Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5890 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5890 Anno 2014
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 822-2008 proposto da:
BANCA

CARINE

in

S.P.A.,

del

persona

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA A. BERTOLONI 31, presso lo studio
dell’avvocato PULSONI FABIO, rappresentata e difesa
dall’avvocato FUSARO MAURO
2014

tgrUULA VINCENZO), giusta

delega in atti;
– ricorrente–

257

contro

CACCIAPAGLIA

FRANCESCO

domiciliato in ROMA,

C.F.

CCCFNC54A091330T,

PIAZZA CAVOUR,

presso LA

Data pubblicazione: 13/03/2014

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato POLITO GIUSEPPE,
giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 1090/2006 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/01/2014 dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PAGETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in subordine rigetto.

di BARI, depositata il 27/12/2006 R.G.N. 84/2005;

Fatto e diritto
Francesco Cacciapaglia, dipendente con il grado di quadro della Banca Carime s.p.a.,
premesso di essere stato promosso in data 27 aprile 1999 vicedirettore della filiale di
– Putignano della Cassa di Risparmio di Puglia poi confluita in Carime s.p.a, che tale filiale
era classificata come dipendenza di fascia B, che per le dipendenze di fascia B il

minimo di funzionario di seconda classe, che le parti collettive avevano convenuto di
sospendere la disciplina dei gradi minimi sino al 31 dicembre 1997 al fine di consentire la
riorganizzazione delle Casse di Risparmio confluite nella Banca Carime s.p.a., che
decorso tale termine la disciplina dei gradi minimi doveva considerarsi non più sospesa
conseguendone il diritto all’inquadramento previsto per il vicedirettore di dipendenza di
fascia B, adiva il giudice del lavoro chiedendo dichiararsi, ai sensi dei contratti aziendali
stipulati tra la Cassa di Risparmio di Puglia e le organizzazioni sindacali, la cui vigenza
nella parte relativa alle qualifiche minime del personale di filiale si era protratta anche in
seno alla Caripuglia s.p.a. ed alla Carime s.p.a, il diritto alla qualifica di funzionario di
seconda classe a far tempo dalla nomina a vicedirettore e la condanna della convenuta
ad adibirlo a mansioni adeguate alla superiore qualifica, alla ricostruzione della carriera e
alle differenze retributive maturate e maturande a decorrere dal 27.4.1999 , oltre
accessori.
Il Tribunale accoglieva la domanda. La decisione era confermata dalla Corte di appello di
Bari che, rilevato il giudicato formatosi sulla statuizione di rigetto dell’ eccezione di
nullità del ricorso di primo grado, respingeva l’impugnazione della società datrice.
Premetteva il giudice di appello che la sospensione fino al 31 dicembre 1997 della
disciplina dei gradi minimi era stata prevista dall’accordo in data 29.novembre 1996 tra
le organizzazioni sindacali e la Caripuglia s.p.a. – nuova denominazione della Cassa di
Risparmio di Puglia – e nasceva dalla situazione di grave difficoltà della Caripuglia e dalla
conseguente necessità di procedere ad una riorganizzazione dell’istituto rispetto alla
quale l’automatico riconoscimento dei gradi minimi avrebbe costituito un impegno
economico insostenibile, pregiudizievole per qualsiasi piano organizzativo; le parti
i

contratto integrativo del 1998 e quello del 1999 prevedevano per il vicedirettore il grado

contrattuali in adempimento di specifica previsione dell’accordo del novembre 1996 si
erano incontrate prima della scadenza del periodo di sospensione senza tuttavia
pervenire ad una rideterminazione della materia alla luce della programmata
riorganizzazione dell’istituto; il 20 dicembre 1997 le tre Casse di Risparmio meridionali,
in procinto di confluire nella costituenda società Carime, si erano impegnate ad
incontrarsi successivamente per definire, entro il 30 aprile 1998, una nuova disciplina dei

