Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5887 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 04/03/2021), n.5887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25700-2018 proposto da:

BANCA POPOLARE DI BARI SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI, in persona

del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO BALESTRAZZI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTA PIACENTE;

– ricorrente –

contro

CANTINE C. DI C.A.M., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARNABA TORTOLINI 30, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO

PLACIDI, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONIO LEONARDO

DERAMO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1440/2018 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 21/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO

ANGELO DOLMETTA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Nel febbraio 2006, la ditta Cantine C. di C. Antonio Michele ha convenuto avanti al Tribunale di Bari la società a cooperativa per azioni Banca Popolare di Bari, per chiedere l’accertamento della nullità di una serie di clausole attinenti a un rapporto di conto corrente in precedenza corso tra le parti, e chiuso nel dicembre 2002, con restituzione delle somme dalla Banca indebitamente percepite.

Il Tribunale, accertata la nullità di talune clausole, ha respinto la domanda restitutoria, rilevando, in particolare, che le “domande proposte dalla parte attrice scontano un indubbio deficit di allegazione e prova”, avendo la stessa “omesso di allegare al proprio fascicolo gli estratti conto dal 1983 (ossia dall’inizio del rapporto) a tutto l’anno 1990”.

2.- Avverso questa pronuncia la ditta Cantine C. ha proposto impugnazione avanti alla Corte di Appello di Bari.

Questa, con sentenza depositata il 21 agosto 2018, ha accolto l’appello e ha condannato la Banca alla restituzione delle somme indebitamente percepite “a decorrere dal primo gennaio 1991 e sino al 21 dicembre 2012”, data di estinzione del rapporto.

3.- Per quanto qui ancora in interesse, la Corte territoriale ha rilevato che la produzione, da parte del correntista, degli estratti conto limitatamente al periodo dal gennaio 1991 alla chiusura del conto non può essere assunto come fattore “impeditivo dell’accertamento del saldo e della ripetizione dell’eventuale indebito, limitatamente al periodo per il quale è stata allegata la necessaria documentazione contabile”.

“La lacuna iniziale” – si è argomentato – “penalizza l’attore in ripetizione, non la Banca che a tale azione resiste, allorquando la ricostruzione contabile parte, come nella fattispecie, dal saldo negativo per il correntista registrato dalla banca”. Quest’ultima non può contestare il saldo negativo che essa stessa ha annotato, nel senso che, “ove fosse stata disponibile la documentazione relativa al periodo precedente”, il rilievo dell’eventuale applicazione di clausole (accertate come) nulle “avrebbe potuto comportare un saldo meno negativo o addirittura un saldo positivo per il cliente, giammai un saldo maggiormente negativo per lo stesso”.

“In ogni caso, a fronte di una posta contabile da essa stessa elaborata, la Banca, ove avesse voluto revocarne in dubbio la correttezza e congruenza, avrebbe dovuto essa fornire prova a riguardo, nella fattispecie del tutto mancata”.

E’ “sempre consentito alla parte chiedere meno di quello cui ha diritto” – si è pure aggiunto, con ulteriore rilievo -, “comportando l’opzione riduttiva del correntista uno svantaggio per quest’ultimo e un vantaggio per la controparte”; sì che non vi è ragione per cui il correntista non possa delimitare il raggio della propria richiesta facendola “partire non dalla data iniziale del rapporto, ma da una data successiva”.

4.- A fronte dell’eccezione mossa dalla Banca, di intervenuta prescrizione dell’azione di ripetizione mossa dal correntista, poi, la Corte di Appello ha osservato, prima di tutto, che nella specie si tratta di prescrizione decennale e non già quinquennale, come sostenuto dalla Banca, atteso che la fattispecie concreta attiene “ad azione per la restituzione di interessi indebitamente corrisposti, ex art. 2033 c.c., non ad azione diretta a ottenere il pagamento di interessi non corrisposti”.

Ha rilevato, in prosieguo, che l’eccezione è stata proposta in termini generici, senza indicare se e in quale misura alcuni pagamenti potessero rivestire carattere solutorio, ai fini dell’accertamento dell’eventuale intervenuta prescrizione”.

