrogativa e non assertiva, il principio giuridico di
cui chiede l’affermazione; onde, va ribadita (Cass. cit.
n.19892/2007) l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui
quesito si risolva (come nella specie) in una generica istanza
di decisione sull’esistenza della violazione di legge
denunziata nel motivo, priva del chiaro principio di diritto
che si intende applicabile alla fattispecie.
Le obiettive carenze rilevabili in sede conclusiva, appaiono,
peraltro rinvenibili anche nel contesto dell’articolato motivo
di censura.
Va ricordato che in tema di ricorso per cassazione, il vizio
di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea
ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi
implica necessariamente un problema interpretativo della
stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione
della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è
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2008) che deve ritenersi inammissibile per violazione

esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è
possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del
vizio di motivazione (cfr.Cass. n. 8315 del 4 aprile 2013).
Nel caso di specie, si censura il difettoso esame di una
questione di fatto (decorrenza del dies a quo del procedimento
disciplinare ai fini della verifica in ordine alla estinzione

giuridica della disciplina legale divergente da quella
sostenuta dal giudice di merito, senza che la validità di tale
interpretazione

(peraltro

congruamente

e

logicamente

sostenuta) sia stata puntualmente censurata con un motivo di
impugnazione idoneo.
In definitiva, il ricorso va respinto.
La disciplina delle spese segue, infine, il principio della
soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in
euro 100,00 per esborsi ed euro 3.000,00 per compensi
professionali oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il giorno 5 febbraio 2014.

del procedimento stesso) che presuppone una interpretazione

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