Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5886 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5886 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: NAPOLETANO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 1702-2008 proposto da:
PASCARELLA LUIGI c.f. PSCLGI24131233B, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato TOMEI SABINO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014
142

contro

COMUNE DI S.FELICE A CANCELLO P.I. 00352450613 in
persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio
dell’avvocato IACOBELLI EMILIO, rappresentato e difeso

Data pubblicazione: 13/03/2014

dall’avvocato CASERTANO FRANCESCO, giusta comparsa di
costituzione in atti del 18/12/2013;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 2826/2007 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 06/07/2007 R.G.N. 9777/2006;

udienza del 14/01/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
NAPOLETANO;
udito l’Avvocato CASERTANO FRANCESCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per il
rigetto.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

RG 1702-08

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Napoli, confermando la sentenza del Tribunale di S.
,

Maria Capua Vetere, rigettava la domanda di Pascarella Luigi, proposta nei

l’impugnativa del licenziamento intimatogli dal predetto Comune in
relazione alla sentenza irrevocabile di condanna penale per due fatti di
concussione, commessi dal Pascarella con abuso delle sue funzioni di
ragioniere capo del Comune in concorso con altra persona.

La predetta Corte, per quello che interessa in questa sede, premetteva che
a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.186 del 2004, doveva
ritenersi applicabile, anche in via transitoria, il regime giuridico di
cui all’ar.5,comma 4 0 , della legge n.97 del 2001 a mente del quale il
procedimento disciplinare doveva avere inizio entro novanta giorni dalla
comunicazione della sentenza all’amministrazione e il procedimento
disciplinare doveva concludersi, salvi diversi termini previsti dai CCNL,
entro centottanta giorni decorrenti dal termine d’inizio.
Conseguentemente, secondo la Corte territoriale, avuto riguardo alla data
della comunicazione della sentenza ed a quella della lettera di
contestazione il termine di novanta giorni doveva considerarsi rispettato.

Quanto all’assunto del dipendente, secondo il quale a norma degli artt. 25
e 24 del CCNL il Comune,essendo a conoscenza dei fatti prima della
sentenza penale di condanna, avrebbe dovuto instaurare il procedimento
– disciplinare entro il termine di venti giorni da tale conoscenza e, poi,

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confronti del Comune di S. Felice a Cancello, avente ad oggetto

sospenderlo, la Corte partenopea rilevava che non vi era prova di tale
conoscenza. In ogni caso, per la Corte del merito, il richiamato termine
di venti giorni non aveva natura perentoria e comunque il lavoratore non
_aveva dedotto la lesione di un suo diritto di difesa e l’organo
competente del Comune era venuto a conoscenza dei fatti solo con la
comunicazione della sentenza penale irrevocabile di condanna.
Conseguentemente, avuto riguardo a tale momento, risultavano rispettati il
termine di venti giorni. Aggiungeva la Corte di Appello che, comunque, la
contrattazione collettiva non poteva disporre,quanto all’inizio del
procedimento disciplinare, un termine diverso da quello previsto dalla
legge n.186 del 2004 essendo abilitata a stabilire termini diversi solo
relativamente alla conclusione del procedimento disciplinare.

Osservava,poi, la Corte territoriale che il richiamo, nella lettera di
contestazione, alla sentenza penale di condanna consentiva, in una alla
precisazione che i fatti per cui era intervenuta sentenza penale di
condanna costituivano altresì inosservanza ai doveri connessi al rapporto
d’impiego rivenibili nelle disposizioni contrattuali, di ritenere
specifico l’addebito.
Escludeva, infine, la Corte del merito che l’intimato licenziamento fosse
stato una conseguenza automatica della sentenza penale di condanna e tanto
sul rilievo che detto licenziamento era stato preceduto da un procedimento
disciplinare, in cui il lavoratore aveva esplicitato le proprie difese, e
da una valutazione del Comune.

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Avverso questa sentenza il Pascarella ricorre in cassazione sulla base di
• cinque motivi.

