Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5894 del 12/03/2018

Cassazione civile, sez. I, 12/03/2018, (ud. 21/12/2017, dep.12/03/2018),  n. 5894

Fatto

Con atto di citazione notificato il 19 gennaio 2008, R.D. convenne in giudizio I.N. ed il Comune di Roma, chiedendo: 1) la declaratoria di nullità o l’annullamento del matrimonio canonico celebrato in (OMISSIS) il (OMISSIS) tra la convenuta e l’avv. R.A., fratello dell’istante, per mancanza di valido consenso al momento del matrimonio, con l’accertamento della nullità della relativa trascrizione; 2) l’accertamento della nullità o l’annullamento dell’atto di trascrizione del matrimonio operata post mortem, a causa della incapacità naturale del medesimo al momento della prestazione del consenso, con ordine all’ufficiale di stato civile di correggere gli atti ed annotare la sentenza margine dell’atto di matrimonio; 3) l’accertamento della circostanza che i propri diritti successori non potessero esserne comunque pregiudicati.

L’attrice dedusse che il fratello era deceduto nel (OMISSIS), dopo un ricovero in ospedale sin dal 3 luglio precedente, periodo durante il quale era stato in terapia intensiva, presentando egli un quadro clinico di “stato soporoso” nonchè “sensorio obnubilato, orientamento assente, risposta verbale assente”, e di avere appreso che il (OMISSIS), alle ore 8,30, il R. aveva contratto matrimonio concordatario con I.N. presso la cappella dell’ospedale, senza preventive pubblicazioni, perchè “in pericolo di vita”. La trascrizione del matrimonio, richiesta dalla sola I. il (OMISSIS), ma dapprima rifiutata dall’ufficiale di stato civile, era stata eseguita il 1 agosto 2006, dopo il decesso dello sposo, su ordine dello stesso tribunale emesso il 10 aprile 2006.

Il Tribunale di Roma con sentenza del 30 marzo 2010 respinse tutte le domande.

Proposto appello dalla I., la Corte d’appello di Roma con sentenza del 3 luglio 2014 ha dichiarato inammissibili le domande di annullamento del decreto in data 10 aprile 2006 e di accertamento dell’insussistenza di pregiudizio per i diritti ereditari della R., confermando per il resto la decisione impugnata.

La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, che: a) è passata in giudicato, per mancata impugnazione, la statuizione di carenza di legittimazione attiva della R. ad impugnare il matrimonio del fratello per incapacità naturale; b) è inammissibile la domanda di riforma del decreto del Tribunale di Roma del 10 aprile 2006, con il quale fu impartito l’ordine di trascrizione del matrimonio concordatario, in quanto domanda nuova proposta solo in appello; c) in via incidentale, è da ritenere ormai definitivo, nonchè valido ed efficace il decreto predetto, che accertò la volontà di entrambi i coniugi a procedere alla trascrizione, nè quindi esso è passibile di riesame nel merito; d) peraltro, alla R. compete l’actio nullitatis in sede contenziosa per i soli vizi di legittimità, ma tale domanda, pur ammissibile, è infondata, posto che l’attrice insiste sull’ostativo stato clinico del malato per l’intero periodo di degenza, in tal modo pretendendo però un inammissibile riesame del merito, mentre non deduce l’insussistenza dei presupposti di legittimità del decreto del tribunale, il quale comunque risulta emesso da giudice competente, sulla base di domanda di soggetto legittimato, nelle forme e per ipotesi prevista dalla legge; e) è infondata la domanda di annullamento dell’atto di trascrizione del matrimonio, autonomamente proposta dall’attrice, sussistendo tutte le condizioni di cui alla L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8, sulla base dei documenti prodotti, in assenza degli impedimenti previsti dal comma 2, e per quanto previsto al comma 3; f) l’attrice è carente di interesse quanto alla domanda di accertamento della circostanza che i suoi diritti successori non possano ritenersi pregiudicati dalla trascrizione tardiva del matrimonio, posto che la I. fu nominata erede testamentaria in data 2 luglio 2005, dunque in data antecedente al matrimonio stesso, non residuando quindi nessuna situazione di obiettiva incertezza o contestazione attuale per la R., mentre poi essa sembra pretendere la mera riaffermazione di quanto già previsto dall’art. 8, comma 6, cit., secondo cui la trascrizione tardiva non pregiudica i diritti legittimamente acquisiti dai terzi; g) quanto esposto esime dall’esame delle domande riconvenzionali della I. e della reconventio reconventionis della R., la prima volta all’attribuzione della quota spettante sull’asse ereditario della madre dei germani e la seconda alla riduzione delle donazioni effettuate al fratello dalla madre.

Per la cassazione di questa sentenza propone ricorso R.D., sulla base di nove motivi. L’intimata ha depositato il controricorso e la memoria di cui all’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – I motivi del ricorso.

