Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5883 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5883 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: GHINOY PAOLA

SENTENZA

sul ricorso 20200-2012 proposto da:
OCMA S.P.A. P.I. 00097690440, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA BOEZIO 6, presso lo studio dell’avvocato
TREZZA GAETANO, rappresentato e difeso dall’avvocato
VALLESI GIUSEPPE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

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contro

BOTTI SERGIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato
CICCOTTI SABINA, che lo rappresenta e difende

Data pubblicazione: 13/03/2014

unitamente all’avvocato CHRISTIAN LUCIDI,

giusta

delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 711/2011 della CORTE D’APPELLO
di BOLOGNA, depositata il 16/09/2011 R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. PAOLA
GHINOY;
udito l’Avvocato TREZZA GAETANO per delega VALLESI
GIUSEPPE;
uditi gli Avvocati CICCOTTI SABINA e LUCIDI
CHRISTIAN;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

1072/2005;

R. Gen. N. 20200/2012
Udienza 8.1.2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig. Sergio Botti veniva licenziato dal datore di lavoro OCMA s.p.a. con lettera del
23.3.2000 per giusta causa individuata nell’avere prestato attività lavorativa come
“buttafuori” (ovvero addetto ai servizi di ordine e sicurezza di persone e cose con
funzioni anche di coordinamento di altri lavoratori) durante un periodo di assenza per

s.p.a licenziava nuovamente il Botti per giusta causa individuata nell’avere
scavalcato, alle ore 12,30 del 24.3.2000, il tornello sito all’ingresso dello
stabilimento ed essersi introdotto in azienda nonostante il contrario invito rivoltogli
dal dipendente addetto alla portineria.
Con la sentenza parziale n. 259/2004 la Corte d’Appello di Ancona confermava la
sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno nella parte in cui questa annullava il primo
licenziamento e dichiarava l’inefficacia del secondo, dando atto che il lavoratore
aveva optato per l’indennità sostitutiva della reintegra; con la successiva sentenza
definitiva n. 73/2005 confermava la sentenza impugnata anche nella parte relativa al
risarcimento del danno da licenziamento illegittimo. In relazione al primo
licenziamento la Corte territoriale argomentava che le prove raccolte avevano
confermato che il lavoratore era stato realmente affetto dalla sindrome ansionsodepressiva diagnosticata come causa dell’assenza e che la collaborazione prestata per
altra società (la Federal Security s.r.l. di cui era socio) quale sorvegliante nei fine
settimana ed in orari notturni era del tutto compatibile con la malattia certificata e
non giustificava il sospetto di simulazione; in relazione al secondo licenziamento,
osservava che esso era intervenuto quando il rapporto non era più in essere a seguito
del primo ed era pertanto del tutto privo di effetti.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 11745 del 2005 riteneva fondate le censure
mosse da OCMA s.p.a. sotto il profilo del difetto di motivazione della sentenza
impugnata, ed affermava che la Corte d’Appello, contravvenendo al costante
principio affermato in giurisprudenza secondo il quale la prova testimoniale deve
avere per oggetto fatti e non apprezzamenti e che il giudice di merito non deve dare
valenza alle deposizioni testimoniali che si traducono in un’interpretazione
soggettiva ovvero in un mero apprezzamento tecnico del fatto, aveva fondato la
Paola G

y, este sore
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malattia protrattosi dal 5.2.2000 al 10.3.2000. Con lettera del 5.4.2000 la OCMA

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Udienza 8.1.2014

propria decisione sulla testimonianza resa dal dr. Giorgio Mariani, Direttore del
Dipartimento di salute mentale della ASL 13 di Ascoli Piceno che aveva redatto il
certificato medico del Botti, mentre avrebbe dovuto avvalersi dello strumento
specifico offertogli dal codice di rito, ovvero della consulenza tecnica d’ufficio.
Accoglieva quindi il primo motivo di ricorso, dichiarava assorbito il secondo – con