D’altronde – si è in via ulteriore proseguito – “la Cantine C. ha fatto espresso riferimento a contratti di apertura di credito con scoperto di conto corrente, sin dalla citazione introduttiva, senza che al riguardo la Banca Popolare di Bari abbia contestato ed eccepito alcunchè”, avendo essa prodotto, anzi, delle lettere attestative delle aperture di credito in conto corrente in essere. Solo nella comparsa conclusionale, peraltro, la Banca ha messo in dubbio la concessione di aperture di credito a favore del correntista: trattasi, in ogni caso, di “asserzione nuova e non consentita”.

5.- Avverso questa decisione, la Banca Popolare di Bari presenta ricorso, affidato a due motivi di cassazione.

La ditta Cantine C. resiste con controricorso.

6.- Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

7.- Col primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della norma dell’art. 2697 c.c..

E’ onere del correntista – così si sostiene – provare le indebite percezioni che assume abbia compiuto la Banca. Quest’ultima “non ha spiegato alcuna domanda in via riconvenzionale, ragion per cui l’onere della prova grava integralmente e unicamente sulla parte attrice”. “Tale onere probatorio, tuttavia, nella specie, è rimasto inadempiuto, in quanto controparte non ha provveduto ad esibire nei termini processuali gli estratti conto integrali relativi ai rapporti in contestazione”.

Di conseguenza – così si incalza – la Corte barese ha consentito al correntista di “sottrarsi all’onere probatorio, omettendo di produrre ben otto anni di estratti conto”.

8.- Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2935 e 2967 c.c., nonchè vizio di omesso esame di fatto decisivo per l’esito del giudizio.

“Una volta che la parte convenuta abbia formulato la propria eccezione di prescrizione compete al giudice verificare quali rimesse, per essere ripristinatorie, o attuate su un conto in attivo, siano irrilevanti ai fini della prescrizione, non potendosi considerare quali pagamenti”. Ogni onere probatorio incombe, per il relativo riguardo, sul correntista: “non esiste alcun onere di allegazione o di contestazione da parte della Banca convenuta”.

La Corte barese non ha preso in considerazione, per altro verso, il fatto che le aperture di credito, di cui al rapporto di conto corrente, contemplassero l’eventualità di scoperti. “Nel rinnovare l’eccezione di prescrizione in sede di appello” – si aggiunge – la Banca “aveva espressamente richiesto di “riconvocare il CTU affinchè effettui un’ipotesi di rielaborazione dei rapporti oggetto di contestazione che… applichi la prescrizione decennale”.

10.- Il primo motivo di ricorso non è fondato e non merita quindi di essere accolto.

11.- Secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, il correntista che agisce in via di ripetizione è tenuto a fornire la prova che talune delle somme percepite dalla Banca, come appostate sul conto a debito del cliente, siano prive di una valida causa debendi (cfr., per tutte, Cass., n. 24948/2017; ivi pure ulteriori riferimenti).

A ciò, tuttavia, non consegue necessariamente, nè tanto meno in modo automatico, l’inferenza che ne vuole ritrarre il ricorrente, per cui il cliente dovrebbe sempre e comunque produrre tutti gli estratti conto relativi all’intero svolgimento temporale del conto.

12.- La giurisprudenza della Corte – occorre subito riscontare in proposito – ha infatti chiarito che il giudice del merito deve in ogni caso valutare la possibilità che la prova dell’indebito sia desumibile aliunde, in maniera diversa dagli estratti conto, cioè.

Ben può – si è così precisato – il giudice integrare la prova offerta dal correntista; nel caso, pure con mezzi di cognizione disposti d’ufficio, come la CTU, alla quale il giudice può ricorrere quando la prova dei movimenti del conto, che sia prodotta dal correntista, non risulti completa, ma comunque tale da consentire al CTU di operare il calcolo delle competenze trimestrali (cfr., in specie, Cass., n. 31187/2018; Cass., n. 29190/2020; si veda, altresì, la pronuncia di Cass., n. 30822/2018, la quale – al di là della imperfetta sintesi approntata dall’Ufficio del Massimario – ha in realtà puntualizzato che, in caso di produzione parziale degli estratti, il calcolo dei rapporti di dare e di avere decorre “dalla data della posta iniziale a debito annotata sul primo estratto conto disponibile” e dalla misura data da questo saldo, senza alcun previo azzeramento dello stesso).