1.1. – La ricorrente avanza avverso la sentenza impugnata motivi di censura, di cui i primi tre riferiti al decreto camerale ed i rimanenti all’atto di trascrizione, che possono essere come di seguito riassunti:

1) violazione o falsa applicazione della L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 6, per non avere la sentenza impugnata considerato che il Tribunale di Roma, con il decreto del 10 aprile 2006, autorizzò la trascrizione post mortem del matrimonio violando la legge, la quale ammette la trascrizione tardiva, ossia dopo i previsti cinque giorni dalla celebrazione, solo durante la vita dei due coniugi: ma, ove la richiesta pervenga da un solo coniuge, è necessaria la conoscenza e la mancata opposizione dell’altro, da verificare al momento della trascrizione stessa: mentre, nel caso di specie, il (OMISSIS) la I. richiese tardivamente la trascrizione del matrimonio, domanda respinta dall’ufficiale dello stato civile, e solo il 4 novembre 2005 depositò il ricorso di volontaria giurisdizione, accolto il 10 aprile 2006, con successiva trascrizione del 1 agosto 2006, quando il R. era già deceduto il (OMISSIS); onde il decreto camerale stesso è affetto da nullità. Nè la domanda di trascrizione può farsi retroagire al (OMISSIS), data in cui la I. presentò la domanda al Comune di Roma, essendo questo un procedimento amministrativo del tutto distinto. In ogni caso, non sussisteva l’attuale conoscenza e la non opposizione, dopo il matrimonio o al momento della richiesta di trascrizione, posto che il R. era rimasto in coma (dal 10 luglio sino al decesso), dunque in istato di incapacità naturale assoluta, per tutta la durata del matrimonio, come risulta dalla cartella clinica, nè essendo ammesso il consenso “a futura memoria”. Infine, la volontà di trascrivere il matrimonio non può provarsi per testimoni, come è invece avvenuto nel procedimento di volontaria giurisdizione;

2) violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 342 c.p.c., per avere la corte territoriale dichiarato inammissibile la domanda di annullamento del decreto camerale, in quanto proposta solo in appello, mentre, al contrario, l’illegittimità di quel decreto fu dedotta già in primo grado – in modo implicito, laddove l’atto di citazione chiedeva la nullità della trascrizione dell’atto di matrimonio, ed in modo esplicito nella memoria di replica, ove la ricorrente dedusse l’insuscettibilità di passare in giudicato del decreto e il proprio interesse di terzo ad agire per farne accertare l’illegittimità ed ottenerne la revoca – onde la corte del merito avrebbe dovuto accoglierla, oppure almeno disapplicare il provvedimento autorizzativo della trascrizione; del resto, il tribunale ritenne proposta azione di nullità del decreto; la motivazione della sentenza impugnata è, inoltre, contraddittoria, posto che definisce la domanda in questione ora ammissibile ed ora inammissibile;

3) violazione o falsa applicazione dell’art. 742 c.p.c., per aver ritenuto definitivo e non suscettibile di riesame nel merito il provvedimento autorizzatorio, quando invece esso era passibile di annullamento o almeno di disapplicazione, secondo la norma predetta, che rende non idonei al giudicato, ma sempre modificabili e revocabili i decreti camerali; comunque, l’attrice ne aveva dedotto proprio vizi di legittimità, per la violazione della L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 6;

4) violazione o falsa applicazione della L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 6, per avere la corte territoriale dichiarato integrate tutte le condizioni previste dalla legge per la trascrizione del matrimonio, al contrario avvenuta senza conoscenza e non opposizione dell’altro coniuge; ripete, quindi, gli argomenti esposti nel primo motivo;

5) violazione o falsa applicazione della L. n. 121 del 1985, art. 8, per non avere la corte territoriale ritenuto del tutto irrilevante l’esistenza del decreto autorizzatorio del tribunale, di natura amministrativa, al fine della domanda di annullamento della trascrizione, che non vede la pronuncia di caducazione del primo come pregiudiziale;

6) violazione o falsa applicazione dell’art. 582 c.c., art. 100 c.p.c., L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 6, per avere la corte territoriale dichiarato inammissibile la domanda di accertamento dell’integrità dei suoi diritti successori, e ciò in ragione dell’esistenza di un testamento olografo datato 2 luglio 2005, istituente la I. erede universale, senza considerare che esso era stato reso oggetto di impugnazione per apocrifia, con giudizio ancora pendente, come dichiarato già dal primo grado e poi ancora in appello: in sostanza, la ricorrente ha al riguardo un interesse concreto all’accertamento richiesto;

7) violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla relativa domanda di accertamento: essa, invece, avrebbe dovuto verificare la qualità di unica erede legittima in capo all’istante e la mancata acquisizione della qualità di erede testamentaria in capo alla I.;

8) violazione o falsa applicazione dell’art. 582 c.c., art. 112 c.p.c., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, L. n. 121 del 1985, art. 8, comma 6, per non avere la corte territoriale dichiarato che mai la I. potrà acquisire diritti successori, posto che la trascrizione non può lederli, mentre il testamento olografo è ancora sub iudice;

9) violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, posto che l’attrice aveva, in via riconvenzionale, chiesto, per l’ipotesi che la I. possa essere reputata erede legittima (in quanto moglie) o testamentaria di R.A., la riduzione delle donazioni da parte della comune genitrice D.M.G. per lesione della quota di legittima spettante all’attrice, previa riunione fittizia dell’asse ereditario della successione della madre, e la condanna della I. a reintegrare l’attrice ed a trasferirle i beni in natura o pagarne il controvalore.