28.2.1998, era intervenuto un accordo quadro, avente natura meramente programmatica
con il quale si ipotizzava la eliminazione della categoria dei funzionari e la confluenza dei
soggetti dotati di tale qualifica nella nuova figura dei quadri direttivi. Successivamente, in
data 4 agosto 2000 veniva stipulato un accordo tra la Carime s.p.a e le organizzazioni
sindacali con il quale si faceva luogo, con decorrenza dal precedente 1 luglio, alla
abolizione effettiva della qualifica di funzionario e alla istituzione della figura
professionale del quadro direttivo. Sulla scorta di tale ricostruzione il giudice di appello
escludeva che vi fosse stata proroga oltre la data del 31 dicembre 1997 del periodo di
sospensione della disciplina dei gradi minimi da ritenersi, pertanto, vigente all’atto della
nomina del Cacciapaglia a vicedirettore della filiale di Putignano; il venir meno, nelle
more, della qualifica di funzionario di seconda classe per effetto dell’Accordo
dell’agosto 2000 non costituiva ostacolo alla eseguibilità della sentenza di primo grado,
come eccepito dalla società, posto che il conferimento della qualifica di funzionario di
seconda categoria a partire dal 27 aprile 1999, meramente virtuale dal punto di vista
nominalistico, consentiva comunque la ricostruzione del relativo trattamento economico,
fermo restando che con l’entrata in vigore dell’accordo che prevedeva la confluenza dei
funzionari nella categoria dei quadri direttivi, anche il Cacciapaglia doveva considerarsi
destinatario di tale nuova denominazione e del relativo trattamento economico.
Per la cassazione della decisione propone ricorso la Banca Carime s.p.a. sulla base di
..

quattro motivi. L’intimato resiste con controricorso.
Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione
degli artt. 112, 132 co. 2 n. 4 cod. proc. civ. denunziando la omessa pronuncia sul
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gradi minimi in armonia con la riorganizzazione aziendale in atto. In seguito, in data

motivo di impugnazione avverso la statuizione di rigetto delle eccezioni di nullità
dell’atto introduttivo formulata dalla società. Richiama e in parte riproduce le parti del
ricorso in appello nelle quali erano state riproposte, al contrario di quanto affermato
nella sentenza impugnata, le eccezioni di nullità del ricorso di primo grado. Con il
secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e sgg. cod.
civ. e degli Accordi sindacali 29 novembre 1996, 20 dicembre 1997 tra la società datrice e

dei canoni di ermeneutica e per vizi di motivazione nonché violazione dell’art. 116 cod.
proc. civ. . Sostiene che l’interpretazione dell’art. 12 dell’Accordo 20 dicembre 1997
accolta nella sentenza impugnata si pone in contrasto con il tenore letterale della
previsione, con le altre disposizioni contenute nell’Accordo e omette di ricercare la
comune volontà delle parti collettive. Sottolinea, inoltre, la incompatibilità tra le
disposizioni dell’Accordo 28. dicembre 1997 e la ritenuta reviviscenza della precedente
disciplina in tema di gradi minimi. Afferma che il perdurare delle condizioni e dei
presupposti che avevano indotto le parti a sospendere la disciplina dei gradi minimi
rendeva verosimile, in assenza di espressa dichiarazioni contraria delle parti collettive, il
perdurare della sospensione. Lamenta quindi la mancata ammissione della prova orale
intesa a ricercare la comune volontà delle parti stipulanti gli accordi richiamati. Con il
terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli arti. 1362, 1363 e
sgg. cod. civ. e degli Accordi sindacali 29 novembre 1996, 20 dicembre 1997 e
dell’Accordo quadro del 28 febbraio 1998 nonché omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo .Deduce violazione dell’art. 1363
cod. civ. censurando la decisione per non avere tenuto conto dello stretto nesso tra la
sospensione della disciplina dei gradi minimi e i mutamenti organizzativi resi necessari
per fronteggiare lo stato di crisi della società. Rappresenta a riguardo che prima della
cessione del ramo di azienda, il contratto integrativo aziendale aveva previsto una
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classificazione delle dipendenze in ragione delle caratteristiche organizzative, produttive
e gestionali e che in relazione a queste ultime al preposto era attribuito il cd. grado
minimo. Con il quarto motivo deduce omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione in ordine a fatto controverso e decisivo con riferimento alla efficacia degli
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le organizzazioni sindacali nonché dell’Accordo quadro 28 febbraio 1998, per violazione

