Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5892 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 03/03/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 03/03/2020), n.5892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18732/2014 proposto da:

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio degli avvocati PAOLO BOER e ALBERTO

BOER, che lo rappresentano e difendono unitamente, nonchè da sè

medesimo avvocato C.R.;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati

ELISABETTA LANZETTA, SEBASTIANO CARUSO, CHERUBINA CIRIELLO,

GIUSEPPINA GIANNICO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 455/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 21/02/2014 R.G.N. 4313/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza in data 12-21 febbraio 2014 n. 455 la Corte d’Appello di Lecce confermava sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva accolto la opposizione proposta dall’INPS avverso il decreto ingiuntivo notificato da C.R., già avvocato dipendente dell’Ente, per il pagamento delle differenze sul trattamento di fine servizio derivanti dall’inclusione nella base di computo, per quanto ancora in discussione, della indennità percepita come coordinatore dell’ufficio legale.

2. La Corte territoriale richiamava il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto n. 7154/2010.

3. Osservava che una volta abrogato dalla L. n. 70 del 1975, l’art. 5 del regolamento dell’INPS del 12.6.1970 – alla stregua del quale erano computabili nel trattamento di fine servizio anche le voci fisse e continuative diverse dallo stipendio in senso stretto – la disciplina del trattamento di fine servizio per i dipendenti che non avevano optato per il TFR era quella dettata dalla L. n. 70 del 1975, art. 13, norma inderogabile.

4. Le norme contrattuali successive che avevano previsto come computabili nel TFR alcune indennità fisse e continuative, tra le quali la indennità di coordinamento, non erano applicabili ai dipendenti in regime di TFS.

5. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza C.R., articolato in un unico motivo, cui l’INPS ha opposto difese con controricorso.

6. Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo la parte ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 70 del 1975, art. 13; D.P.R. 26 maggio 1976, n. 411, art. 29; L. n. 335 del 1995, art. 2, commi da 5 a 7; D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, art. 40, comma 2 e art. 45; art. 83, comma 1 e art. 85, comma 3, CCNL 30 luglio 1996 per i dirigenti ed i professionisti degli enti pubblici non economici (in prosieguo: CCNL 1996).

2. Ha esposto di avere percepito dal 28 novembre 2000 alla cessazione dal servizio l’indennità di coordinamento, considerata utile ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza dall’art. 85, comma 3, CCNL dirigenti e professionisti del comparto enti pubblici non economici dell’11.10.1996.

3. L’Istituto aveva dedotto che la previsione del suddetto art. 85 CCNL si riferiva unicamente agli incarichi di coordinamento conferiti all’esito di procedure selettive (ai sensi dell’art. 72 del medesimo CCNL) laddove nella fattispecie di causa l’incarico era stato attribuito con due successivi provvedimenti del direttore generale (n. 2363421/2000 e n. 6467/2005), in assenza di procedure selettive.

4. La Corte territoriale aveva seguito un diverso percorso motivazionale, assumendo la inderogabilità assoluta della L. n. 70 del 1975, art. 13. Tuttavia l’arresto delle Sezioni Unite n. 7154/2010, richiamato nella sentenza impugnata, aveva affermato detta inderogabilità soltanto da parte dei regolamenti aziendali e non anche ad opera della contrattazione collettiva.

5. In ogni caso, le Sezioni Unite avevano negato la computabilità ai fini della indennità di buonuscita delle competenze diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari; l’indennità di coordinamento rientrava tra le suddette componenti retributive similari, in quanto faceva parte della retribuzione fondamentale ed era determinata in percentuale dello stipendio.

6. Il ricorso è infondato.

7. Per una puntale ricostruzione della disciplina del trattamento di quiescenza nel rapporto di impiego pubblico, giova ricordare che in origine la disciplina legale del trattamento di fine servizio dei pubblici dipendenti era costituita esclusivamente: dal D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 (Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato), che prevedeva una “indennità di buonuscita” – o “trattamento di fine servizio” – per i dipendenti del comparto statale e dalla L. 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali), che riconosceva una “indennità premio di servizio” ai dipendenti del comparto enti locali. Per il personale del cd. parastato la L. 20 marzo 1975, n. 70, ha successivamente previsto l'”indennità di anzianità”, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio del dipendente.

8. Le Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del 25 marzo 2010 n. 7154 – i cui principi sono stati ribaditi con la pronuncia in pari data n. 7158 (e successivamente applicati, con la sentenza 14/05/2014, n. 10413 in relazione alla indennità di buonuscita dei dipendenti dello Stato) – hanno affermato che la L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto rimasta in vigore, dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego (per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’art. 2120 c.c.), non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti.