1.2. – Per una migliore intelligenza delle questioni poste, è bene suddividerle con riguardo alle domande inizialmente proposte dalla R., ovvero:

a) la domanda di nullità o annullamento del matrimonio canonico e della relativa trascrizione, per mancanza di valido consenso dello sposo al momento del matrimonio;

b) la domanda autonoma di accertamento della nullità o annullamento dell’atto di trascrizione;

c) l’accertamento della circostanza che i propri diritti successori non possano esserne comunque pregiudicati.

La prima domanda è stata respinta in primo grado per difetto di legittimazione attiva, nè la declaratoria è stata impugnata con l’atto di appello, onde al riguardo si è formato il giudicato.

I motivi di ricorso sono stati dunque proposti con riguardo alle ultime due domande, e precisamente: quelli da uno a cinque riguardano la domanda sub b) di accertamento della nullità della trascrizione (di cui i motivi 1, 2, 3 attengono specificamente al decreto camerale che la ordinò, ed i motivi 4 e 5 concernono in sè l’atto di trascrizione), mentre i motivi da sei a nove riguardano la domanda sub c).

2. – Motivi relativi al decreto camerale che ordinò la trascrizione (motivi da 1 a 3). I primi tre motivi concernono il decreto camerale emesso dal tribunale in sede di volontaria giurisdizione, il quale ordinò la trascrizione del matrimonio concordatario: il primo attiene all’actio nullitatis del decreto del 10 aprile 2006; il secondo e terzo riguardano il tema della riforma del decreto in sede contenziosa.

2.1. – L’azione di nullità del decreto in data 10 aprile 2006. Il primo motivo mira a censurare la sentenza impugnata con riguardo al rigetto della domanda di nullità (quale actio nullitatis) del decreto camerale, emesso dal Tribunale di Roma in data 10 aprile 2006 in sede di volontaria giurisdizione, ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95.

Esso è infondato.

Giova, al riguardo, procedere ad una rapida ricostruzione della normativa e dei principi di diritto applicabili.

2.1.1. – La trascrizione del matrimonio canonico. Il matrimonio religioso con effetti civili o matrimonio concordatario è disciplinato, quanto ai presupposti in base ai quali esso può ottenere tali effetti nell’ordinamento, dalla L. 27 maggio 1929, n. 847, Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 fra la S. Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio (c.d. legge matrimoniale), di attuazione del Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929 fra lo Stato italiano e la Santa Sede, e dall’accordo di revisione firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che ha modificato il Concordato, la cui ratifica è stata autorizzata dalla L. 25 marzo 1985, n. 121, e che è entrato in vigore il 3 giugno 1985 con lo scambio degli strumenti di ratifica.

L’art. 8 dell’accordo ratificato con la L. n. 121 del 1985, riconosce, invero, gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico, a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile, previe pubblicazioni nella casa comunale.

Si precisa, al comma 3, che la trascrizione non possa avere luogo: a) quando gli sposi non abbiano l’età richiesta dalla legge; b) quando sussista fra i coniugi un impedimento che la legge civile considera inderogabile.

Circa i tempi, la richiesta di trascrizione è fatta dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato non oltre i cinque giorni dalla celebrazione.

Inoltre, per il comma 6, la trascrizione può essere effettuata “anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi”.

2.1.2. – Il ricorso contro il rifiuto dell’ufficiale di stato civile. A norma del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, art. 63, l’ufficiale di stato civile trascrive negli archivi “gli atti dei matrimoni celebrati nello stesso comune davanti ai ministri di culto”; in base all’art. 95, del medesimo D.P.R., “Chi intende (…) opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di (…) eseguire una trascrizione (…) deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile”.

Aggiunge il secondo comma che “il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere il procedimento di cui al comma 1”.

Del pari, dispone la norma speciale della L. n. 847 del 1929, art. 15, che “Se l’ufficiale dello stato civile non creda di poter procedere alla trascrizione, si osserva la disposizione dell’art. 75 c.c.”, da intendere ora riferita all’art. 98 c.c., secondo cui l’ufficiale dello stato civile rilascia un certificato con i motivi del rifiuto, contro il quale “è dato ricorso al tribunale, che provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero”.

La trascrizione può dunque avvenire su ordine dell’autorità giudiziaria ordinaria, in sede di volontaria giurisdizione, con l’intervento del pubblico ministero, cui spetta la tutela dell’interesse pubblico al rispetto della legalità in materia di stato civile.