Accordi sindacali del 29 novembre 1996, del 20 dicembre 1997 e dell’Accordo 28
febbraio 1998. Censura l’affermazione relativa alla circostanza che solo con decorrenza
dal luglio 2000 era stata soppressa la categoria dei funzionari.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile. Parte ricorrente nel dedurre che a differenza
di quanto ritenuto dal giudice di appello, la statuizione di rigetto dell’eccezione di nullità

società appellante, prospetta in realtà non un vizio di omessa pronunzia bensì un vizio
revocatorio in quanto al giudice di appello è addebitato un errore di percezione e non di
valutazione del fatto processuale. L’errore denunziato doveva pertanto essere fatto valere
con lo specifico mezzo specifico mezzo di cui all’art. 395 comma primo n. 4 cod. proc.
civ. e non con il ricorso per cassazione (v. Cass. n. 2755 del 2011).
Il secondo e il terzo motivo., in quanto entrambi attenenti alla interpretazione delle
pattuizioni collettive di cui agli Accordi richiamati, vanno esaminati i congiuntamente.
Essi sono infondati. In primo luogo parte ricorrente, in violazione del disposto dell’art.
366 cod. proc. civ., non indica la sede processuale di merito nella quale risultano prodotti
gli accordi della cui interpretazione si duole . La deduzione di violazione dei criteri legali
di interpretazione, inoltre, non individua alcuno concreto specifico errore del giudicante
frutto della dedotta inosservanza delle regole ermeneutiche di interpretazione dei
contratti ma si limita a contrapporre alla interpretazione della Corte territoriale una
diversa interpretazione, favorevole alla società. Occorre considerare che la sentenza
impugnata non limita la indagine al solo dato letterale rappresentato dalla chiara ed
espressa previsione, nell’Accordo del 1996, della sospensione della disciplina dei gradi
minimi fino al 31 dicembre 1997, ma considera le successive intese intervenute tra la
società e le organizzazioni sindacali pervenendo alla conclusione che la sospensione della
disciplina dei gradi minimi non era mai stata prorogata oltre la data originariamente
prevista; richiama inoltre, a ulteriore conferma di tale interpretazione, l’accordo
dell’agosto 2000 con il quale era stata abolita la qualifica di funzionario ed era stata
istituita la figura professionale del quadro direttivo, inferendone che il mantenimento
della categoria dei funzionari implicava la reviviscenza della disciplina dei gradi minimi ,
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del ricorso di primo grado, era stata investita con specifico motivo di gravame dalla

cessato il periodo di sospensione. Questa ricostruzione non risulta inficiata dalla diversa
interpretazione propugnata dall’odierna ricorrente incentrata sulla necessità di porre in
relazione la riorganizzazione in atto presso la società datrice con il perdurare della
sospensione della disciplina dei gradi minimi che costituisce solo una delle possibili
interpretazioni delle pattuizioni collettive in oggetto. Secondo il consolidato
orientamento di questa Corte “L’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia

legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per
vizi di motivazione, qualora la stessa risulti contraria a logica o incongrua, cioè tale da
non consentire il controllo del procedimento logico seguito per giungere alla decisione.
Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici, non è peraltro sufficiente
l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione
dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni
attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonchè, in ossequio al principio di
specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della
regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorchè la
sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto,
qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il
ricorrente pretenda di attribuire. La denuncia del vizio di motivazione dev’essere invece
effettuata mediante la precisa indicazione delle lacune argomentative, ovvero delle
illogicità consistenti nell’attribuzione agli elementi di giudizio di un significato estraneo al
senso comune, oppure con l’indicazione dei punti inficiati da mancanza di coerenza
logica, e cioè connotati da un’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti, sempre
che questi vizi emergano appunto dal ragionamento logico svolto dal giudice di merito,
quale risulta dalla sentenza. In ogni caso, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è
necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in
astratto, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è
consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in
sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra” ( Cass. n. 4178 del 2007)
Le deduzioni di parte ricorrente in quanto non rispettose delle indicazioni della
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privata costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di

giurisprudenza di legittimità, risultano pertanto inidonee a censurare la decisione con
riferimento alla interpretazione della disciplina collettiva in tema di sospensione dei gradi
minimi.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile . In primo luogo esso non indica, in
violazione del disposto dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. , la sede processuale in cui risulta

prescritta a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis cod. proc. civ. , applicabile

ratione

temporis, per essere la sentenza impugnata stata depositata in data 27 dicembre 2006.

Consegue il rigetto del ricorso e la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese,
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la Banca Carime s.p.a. alla rifusione al
controricorrente delle spese che liquida in C 3500,00 per compensi professionali e in C
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Roma, 22 gennaio 2014

prodotto il documento richiamato ; in secondo luogo esso non è concluso dalla sintesi

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