Resiste con controricorso il Comune intimato.

-Parte resistente deposita atto di nomina di nuovo difensore e memoria
illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce “vizio di motivazione- erronea valutazione
circa un fatto decisivo per il giudizio”.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, trattandosi di sentenza di appello pubblicata il 6 luglio 2007,
trova applicazione, ex art. 27, comma 2, del Divo 2 febbraio 2006 n.40, la
richiamata norma di rito secondo la quale nei casi previsti dall’art.
360, primo comma, numeri 1,2, 3 e 4 cpc l’illustrazione di ciascun motivo
si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un
quesito di diritto e nel caso previsto dall’art. 360, primo comma, n.5 cpc
l’illustrazione del motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto
controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Né ratione temporis è applicabile

l’art. 47, comma 1 0 , lett. d) della

legge 18 giugno 2009 n. 69 che ha abrogato il precitato art. 366 bis cpc,
trovando tale norma, ai sensi dell’art. 58, comma 5 ° , della predetta legge
‘ 18 giugno 2009 n. 69,applicazione relativamente alle controversie nelle

3

i

quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione è stato
, pubblicato successivamente ( ossia dal 4 luglio 2009) alla data di
entrata in vigore della stessa legge n.69 del 2009 ( Cass. 24 marzo 2010
.n. 7119).

logico giuridica della censura che s’intende sottoporre al giudice di
legittimità( per tutte V. Cass.S.U. 16 luglio 2012 n.12104, Cass. 18
novembre 2011 n. 24255, Cass. S.U. 5 luglio 2011 n. 14661 e Cass. S.U. 31
marzo 2009 n. 7770).

Con la seconda censura, denunciandosi violazione dell’art. 24 comma 2 ° del
CCNL, si formula il seguente quesito:”il termine previsto dall’art. 24
co.2 del CCNL enti locali del 1995 è previsto a pena di decadenza? Può
ritenersi tempestiva una contestazione di addebito a distanza di 22
mesi?”.

La censura è infondata.

Devesi rilevare che la Corte del merito,relativamente al termine dall’art.
24 co.2 del CCNL enti locali del 1995, afferma anche, e con autonoma
ratio decidendi,
termine

de quo

che, nella specie, deve ritenersi la decorrenza del
solo dal momento in cui la conoscenza dei fatti da

addebitare è stata acquisita dall’organo competente a muovere la
contestazione disciplinare secondo l’ordinamento dell’amministrazione di
appartenenza. Pertanto poiché, nel caso di cui trattasi,solo in data 17
gennaio 2003 il responsabile dell’Ufficio del personale ( quale organo
– competente secondo l’ordinamento del Comune datore di lavoro) è venuto – a

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Nella specie difetta del tutto il quesito di fatto inteso quale sintesi

seguito di trasmissione da parte del Segretario generale del Comune della
comunicazione da parte della Procura

della Repubblica della sentenza

. irrevocabile di condanna – a conoscenza del fatto, la contestazione
.disciplinare del 22 gennaio 2003 è ampiamente tempestiva in quanto

Orbene atteso che tale specifica alternativa ed autonoma ratio decidendl,
rispetto a quella oggetto di ricorso, non è affatto censurata, consegue
che la sentenza va tenuta ferma in base a tale ratio non criticata in
alcun modo.

Infatti è

ius receptum,

nella giurisprudenza di questa Corte,

il

principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una
motivazione strutturata in una pluralità di ordini di ragioni, convergenti
o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per sè solo,
idoneo a supportare il relativo

dictum,

per poter essere ravvisata

meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di
censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di
ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la
relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che
la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua
ratio non, o mal, censurato e priverebbero l’impugnazione dell’idoneità
al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla
rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito,

ex multis,

Cass.

26 marzo 2001 n. 4349, Cass. 27 marzo 2001 n 4424 e da ultimo Cass. 20
novembre 2009 n.24540).