Si tratta di un procedimento camerale, che segue le regole generali degli artt. 737 e 742 bis c.p.c., di natura unilaterale, posto che solo il soggetto (o i soggetti, quale parte unitaria) che abbia visto respinta la richiesta di trascrizione propone il ricorso al giudice. Nè il rifiuto dell’annotazione da parte dell’ufficiale di stato civile rende quest’ultimo parte del giudizio di accertamento da lui reso necessario (in caso contrario, si pensi solo alle conseguenze che ne deriverebbero quanto al diritto di difesa ed alle spese processuali.

Il giudice adito a norma del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95, deve dunque limitarsi ad accertare se sussistano o no le condizioni per procedere alla trascrizione richiesta dalle parti e rifiutata dall’ufficiale dello stato civile.

E’ un procedimento informale, come si desume dal D.P.R. n. 396 del 2000, art. 96, che delinea un provvedimento camerale, dato secondo le relative forme procedimentali e con accertamento sommario adeguato a quella sede: come esso dispone, il tribunale “può, senza particolari formalità, assumere informazioni, acquisire documenti e disporre l’audizione dell’ufficiale dello stato civile”, e “deve sentire il procuratore della Repubblica e gli interessati”. Per il comma 3, il tribunale provvede in camera di consiglio con decreto motivato, rinviando espressamente la norma all’art. 737 c.p.c. e ss..

E’ dunque chiara la scelta del legislatore di adottare per esso le forme proprie dei procedimenti in camera di consiglio, caratterizzate dalla deformalizzazione del contraddittorio fra le parti, dall’estrema sommarizzazione della cognizione del giudice, ridotta alla sola “assunzione di informazioni” – secondo il modello generale dell’art. 738 c.p.c., e dalla predisposizione del reclamo avverso il decreto conclusivo.

2.1.3. – L’actio nullitatis. Circa la configurabilità di questa azione, è stato ripetutamente affermato il principio di diritto secondo cui la c.d. inesistenza giuridica o la nullità radicale di un provvedimento, erroneamente emesso da un giudice carente di potere o dal contenuto abnorme, irriconoscibile come atto processuale di un determinato tipo, può essere fatta valere (oltre che tempestivamente con i normali mezzi di impugnazione, ove ricorra l’interesse della parte ad una espressa rimozione dell’atto processuale viziato) in ogni tempo mediante un’azione di accertamento negativo (actio nullitatis), ovvero con un’eccezione (exceptio nullitatis), onde quel provvedimento verrà disapplicato, ove dal medesimo si intendano trarre effetti processuali o sostanziali.

La giurisprudenza di legittimità reputa infatti configurabili fattispecie di c.d. inesistenza giuridica del provvedimento, tutte le volte che il giudice sia carente di potere o il provvedimento processuale emesso possa qualificarsi comunque abnorme, in quanto privo del minimo di elementi o di presupposti tipizzanti necessari per produrre certezza giuridica. Trattandosi di vizi estremamente gravi dell’atto processuale, materialmente esistente ma abnorme, essi possono essere fatti valere con l’actio nullitatis, autonoma azione di accertamento non soggetta a termini di prescrizione o di decadenza, ovvero con l’exceptio nullitatis.

L’azione di accertamento della nullità assoluta del provvedimento resta, dunque, limitata ai soli casi eccezionali e riconducibili al concetto di abnormità o inesistenza, nei quali faccia difetto alcuno dei requisiti essenziali del provvedimento giurisdizionale, e non si estende, invece, alle ipotesi in cui ricorrano vizi attinenti al contenuto del provvedimento stesso: la mera deviazione dal corretto esercizio del potere, operata nell’ambito della sfera di attribuzioni devoluta al giudice dalla legge, non determina invero l’inesistenza del provvedimento, ma consente solo un riesame in ordine alla legittimità del suo contenuto attraverso le forme di impugnazione previste per rimuoverne gli effetti.

Tra i casi radicali in questione, ad esempio, quelli della domanda decisa dopo la pubblicazione della sentenza, quando il giudice adito si spoglia ormai del potere di decidere sulla domanda già portata al suo esame (provvedimento di svincolo di una fideiussione adottato dal tribunale ormai carente di potere giurisdizionale in relazione ad una causa di opposizione a decreto ingiuntivo già decisa con sentenza pubblicata: Cass., ord. 28 dicembre 2009, n. 27428; 29 novembre 2005, n. 26040), della sentenza priva di dispositivo (Cass. 1 settembre -2006, n. 18948) o del mancato deposito della sentenza dopo la lettura del dispositivo in udienza (Cass. 13 gennaio 2005, n. 504; 27 maggio 2003, n. 8442; 4 marzo 1999, n. 1816), della sentenza emessa nei confronti del P.R.A., mero ufficio gestito dall’Aci e non autonomo soggetto giuridico (Cass. 13 aprile 2001, n. 5531; 6 giugno 2000, n. 7569), della sentenza emessa nei confronti delle parti del giudizio ma con motivazione e dispositivo relativi a diversa causa riguardante altri soggetti (Cass. 29 dicembre 2011, n. 30067), del giudizio di rendiconto conclusosi con l’ordine del giudice di pagare somme, ai sensi dell’art. 263 c.p.c., comma 2, e art. 264 c.p.c., comma 3, in mancanza della presentazione del conto (Cass. 24 novembre 1989, n. 5075), dell’estinzione ex art. 307 c.p.c., pronunciata per il tardivo deposito della relazione del consulente tecnico nel termine in sede di accertamento tecnico preventivo (Cass. 20 settembre 2000, n. 12437), del provvedimento con il quale il giudice delegato al fallimento, in occasione della vendita di beni immobili, dispone il sequestro della somma versata a titolo di cauzione da un partecipante all’incanto che aveva dichiarato di recedere dall’offerta (Cass. 29 settembre 1997, n. 9521), del decreto emesso dal giudice delegato allo scopo di acquisire mobili o immobili detenuti da terzi, i quali rivendichino su di essi un proprio diritto esclusivo incompatibile (Cass. 2 gennaio 1995, n. 2).