licenziamento – e il ricorso incidentale proposto dal lavoratore sulla quantificazione
del danno; cassava la sentenza impugnata e indicava quale giudice di rinvio la Corte
d’Appello di Bologna.
Con la sentenza n. 711 del 2011 il giudice del rinvio, disposta c.t.u. medica, riteneva
l’illegittimità del primo licenziamento e, dando atto che il ricorrente aveva esercitato
il diritto di opzione previsto dall’art. 18 della L. 300 del 1970, condannava OCMA
s.p.a. a corrispondere le retribuzioni arretrate dalla data del licenziamento sino alla
data di esercizio della facoltà di opzione. A motivo della decisione osservava che il
nominato c.t.u. aveva affermato che , pur non sussistendo attualmente in capo al
Botti una sindrome ansioso-depressiva, era plausibile che all’epoca dei fatti egli
presentasse “una reazione di disadattamento con temporaneo turbamento psicologico
con sentimenti di rabbia, frustrazione e rivendicazione , con lo sviluppo di alcuni
sintomi inquadrabili come disturbo dell’adattamento…con aspetti emotivi misti,
ansiosi e depressivi”. Preso atto della conclusione del c.t.u., che aveva ritenuto di non
poter dare un giudizio sulla compatibilità e sugli effetti sulle condizioni cliniche
dello svolgimento dell’ attività di sorveglianza in locali notturni per l’assenza di
un’effettiva patologia depressiva, la Corte riteneva comunque che tale compatibilità
sussistesse e che l’attività non fosse di ostacolo alla guarigione. Dichiarava inoltre
inefficace il licenziamento del 5.4.2000, intimato nei confronti di soggetto che
all’epoca non era più legato alla società da alcun rapporto di lavoro.
Per la cassazione di tale sentenza OCMA s.p.a. ha proposto ricorso, affidato a due
motivi, cui ha resistito Sergio Botti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Come primo motivo il ricorrente denuncia “Motivazione illogica, errata e
contraddittoria circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.)
Paola hinoy, estensore
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cui la società aveva censurato la sentenza per avere dichiarato inefficace il secondo

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Udienza 8.1.2014

Violazione e falsa applicazione degli artt. 61,115 e 116 c.p.c, in relazione all’art. 360
n. 3 c.p.c.”. Lamenta che la Corte abbia ritenuto di poter fare a meno del giudizio
dello specialista sulle specifiche questioni rilevanti in causa, formulando giudizi di
natura medico legale incerti – come dimostra l’avverbio “verosimilmente” utilizzato
nella conclusione – e in contrasto con la natura dell’attività demandata al buttafuori,

risulta oggi anche dal D.M. del Ministero dell’Interno del 6 ottobre 2009.
2. Come secondo motivo lamenta “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3
della L. 604 del 1966, degli artt. 7 e 18 della L. n. 300 del 1970 e dell’art. 2119 c.c.
in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione al capo di sentenza che ha ritenuto
inefficace il secondo licenziamento. Richiama la giurisprudenza più recente che ha
adottato una tesi contraria a quella condivisa dal giudice di merito e sostiene che, una
volta ritenuta l’illegittimità del primo licenziamento, si sarebbe dovuto procedere a
valutare la legittimità del secondo.
3. Sul primo motivo, si osserva che la motivazione della Corte di merito ha preso le
mosse dalle risultanze della disposta consulenza tecnica medico-legale, che aveva
accertato che all’epoca dei fatti il Botti era affetto da una patologia – rientrante nel
concetto di malattia di cui all’art. 2110 c.c. e legittimante l’assenza dal lavoro- di
lieve entità e guarita nell’arco di 70 giorni, con sintomi inquadrabili come disturbo
dell’adattamento ed aspetti emotivi misti, ansiosi e depressivi. Ha ritenuto poi che
non fosse necessario avvalersi nuovamente del c.t.u. per accertare se con detta
patologia fosse compatibile l’attività di sorveglianza in locali notturni e se questa
potesse compromettere o ritardare la guarigione o al contrario agevolarla, sulla base
della considerazione che la suddetta attività lavorativa di norma si caratterizza per la
spiccata componente personale e relazionale, da cui una personalità turbata per la
frustrazione causata dal rapporto conflittuale con il datore di lavoro, qual era quella
del Botti all’epoca, poteva trarre sicuro giovamento. Nel formulare tale valutazione,
la Corte ha tenuto conto da un lato della non elevata gravità della patologia, dalla
quale il Botti risulta essere guarito senza postumi dopo i 70 giorni certificati di
inabilità temporanea. Inoltre, ha valorizzato le ripercussioni soggettive dell’attività
extralavorativa, e quindi il giovamento che deriva dalle attività relazionali,
Paola G ” oy, estensore
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che richiede buona salute fisica e mentale e comporta un impegno stressante, come

