Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5893 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 08/03/2017, (ud. 06/07/2016, dep.08/03/2017),  n. 5893

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28392-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BENFIL SRL in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIALE CAMILLO SABATINI 150, presso

lo studio dell’avvocato ANTONIO CEPPARULO, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANDREA AMATUCCI giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 228/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

PESCARA, depositata il 18/10/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/07/2016 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato URBANI NERI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CUOMO LUIGI che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1) Con provvedimento di diniego, per improcedibilità dell’istanza di parte, del 2006, il Centro Operativo di Pescara dell’Amministrazione Finanziaria ha negato alla società istante il beneficio dell’ulteriore credito di imposta L. n. 388 del 2000, ex art. 7, comma 10 in relazione all’assunzione di nuovi lavoratori.

La società ricorreva alla CTP di Pescara, che rigettava il ricorso.

La CTR dell’Abruzzo, sez. stacc. di Pescara, con la sentenza n.228 del 18/10/2010, riformando la sentenza di primo grado, affermava che le agevolazioni previste dalla L. n. 289 del 2002, art. 63 non costituivano aiuti di Stato alle imprese, ma aiuti destinati a zone a bassa occupazione in favore dei lavoratori svantaggiati, onde non erano soggetti alla regola del c.d. “de minimis”.

Avverso detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate, difesa dall’avvocatura dello Stato, ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

La contribuente ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per difetto di rappresentanza processuale.

Come già rilevato da Cass. 19066/15 e Cass. 12584/16, le agenzie fiscali possono avvalersi, per la rappresentanza in giudizio (D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72) del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato senza la necessità di particolari autorizzazioni (Cass. 24623/06), restando i rapporti tra Direttore dell’Agenzia ed Avvocatura in ambito puramente interno.

Ai sensi del R.D. n. 1611 del 1933, art. 1, comma 2 l’espletamento dell’opera dell’Avvocatura erariale non deve, infatti, essere sorretto da mandato alle liti ovvero da procura speciale (Cass. 10374/08), con disciplina ritenuta costituzionalmente legittima (Cass. 1308/1990).

3) L’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 63, della L. n. 388 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè del L. n. 289 del 2002, art. 62, comma 1.

Censura la statuizione della sentenza della CTR che ha riconosciuto l’ulteriore credito della contribuente, escludendo l’applicabilità al caso di specie della regola c.d. de minimis, che pone agli aiuti di stato in favore delle imprese il limite di Euro 100.000,00 per un triennio.

Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 63, della L. n. 388 del 2000, art. 7 nonchè del Reg. CE 69/01, e del Reg U.E. n. 2204/02.

La complessa censura è fondata.

Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte (Cass n. 21797/2011; Cass. 16178/2014), cui intende senz’altro darsi continuità, non ravvisandosi ragioni per discostarsene, la L. n. 289 del 2002, art. 63, comma 1 nel rinnovare il regime di incentivi alle assunzioni, ha mantenuto esplicitamente ferme, per quanto non diversamente regolato, le disposizioni di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 7.

Tale disposizione, avuto riguardo all’ulteriore credito d’imposta per assunzione di lavoratori disoccupati in aree svantaggiate, testualmente dispone: “All’ulteriore credito d’imposta di cui al presente comma si applica la regola “de minimis”, di cui alla comunicazione della Commissione delle Comunità Europee 96/C68/06, pubblicata nella G.U. delle Comunità Europee C68 del 6 marzo 1996 e ad esso sono cumulabili altri benefici eventualmente concessi ai sensi della predetta comunicazione, purchè non venga superato il limite massimo di Lire 180.000.000 nel triennio”.

Dal quadro normativo suesposto discende che il legislatore nazionale ha inteso riconoscere il beneficio dell'”ulteriore” credito d’imposta in rassegna in misura limitata e non anche in rapporto al numero dei lavoratori effettivamente assunti (Cass. 21797/11).

Nel rinnovare il regime di incentivi alle assunzioni già disposto con la L. n. 388 del 2000, con la L. n. 289 del 2002, art. 63 il legislatore nazionale ha dunque mantenuto ferma la soglia massima posta dalla L. n. 388 del 2000 mediante rinvio al criterio comunitario c.d. “de minimis”, che, nell’ambito dell’ordinamento sopranazionale, fissa nell’importo di Euro 100.000,00 nel triennio, il limite quantitativo al di sotto del quale gli “aiuti di Stato” non incorrono nel divieto di cui all’art. 92 (poi 87) par 1. Trattato C.E..

Tale delimitazione dell’agevolazione rientra nel legittimo esercizio delle facoltà discrezionali del legislatore, essendo certamente consentito limitare la concessione di benefici fiscali entro soglie determinate mediante rinvio a norme di altro ordinamento (segnatamente di quello comunitario).

Esso costituisce dunque un limite “interno”, che deve ritenersi legittimamente adottato dal legislatore nazionale nell’ambito dei propri poteri discrezionali e che non contrasta con la normativa comunitaria. Se infatti la normativa comunitaria pone agli stati membri il divieto di concedere “aiuti di stato” in misura eccedente i limiti posti con la regola “de mininis”, non impedisce certo loro di circoscrivere benefici fiscali entro soglie bene definite (Cass. 20245/13 e Cass. 16178/2014).

Non è dunque ravvisabile in detta materia alcuna incidenza della normativa comunitaria (Regolamento 12.1.2001 n. 69 della Commissione) relativa all’applicazione degli artt. 87 e 88 Trattato CE, sugli aiuti di Stato in favore dell’occupazione, nè del Regolamento n. 2204/2002, atteso che il criterio comunitario c.d. de minimis è stato adottato dal legislatore nazionale, in via di rinvio alla relativa fonte comunitaria, nel legittimo esercizio dei suoi poteri di scelta, quale tetto massimo dell'”ulteriore” credito d’imposta attribuito ai datori di lavoro (Cass. 7361/2012).