Mentre ne è stata negata la fattispecie, fra le altre, in caso di sentenza emessa in mancanza di procura alle liti, in quanto l’atto di citazione privo della procura della parte è comunque idoneo ad introdurre il processo e ad attivare il potere-dovere del giudice di decidere, con la conseguenza che la sentenza è nulla ma non inesistente (Cass., sez. un., 12 ottobre 2011, n. 20934), di decisione sulla domanda ormai accolta con decreto ingiuntivo divenuto definitivo (Cass. 6 dicembre 2013, n. 27406), di censure al provvedimento del giudice delegato di vendita con incanto (Cass. 4 febbraio 2004, n. 2018) o di non ammissione di determinati crediti al passivo fallimentare (Cass. 21 febbraio 2001, n. 2477).

Da quanto premesso si traggono i caratteri della azione intrapresa e le conseguenti statuizioni.

2.1.4. – La sentenza impugnata. La corte d’appello, dopo avere ritenuto, da un lato, inammissibile l’istanza di riforma del decreto del tribunale, e, dall’altro lato, ammissibile l’actio nullitatis, ha tuttavia ritenuto quest’ultima infondata, in quanto non ne ricorrevano i presupposti.

In tal modo, essa non si è discostata dai principi sopra enunciati, posto che l’attrice non dedusse ragioni di abnormità del provvedimento rientranti nella categoria sopra indicata, idonee cioè a comportarne la nullità assoluta o inesistenza, ma censurò unicamente l’erroneo ordine di trascrizione del matrimonio concordatario, del quale non sarebbero stati presenti le condizioni di legge: come, del resto, anche in questa sede ribadito nei motivi di ricorso.

Ma, non trattandosi di vizio riconducibile a quella radicale abnormità del provvedimento, quanto, invece, alla dedotta mancanza dei presupposti in relazione ai quali la legge ne permette l’emanazione, correttamente la relativa pretesa è stata disattesa.

2.2. – L’azione di annullamento o di riforma del decreto camerale proposta in sede contenziosa. Il secondo ed il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente, in quanto intimamente connessi, e sono infondati.

Dall’esame degli atti processuali, consentito in ragione della natura del vizio denunziato, risulta che la domanda di annullamento/riforma del decreto camerale non fu proposta in primo grado, ma solo in grado di appello.

Prima ancora di valutare l’ammissibilità stessa di un reclamo camerale proposto in quella sede contenziosa, la corte del merito ha ritenuto la pretesa inammissibile sotto altro profilo, ossia in quanto costituente domanda nuova: onde la censura non coglie nel segno, posto che correttamente la corte del merito ne ha rilevato l’inammissibilità.

3. – Motivi relativi alla domanda contenziosa di nullità della trascrizione del matrimonio concordatario. Il quarto ed il quinto motivo, che possono essere trattati congiuntamente per la loro intima connessione, sono fondati.

3.1. – I requisiti di legittimità della trascrizione tardiva.

3.1.1. – Si è sopra ricordato l’art. 8 dell’Accordo di cui alla L. 25 marzo 1985, n. 121, il quale prevede che la trascrizione del matrimonio concordatario “può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro”: ciò, in omaggio alla configurazione dell’acquisto dello status coniugale civile come diritto individuale personalissimo, che richiede comunque il concorso volontaristico del soggetto.

Non è stata sostituita la legge matrimoniale del 1929 pur dopo l’accordo del 1984, nè è stata dettata una disciplina di dettaglio in ordine al procedimento per la richiesta unilaterale e per l’accertamento della effettiva volontà del coniuge defunto.

Dal sistema normativo emerge che la domanda di trascrizione quest’ultima avente effetti costitutivi e non meramente ricognitivi dello status (Cass. 12 luglio 2002, n. 10141) – è un atto giuridico autonomo, del quale devono sussistere i requisiti del codice civile: tra i quali, anzitutto, la capacità e la volontà dei nubendi di vincolarsi anche sul piano civile, con quella richiesta essi esprimendo (anche tacitamente, ove ne sussista la prova) il loro consenso all’atto.