9. Il riferimento contenuto nel suddetto art. 13, quale base di calcolo, allo “stipendio complessivo annuo” ha valenza tecnico-giuridica, sicchè deve ritenersi esclusa la computabilità nella indennità di anzianità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari e devono ritenersi abrogate, illegittime e comunque non applicabili, le disposizioni dei regolamenti – come quello dell’Inps – che prevedevano il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza, comunque denominato.

10. Nella pronuncia delle Sezioni Unite la questione esaminata verteva sul rapporto tra la disciplina della L. n. 70 del 1975, art. 13, ed i regolamenti dei singoli enti del parastato.

11. La parte qui ricorrente sostiene che la contrattazione collettiva sarebbe invece abilitata a derogarvi, sulla base delle previsioni del TU165/2001 e delle specifiche disposizioni per il passaggio dei dipendenti pubblici al regime del TFR.

12. Questa Corte ha già affermato, in riferimento alla indennità di buonuscita dei dipendenti statali, che attesa la inderogabilità della normativa previdenziale, nel cui ambito rientra l’indennità di buonuscita, deve escludersi che l’autonomia individuale o collettiva, in difetto di specifiche disposizioni in tal senso e dato il non equivoco tenore letterale del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, possa introdurre specifiche modificazioni alla relativa disciplina legale; quindi, in particolare, la contrattazione collettiva non può interferire in ordine all’inclusione di ulteriori elementi retributivi nella base di computo della indennità di buonuscita (in termini, Cass. sez. lav. 17 ottobre 2017 n. 24454 e giurisprudenza ivi citata).

13. Il principio di inderogabilità della normativa legale da parte della contrattazione collettiva si estende, altresì, al regime della indennità di anzianità dei dipendenti del parastato.

14. Ed invero le fonti richiamate in ricorso non abilitano la autonomia collettiva ad intervenire sulla disciplina della indennità di anzianità, non diversamente da quanto già affermato dalla Sezioni Unite con specifico riguardo alla autonomia regolamentare degli enti pubblici.

15. La L. n. 335 del 1995, art. 2, nei commi da 5 a 7, demandava alla contrattazione collettiva le modalità per il passaggio del rapporto di lavoro pubblico privatizzato al regime del TFR di cui all’art. 2120 c.c., anche nei confronti dei lavoratori già occupati alla data del 31 dicembre 1995 (termine poi differito al 31.12.2000 dal D.P.C.M. 20 dicembre 1999 e s.m.i.); non abilitava, invece, le parti collettive a derogare alle disposizioni legislative sul trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici (comunque denominato) rimaste in vigore.

16. La legittimazione della autonomia collettiva a derogare alle disposizioni della L. n. 70 del 1975, art. 13, neppure può trovare sostegno nel D.Lgs. n. 165 del 2001.

17. Per il trattamento di fine rapporto non deve aversi riguardo alla generale disciplina di cui agli artt. 2 e 45 del suddetto Testo Unico (a tenore dei quali la definizione del trattamento economico è rimessa alla contrattazione collettiva) ma alla specifica disposizione dell’art. 69, comma 2 (che riproduce quanto già disposto dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 72, comma 3), a tenore del quale:

“In attesa di una nuova regolamentazione contrattuale della materia, resta ferma per i dipendenti di cui all’art. 2, comma 2, la disciplina vigente in materia di trattamento di fine rapporto”.

18. Alla contrattazione collettiva era dunque rimesso un intervento di sistema per la disciplina del trattamento di fine rapporto, nei fatti avvenuto soltanto con l’accordo quadro 29 luglio 1999 (i cui contenuti sono stati poi recepiti dal D.P.C.M. 20 dicembre 1999).

19.In sostanza, la norma del T.U. n. 165 del 2001, art. 69, ha escluso la possibilità di interventi di settore e per singole voci in favore di un intervento contrattuale organico, in attesa del quale la disciplina in vigore restava “ferma” ovvero inderogabile.

20. Alla luce della ricostruzione sin qui compiuta deve affermarsi la correttezza della interpretazione del giudice dell’appello, secondo la quale la base di computo della indennità di anzianità fissata dalla L. 20 marzo 1975, n. 70, art. 13, per i dipendenti degli enti pubblici del cd. parastato – rimasta in vigore pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego per i dipendenti in servizio alla data del 31.12.1995 che non abbiano optato per il TFR – non è derogabile dai contratti collettivi di comparto, neppure in senso più favorevole ai dipendenti.

21. Non giova, da ultimo, alla tesi di parte ricorrente il principio, pure enunciato nell’arresto di SU n. 7154/2010, secondo cui ai fini della indennità di anzianità sono assimilabili alla voce stipendiale di base le integrazioni retributive correlate alla anzianità del dipendente, principio che fa riferimento agli scatti di anzianità ed ai passaggi di classe stipendiale (Cass. SU n. 7154/2010 par. 12).

22. Ne consegue il rigetto del ricorso.

23. Le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

24. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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