Nessun rilievo ha dunque in detta materia il Regolamento CE 2204/2002, invocato dalla controricorrente, atteso che l’esclusione dal cumulo riguarda solo gli “aiuti di Stato” che le norme nazionali abbiano concesso in misura superiore alla regola comunitaria del de minimis, non anche l’ulteriore credito d’imposta che è qui in discussione, legittimamente determinato dal legislatore nazionale, quanto ai suoi limiti, in misura corrispondente a quella regola (Cass. 7361/2012).

La normativa comunitaria invocata non impedisce che il legislatore nazionale circoscriva i benefici fiscali entro soglie predefinite, anche individuate per relationem rispetto a norme dell’ordinamento comunitario (tra le altre, Cass. 12662 del 2012, 20245 del 2013, 21594 del 2015).

In realtà, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, in alcun modo la disciplina del sopravvenuto regolamento CE n. 2204 dei 2002 può ritenersi avere inciso, modificandola, sulla disciplina del credito d’imposta per incremento occupazionale nelle aree svantaggiate di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 7, richiamato dalla L. n. 289 del 2000, art. 63, sottraendola all’applicazione della regola “de minimis”, come in dettaglio dimostra il confronto tra la richiamata normativa interna e le disposizioni del “considerando” n. 27, dell’art. 4 par. 2, dello stesso art. 4 par. 4, lett. a), del medesimo art. 4, par. 4 lett. c), dell’art. 5 par. 2 e dell’art. 7 par. 2 del citato regolamento CE n. 2204 del 2002 (così Cass. Sez. 5, n. 23992/16; 23993/16 che rinviano a Cass. 16735 del 2015).

Non appaiono dunque sussistenti i presupposti per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, chiesto dalla controricorrente nella memoria ex art. 378 c.p.c., ai sensi dell’art. 234, comma 2 e art. 177 ai fini dell’esatta interpretazione del Regolamento CE 2204/2002 e della sua corretta applicazione al caso in esame.

Nel caso di specie la CTR non ha esaminato, sulla base degli atti prodotti, l’eventuale superamento del tetto massimo previsto, mentre non ha alcuna incidenza l’esclusione dal cumulo, prevista dal D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, comma 8, convertito in L. 6 aprile 2007, n. 46, che riguarda solo gli aiuti concessi in misura superiore al suddetto limite e non l’ulteriore credito d’imposta legislativamente determinato in misura ad esso corrispondente.

Nessun rilievo ha sulle norme sovraesposte il D.L. 15 febbraio 2007, n. 10, art. 1, comma 8, convertito in L. 6 aprile 2007, n. 46, secondo cui “sono esclusi dal cumulo per il computo dell’importo massimo fissato per l’applicazione della regola de minimis gli aiuti autorizzati dalla Commissione Europea o rientranti in un regolamento di esenzione per categoria anche se riferiti allo stesso presupposto, qualora la rispettiva normativa non preveda diversamente” atteso che l’esclusione dal “cumulo” riguarda solo gli “aiuti” che le norme nazionali abbiano concesso in misura superiore a detta “regola” comunitaria, non l'”ulteriore credito di imposta” qui in discussione, legislativamente determinato in misura corrispondente a quella “regola” (Cass. Sez. 6 – 5, ordinanza n. 16178 del 15/07/2014; Cass. n. 7361 del 2012; e, in precisi termini, Cass.21605/15).

Resta assorbita ogni altra argomentazione svolta in controricorso.

Mette conto tuttavia respingere la tesi di parte resistente secondo cui l’Avvocatura avrebbe indebitamente mutato in sede di legittimità i profili giuridici dedotti, ditalchè non sarebbe mai sorto l’onere della società contribuente di dimostrare il rispetto delle condizioni per il riconoscimento dell’ulteriore credito di imposta.

Vengono qui in risalto i principi, parzialmente innovativi, emersi con SU n. 2951/16.

In primo luogo è stato ivi chiarito che la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa, ditalchè la Corte di Cassazione in un caso come quello in esame può rilevare che non risulta accertata, secondo l’esatto inquadramento dei profili giuridici che regolano la materia, la esistenza del diritto fatto valere; è per questo motivo che si impone il rinvio al giudice di merito per le considerazioni scaturenti dalle verifiche fattuali eventualmente necessarie e delle conseguenze delle eventuali omissioni in punto di allegazione e prova.

In secondo luogo è stato ribadito, con la medesima sentenza, che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio.

Ora, poichè nella specie l’esito del giudizio è stato capovolto dal giudice di appello secondo un certo inquadramento della tematica, è consentito alla parte soccombente muovere ogni critica opportuna, fondata su profili giuridici anche non precedentemente messi a fuoco, ma coinvolti dalla soluzione contrastata; salvo, come si è detto, qualora i fatti che risultino rilevanti non siano stati accertati dal giudice di merito perchè prima ritenuti non rilevanti, il prudente apprezzamento del giudice di rinvio circa gli oneri e le facoltà delle parti, che siano consentiti da rilievi di ufficio o tardive contestazioni.

Va, conseguentemente accolto il ricorso, nei limiti indicati; l’impugnata sentenza deve essere cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo sezione di Pescara, in diversa composizione, che si pronuncerà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo sezione di Pescara che si pronuncerà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione tributaria, il 6 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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