La nuova disposizione dell’art. 8 distingue nettamente le due ipotesi della trascrizione richiesta tempestivamente, cioè entro cinque giorni dalla celebrazione del matrimonio, da quella richiesta posteriormente, in tal modo mostrando che la volontà di celebrare il matrimonio è distinta da quella volta alla sua trascrizione per farne derivare gli effetti civili.

Se, invero, quest’ultima viene reputata implicita negli adempimenti che accompagnano la celebrazione del rito religioso (preventiva pubblicazione nella casa comunale, lettura degli articoli del codice civile, redazione del matrimonio in doppio originale) allorchè la trascrizione sia effettuata entro i cinque giorni, non così quando quella richiesta pervenga oltre detto termine.

Nel secondo caso, invero, il legislatore non ha più ritenuto presunta la volontà dei coniugi di ottenere gli effetti civili, ma ha richiesto una nuova manifestazione di volontà, costituita dall’apposita richiesta di trascrizione, presentata dai due contraenti o anche da uno solo, ma con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro: la conoscenza e la non opposizione prevista dall’art. 8 di tale legge vale a garantire che gli effetti civili inizialmente non voluti si colleghino al volere di entrambi i coniugi (cfr., in tal senso, Cass. 6 febbraio 1997, n. 1112, nonchè Cass. 4 maggio 2010, n. 10734).

Orbene, come emerge dalla stessa successione delle parole e secondo il significato proprio di esse, la conoscenza o la non opposizione del coniuge non richiedente, quanto agli effetti civili del matrimonio concordatario, è riferita dall’art. 8 cit. alla “richiesta… di uno di essi”: richiesta che costituisce l’atto giuridico, in ordine al quale è necessario accertare concorrente la libertà e volontarietà anche da parte dell’altro coniuge non richiedente, in presenza della volontà di uno solo espressa con la domanda di trascrizione di un matrimonio concordatario non trascritto entro il quinto giorno dalla sua celebrazione.

Questa Corte, ha già avuto modo di precisare, con orientamento qui condiviso, che “il requisito della “conoscenza” dell’istanza e della “non opposizione” alla medesima da parte dell’altro coniuge… postula lo specifico riferimento all’istanza stessa di siffatta forma di adesione” (Cass. 6 febbraio 1997, n. 1112 e 24 marzo 1994, n. 2893, le quali reputano il requisito non integrato dalla dichiarazione, resa dagli sposi in occasione della celebrazione, di consentire la trascrizione) e che la norma richiede la verifica “della esistenza della volontà attuale, espressa o almeno tacita, di entrambi i coniugi, a che sia dato corso alla trascrizione”, senza nessuna “presumibilità del consenso”, esigendo invece la L. n. 121 del 1985, art. 8, “un consenso espresso o tacito di entrambi i contraenti, al momento della domanda di trascrizione” (Cass. 12 luglio 2002, n. 10141, la quale trae ciò dal raffronto fra la normativa del 1929 e quella attualmente vigente, una volta decorsi i cinque giorni dalla celebrazione del matrimonio senza che ne sia stata richiesta la trascrizione; così anche Cass. 4 maggio 2010, n. 10734, che parla di “svolta in favore dell’inquadramento volontaristico degli effetti civili del matrimonio canonico attuata in sede di revisione del Concordato”).

La trascrizione tardiva nei registri dello stato civile di un matrimonio canonico postula, dunque, l’intenzione attuale degli sposi di richiederla e di vincolarsi anche sul piano civile: ciò, al momento della richiesta tardiva.

Onde ciò che rileva non è il consenso generico alla trascrizione, ma quello relativo ad una determinata richiesta di trascrizione avanzata all’ufficiale di stato civile.

E’ sottesa all’orientamento ricordato la considerazione che, come l’atto di celebrazione del matrimonio civile, così anche la trascrizione del matrimonio religioso abbia natura di actus legitimus, che non ammette termini o condizioni, nè si dà un consenso “ora per allora”, essendo al contrario richiesta la volontà attuale, ed, ancor prima, l’assenza di ogni condizione di incapacità di intendere o di volere.

Il consenso espresso o tacito, in definitiva, va specificamente accertato come sussistente non al momento del matrimonio, o in quello dell’atto amministrativo di trascrizione o di rifiuto della stessa posto in essere dall’ufficiale di stato civile, o del ricorso di volontaria giurisdizione avverso l’eventuale rifiuto, o, infine, della decisione assunta al riguardo dal giudice: ma, appunto, il consenso deve sussistere nel momento in cui uno solo dei coniugi presenti all’ufficiale di stato civile la richiesta di trascrizione tardiva.

3.1.2. – Resta la questione se nelle ipotesi, come quella di specie, in cui la richiesta sia stata formulata da un solo coniuge che assuma il consenso dell’altro, vivente a tale momento ma deceduto quando la trascrizione venne eseguita, il decesso renda sempre impossibile la trascrizione chiesta prima, ma eseguita post mortem, in virtù del principio della revocabilità in ogni momento di quel consenso, revoca per definizione impossibile nel caso menzionato. Non vi sono precedenti in termini (Cass. 4 maggio 2010, n. 10734 riguarda il caso della richiesta stessa di uno dei coniugi effettuata dopo la morte dell’altro).