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‘avvenuta nel termine di venti giorni.

Con la terza critica, allegandosi violazione degli artt.5 e 10 della legge
n.97 del 2001 in relazione agli artt. 24 comma 2 e 25 commi 8 e 9 del
CCNL, si pone il seguente interpello:”può essere ritenuta legittima
l’azione disciplinare avviata solo a seguito della comunicazione della
sentenza definitiva di condanna penale quando i fatti erano a conoscenza
della amministrazione anteriormente al processo penale, ovvero conosciuti
in connessione con essi?”.

La critica è infondata.

E’ sufficiente al riguardo rilevare che la Corte del merito accerta che
non vi è alcuna prova che il Comune era a conoscenza del fatto fin
dall’ottobre 1999 e ritiene, in base alle stesse allegazioni del
dipendente, che solo nel marzo del 2001 il Comune era venuto a conoscenza
del fatto di rilevanza penale e disciplinare.

Trattasi all’evidenza di accertamento di fatto, che in quanto non
censurato o non idoneamente censurato, priva di rilevanza decisiva la
critica in esame.

Con la quarta censura, denunciandosi violazione degli artt. 7 della legge
n. 300 del 1970 e degli artt. 24 e 25 del CCNL, si articola il seguente
quesito: “può una contestazione di addebito fare generico richiamo
all’inosservanza dei doveri connessi al rapporto d’impiego? Può essere

considerata conforme alla legge una contestazione che fa riferimento al

6

.

dato formale dell’esistenza di una sentenza e non ha ad oggetto,

quantomeno, i medesimi fatti contestati in sede penale?”.

.

La censura non può essere accolta.

.Infatti la Corte del merito, con motivazione formalmente logica,e come

all’epoca della contestazione, aveva conoscenza del fatto penalmente
rilevante e

della sentenza conclusiva sicché, afferma la Corte

partenopea, deve ritenersi

specifica la contestazione che, facendo

riferimento ai fatti di cui alla detta sentenza, contiene, altresì, la
precisazione che detti fatti costituiscono, anche, inosservanza ai doveri
connessi al rapporto d’impiego rivenibili nelle disposizioni contrattuali.

La conclusione cui perviene la Corte del merito è corretta atteso che è
senzAro condivisibile l’assunto in base al quale conoscendo il
dipendente i fatti di cui all’imputazione penale e la relativa sentenza
di condanna, deve considerasi specifica la contestazione che richiamando i
fatti di cui alla sentenza in parola li ascrive pure alla violazione dei
doveri sanciti da specifiche norme della contrattazione collettiva.

Con il quinto motivo, assumendosi vizio di motivazione, si chiede se:”può
il giudice ritenere che il licenziamento sia frutto di una valutazione del
fatto quando, invece, dalla comunicazione si evince che il provvedimento
scaturisce dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna?”.

Jl motivo è infondato.

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tale sottratta al sindacato di questa Corte, accerta che il Pascarella,

La Corte del merito,invero, nell’affermare che essendo sul fatto e sulla
sua gravità intervenuti un procedimento disciplinare, la relativa difesa
dell’incolpato e una valutazione del Comune, deve escludersi la

sussistenza di un licenziamento “di diritto ossia

ipso iure”,

fornisce

‘idonea e coerente argomentazione delle ragioni per le quali assume non

automatica della sentenza penale di condanna.

Trattandosi di un iter argomentativo logico ed adeguato il sindacato di
questa Corte non può andare oltre atteso che, nel nostro ordinamento
processuale, la

deduzione di un vizio di motivazione della sentenza

impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità,
non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il
profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice del merito (in tal senso per tutte
Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e Cass. 27 luglio 2008 n.2049).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in
. favore del resistente

delle spese del giudizio di legittimità

8

,

potersi affermare che il licenziamento costituisce una conseguenza

liquidate in E. 100,00 per esborsi ed E. 4000,00 per compensi oltre
accessori di legge.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 gennaio 2014

. Il Presidente

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