In realtà, è improprio e scorretto – così si è rilevato in particolare – considerare gli estratti conto come “veicolo di una prova legale” di fatti, che invece sono suscettibili di prova libera, cioè dimostrabili anche mediante argomenti di prova ed elementi indiretti che compete al giudice di merito valutare nell’ambito del suo prudente apprezzamento (Cass., n. 29190/2021).

13.- Pure è da rilevare, d’altra parte, che il correntista, che agisce in ripetizione, può limitare la propria pretesa a un dato periodo di svolgimento del conto. E così anche fare seguire alla richiesta di accertamento della nullità di determinate clausole, come inerenti al contratto stipulato tra Banca e cliente, una domanda di ripetizione che venga a circoscrivere il proprio raggio di azione alle somme percepite dalla Banca, in dipendenza di quelle clausole, nell’ambito di un determinato periodo di svolgimento del conto.

Come correttamente ha riscontrato la Corte barese è sempre possibile chiedere meno del proprio diritto (cfr. sopra n. 3, ultimo capoverso). Un simile atteggiamento giova – certo, non può nuocere – al convenuto. E’ infatti principio ben acquisito che, in caso di “limitazione del proprio diritto” da parte dell’attore, il “giudizio sulle domande così formulate non può estendersi, neppure implicitamente, all’accertamento della fondatezza delle maggiori domande che l’attore non ha proposto e sulle quali, quindi, il giudice non ha il potere di pronunciarsi” (Cass. n. 21335/2018).

D’altra parte, una simile limitazione non preclude in alcun modo al convenuto in ripetizione di proporre contestazioni e presentare eccezioni che vengano a incidere sulle poste inerenti al periodo temporale rispetto al quale l’attore ha formulato la domanda di ripetizione.

14.- Ciò posto, è appena il caso di ricordare, in materia, che secondo la giurisprudenza della Corte – il “giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non è condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti” (così, di recente, la decisione di Cass., n. 13602/2019).

15.- Passando adesso al secondo motivo di ricorso, pure si deve osservare che esso non può essere accolto.

La Corte di Appello ha ravvisato, in particolare, la sussistenza, nei rapporti correnti tra le parti, di un’apertura di credito in conto corrente, con ciò escludendo la natura “solutoria” dei versamenti fatti dal correntista sul conto. La sentenza ha anche rilevato, inter alla, la tardività delle contestazioni mosse al riguardo dalla Banca in sede di appello (cfr. sopra, ultimo capoverso del n. 5).

Il ricorrente non ha specificamente contestato quest’ultimo ordine di osservazioni, limitandosi a ricordare di avere chiesto, in sede di costituzione in appello, un’integrazione della CTU svoltasi nel primo grado. D’altra parte, il ricorrente neppure ha riprodotto i termini in cui nei gradi del merito ha formulato l’eccezione di prescrizione (nè indicato gli atti con cui nel giudizio del primo grado venne a sollevare la stessa).

16.- Ciò posto, appare ancora opportuno osservare al riguardo che, acquisita la concreta sussistenza di un’apertura di credito, non può risultare sufficiente, per incrinarne il significato, la semplice affermazione che la stessa consentiva, di per sè, l’eventualità di sconfinamenti.

Come ha rilevato la pronuncia di Cass., 6 dicembre 2019, n. 31927, se “è colui che agisce in ripetizione a dovere provare l’apertura di credito che gli è stata concessa”, l’acquisizione di “questa evenienza integra un fatto idoneo a incidere sulla decorrenza dell’eccepita prescrizione: un fatto che costituisce materia di una contro-eccezione da opposi alla Banca C convenuta in ripetizione”.

17.- In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato.

18.- Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 13.500,00 (di cui Euro 100,00 per esborsi), oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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