Secondo un orientamento, in tal caso va esclusa la trascrivibilità del matrimonio, che avverrebbe post mortem, sebbene la richiesta fosse stata presentata allorchè il coniuge era in vita: ciò, sulla base del principio della libertà e pienezza del consenso, dunque della sua revocabilità, anche in ordine alla trascrizione, che dovrebbe permanere sino al momento in cui essa venga materialmente eseguita; la trascrizione post mortem sarebbe illegittima, in quanto non rispetta l’ipotetica possibilità del soggetto di revocare la propria manifestazione di volontà. La tesi argomenta dal fatto che l’elemento centrale, su cui ruota la fattispecie dell’art. 8, è il consenso, onde non si potrebbe attribuire valore giuridico non soltanto alla dichiarazione manifestata in vita dal coniuge premorto in un atto separato (ad es. donazione, testamento), ma neppure al consenso alla trascrizione espresso in occasione dell’istanza di trascrizione tardiva, che non preserverebbe il requisito dell’attualità e della reale volontà del coniuge, la c.d. renovatio volitiva finalizzata alla trascrizione, onde resta inammissibile la dichiarazione de futuro.

All’opposto, altra tesi, talora seguita dai giudici di merito, osserva che il consenso manifestato (ovviamente, ove oggetto di adeguata prova) in vita dal coniuge, poi deceduto, permette la valida trascrizione su domanda del solo coniuge superstite. Si aggiunge che, altrimenti, dovrebbe poi coerentemente tutelarsi la libertà del consenso anche, ad esempio, nel tempo che va tra la richiesta di trascrizione (in ipotesi, ad opera di entrambi) ed il venir meno del soggetto, ove l’evento sia anteriore all’esecuzione della trascrizione; inoltre, in ipotesi di trascrizione tempestiva entro i cinque giorni, è indubbia l’irrilevanza dell’evento avvenuto dopo la celebrazione.

Ed, in effetti, sostenere quanto ora esposto finirebbe per introdurre una “presunzione a contrario”: sarebbe come dire che, in presenza della prova di una volontà favorevole o della non opposizione alla trascrizione al momento della richiesta, il non essere più il coniuge in vita al momento della effettiva trascrizione varrebbe ad integrare una presunzione iuris et de iure che, se egli non fosse deceduto, vi si sarebbe senz’altro opposto. In tal modo, inoltre, si trasferirebbe sulle parti l’alea del tempo amministrativo richiesto per la trascrizione.

In conclusione, convince l’interpretazione secondo cui la conoscenza e la non opposizione debbano essere verificate come risalenti al momento della richiesta di trascrizione, sulla base della volontà in concreto manifestata dal soggetto a tale momento.

3.2. – L’impugnativa in sede contenziosa. Secondo la L. n. 847 del 1929, art. 16, la trascrizione del matrimonio può essere impugnata per una delle cause menzionate nell’art. 12, peraltro non tassative (cfr. Cass. 4 maggio 2010, n. 10734, traendo ciò dalle stesse pronunce del giudice delle leggi che hanno esteso oltre la lettera l’ambito dell’impugnazione: Corte cost. 2 febbraio 1982, n. 16 e 10 marzo 1971, n. 32) e al giudizio “si applicano le disposizioni degli artt. 104,112,113 e 114(ora artt. 117,119,124 e 125) c.c.”.

Si noti, invero, che la legge n. 847 del 1929 è ancora vigente, anche se parzialmente, in quanto alcuni articoli sono stati abrogati dalle nuove disposizioni (come per l’art. 14 che disciplinava la trascrizione tardiva, regolata ora dalla L. 25 marzo 1985, n. 121, art. 8.1, comma 6) e ciò in quanto non fu emanata una nuova legge matrimoniale dopo l’Accordo del 1984.

In particolare, secondo l’art. 117 c.c., la legittimazione attiva spetta ai coniugi, agli ascendenti prossimi, al pubblico ministero ed a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale. L’ampiezza dei legittimati palesa la tutela del principio fondamentale, costituzionalmente garantito, della libertà matrimoniale, in cui rientra anche la trascrizione del matrimonio religioso.

Una volta eseguita la trascrizione, è dunque ammessa l’azione contenziosa, con instaurazione di un giudizio ordinario mediante atto di citazione ex art. 163 c.p.c. e ss., volta all’accertamento della nullità di quella trascrizione, ove eseguita fuori dalle condizioni previste dalla legge: in particolare, ove la trascrizione eseguita tardivamente sia avvenuta senza il rispetto dei requisiti del consenso ora menzionati.

Nel giudizio contenzioso, il P.M. è interveniente necessario, ai sensi dell’art. 70 c.p.c., vertendosi in materia matrimoniale.