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inevitabilmente connesse alla presenza in locali notturni, per coloro che debbano
cercare di sottrarsi alla polarizzazione della propria ideazione dalle vicende afflittive
che sono all’origine del proprio disagio psichico.
4. Non vi è dubbio che rientri nel potere discrezionale del giudice di merito, come
tale incensurabile in sede di legittimità, fare ricorso o meno alla consulenza tecnica

l’altro, secondo il quale ” il giudice deve sempre motivare adeguatamente la
decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione
della causa, con la conseguenza che quando il giudice disponga di elementi istruttori
e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza,
sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato
esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti adeguatamente
motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto profilo” (Sez. 3,
Sentenza n. 20814 del 27/10/2004; Sez. 2, Sentenza n. 71 del 04/01/2002).
Nel caso, la motivazione della Corte di merito è censurabile sotto due profili.
In primo luogo, essa muove da una disamina della prestazione di sorveglianza nei
locali notturni del sig. Botti del tutto lacunosa, limitandosi a valorizzare il
potenziamento della pubbliche relazioni senza analizzarne altri aspetti che sarebbero
stati rilevanti al fine della decisione. Pur dovendosi dare atto che il DM 6 ottobre
2009, invocato dalla parte ricorrente e successivo ai fatti di causa, si riferisce all’
attività di “buttafuori” svolta con carattere di professionalità e abitualità, quale non
era quella svolta dal Botti, occorre tuttavia rilevare che erano nel caso presenti aspetti
quali la prestazione in orari notturni, con la conseguente alterazione del ritmo
fisiologico sonno-veglia, la possibile conflittualità interpersonale, la necessità di far
valere la propria autorità, la necessità di mantenere alta la soglia di attenzione per un
tempo prolungato nonché l’autocontrollo, tutti potenzialmente idonei ad incidere su
una patologia di natura psichica qual è quella di cui il Botti era portatore.
5. In secondo luogo, al fine di giungere alle indicate conclusioni la Corte non si è
valsa del ragionamento presuntivo, né ciò del resto era consentito senza adeguate
cognizioni scientifiche sulla base degli elementi noti.

Paola G ‘ oy, estensore
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per la valutazione delle risultanze di causa. Tale principio va però contemperato con

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La Corte bolognese pare piuttosto avere utilizzato nozioni che ha ritenuto rientranti
“nella comune esperienza” ex art. 115 II comma c.p.c.
In tal modo ha tuttavia esorbitato dai limiti in cui è consentito fare ricorso al
“notorio”. Questo va inteso infatti in senso rigoroso, dal momento che comporta una
deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio in quanto introduce nel processo

per tale motivo si afferma che deve trattarsi di fatti acquisiti alle conoscenze della
collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabili ed incontestabili e che
non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa
quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli
elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di
determinate situazioni (così da ultimo tra le tante Sez. 5, sentenza n. 16959 del
05/10/2012, Sez. 2, sentenza n. 23978 del 19/11/2007).
Non possono rientrare quindi nel notorio elementi che attengono alla scienza medica
specialistica, come è avvenuto nel caso, tanto che la stessa Corte di merito aveva
ritenuto inizialmente di affidare la valutazione al nominato c.t.u.
Tanto più poi ciò risulta sol che si osservi che il nominato c.t.u. aveva risposto di non
essere in grado di fornire una valutazione al riguardo per l’assenza di un’effettiva
patologia depressiva, sicché non si vede come tale impossibilità, che avrebbe
richiesto l’utilizzo di più approfondite valutazioni medico-legali, potesse essere
colmata dallo stesso Giudice con il ricorso al notorio.
6. A tutto quanto detto consegue che il primo motivo di ricorso deve essere accolto.
Resta assorbito l’esame del secondo motivo, che presuppone l’illegittimità del primo
licenziamento in ordine al quale invece dovrà invece intervenire un nuovo esame da
parte del Giudice di rinvio.
7. La sentenza impugnata va, perciò, cassata in relazione al motivo accolto e la causa
va rinviata per una nuova valutazione ad altro Giudice, designato in dispositivo, che
dovrà pronunciarsi anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

Paola Gh y, estensore
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elementi non forniti dalle parti e relativi a fatti dalle stesse non vagliati né controllati;

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La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa anche per le spese alla
Corte d’Appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8.1.2014

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