La sentenza di annullamento della trascrizione conterrà l’ordine di cancellazione della medesima dai registri dello stato civile.

Nè l’esistenza del decreto di autorizzazione alla trascrizione, assunto in sede di giurisdizione volontaria ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, art. 95 e ss., è preclusiva dell’azione di annullamento dell’atto di trascrizione, esperita in sede contenziosa.

Questa Corte, al pari del giudice delle leggi, reputa compatibile il rito camerale anche con le controversie ove siano coinvolti diritti soggettivi: i diritti suscettibili di essere incisi dal provvedimento reso in camera di consiglio, possono, peraltro, essere adeguatamente tutelati in un momento successivo, nel giudizio a cognizione piena. Non è dunque impedita la successiva cognizione piena sui diritti incisi.

La Corte ha già ritenuto che, anche in presenza di un provvedimento camerale, il giudice del processo civile contenzioso possa verificare se il provvedimento sia stato emesso sul falso ed errato presupposto della sussistenza di una situazione di fatto poi rivelatasi insussistente (Cass. 25 luglio 1972, n. 2546) e che le parti possano dedurre la carenza di presupposti del provvedimento stesso in sede contenziosa, allorchè abbiano ricevuto pregiudizio dall’esecuzione del medesimo (Cass. 7 febbraio 1987 n. 1255, in tema di autorizzazione al curatore di una eredità beneficiata a vendere un immobile).

Nella fattispecie in esame, in sede di giudizio ordinario di cognizione il giudice conosce circa la legittimità della avvenuta trascrizione: e, ove egli sia di contrario avviso rispetto al provvedimento camerale in precedenza assunto avverso il rifiuto dell’ufficiale di stato civile, con la sentenza resa all’esito del giudizio ordinario potrà ordinare la cancellazione della trascrizione stessa.

Si tratta di un’azione autonoma a cognizione piena, che attua il giudizio contenzioso a tutela dei diritti soggettivi investiti dal provvedimento non contenzioso.

Dunque, se il provvedimento camerale era viziato, e sebbene non sia stato impugnato dalle parti del procedimento relativo (uniche legittimate in quella sede), esso può essere sindacato incidentalmente e disapplicato nel corso del giudizio di cui alla L. n. 847 del 1929, art. 16, azione attribuita dal legislatore per la dichiarazione di nullità dell’atto di trascrizione.

In conclusione, va affermato il seguente principio di diritto: “Nell’ipotesi di trascrizione del matrimonio canonico, eseguita dall’ufficiale di stato civile su ordine del tribunale, adito con ricorso di un solo nubendo in sede di procedimento camerale, ai sensi del D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95 e 96, il soggetto che si ritenga leso da tale trascrizione può agire con l’azione ordinaria di cognizione di cui alla L. n. 847 del 1929, art. 16, volta all’accertamento della nullità della trascrizione stessa, allorchè assuma che questa sia avvenuta in mancanza del consenso integro espresso o tacito – dell’altro coniuge, da accertare con riguardo al momento in cui fu formulata la richiesta la trascrizione all’ufficiale di stato civile, in origine disattesa”.

3.3. – La sentenza impugnata. Nella specie, la trascrizione fu richiesta unilateralmente dalla I. all’ufficiale di stato civile in data (OMISSIS).

Dunque, con riguardo a tale data occorreva accertare la sussistenza della conoscenza e non opposizione del coniuge non richiedente.

Tuttavia, la corte del merito ha ritenuto che sussistessero i presupposti della norma per la trascrizione tardiva del matrimonio, argomentando, oltre che dall’esistenza delle pubblicazioni, sulla base del decreto che ordinò la trascrizione, all’esito del procedimento camerale in cui era stata accertata la volontà dei nubendi.

Al riguardo, invece, essa non avrebbe potuto omettere di operare la propria autonoma valutazione circa la sussistenza dei requisiti per la trascrizione dell’atto, nè avrebbe potuto limitarsi a rinviare agli accertamenti compiuti dal tribunale circa la volontà dei coniugi, espressa o tacita, ad ottenere la trascrizione del matrimonio, ma avrebbe dovuto autonomamente istruire la causa al riguardo, sulla base delle istanze probatorie dalle parti tempestivamente proposte.

4. – Motivi concernenti i diritti successori in capo alla ricorrente. I motivi sesto, settimo, ottavo e nono restano assorbiti.

5. – In conclusione, in accoglimento dei motivi quarto e quinto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa innanzi alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale, in applicazione del principio enunciato e sulla base delle risultanze processuali, opererà gli accertamenti indicati con riguardo alla dimostrazione dell’esistenza, integrità e pienezza del consenso del R. alla trascrizione, sussistente al momento e con riguardo alla richiesta unilaterale della I., mediante la prova di dichiarazioni del medesimo tali da esprimere in modo serio ed univoco la consapevolezza e la non opposizione agli effetti civili del matrimonio religioso.

Alla corte del merito si demanda altresì la liquidazione delle spese di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo del ricorso, respinti i motivi primo, secondo e terzo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2018

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