Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5883 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 04/03/2021), n.5883

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 37139-2019 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio

dell’avvocato RENZO GATTEGNA, rappresentata e difesa dall’avvocato

ALBERTO MARASCHI;

– ricorrente –

contro

CF LIBERTY SERVICING S.P.A., elettivamente domiciliata in Roma,

presso lo studio dell’avvocato CARLO D’ERRICO, rappresentata e

difesa dall’avvocato SIMONE EUGENIO RAGGI;

– controricorrente –

e

F.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3825/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 19/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO

DELL’UTRI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 19/9/2019, la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dal Banco BPM s.p.a., ha dichiarato l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., dell’atto con il quale F.L. e M.L. avevano costituito un fondo patrimoniale, nonchè dell’atto con il quale il F. aveva trasferito alla L. la nuda proprietà di taluni beni immobili propri;

a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha ritenuto sussistenti tutti i presupposti di natura oggettiva e soggettiva ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria proposta dalla società attrice;

avverso la sentenza d’appello, M.L. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

la CF Liberty Servicing s.p.a., in qualità di mandataria di Leviticus SPV s.r.l. (avente causa dal Banco BPM s.p.a.) resiste con controricorso;

F.L. non ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., le parti hanno presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di impugnazione proposto, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso la natura onerosa dell’atto con il quale il F. aveva trasferito alla L., nel contesto della separazione personale tra i due coniugi, la nuda proprietà di taluni beni immobili propri, trascurando di considerarne la natura di atto solutorio degli impegni assunti dalle parti in sede di separazione al fine di riequilibrare la condizione di disparità economica tra gli stessi;

il motivo è inammissibile;

osserva preliminarmente il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’applicazione della disciplina di cui all’art. 2901 c.c., per stabilire se il trasferimento immobiliare posto in essere da un coniuge in favore dell’altro in esecuzione degli accordi intervenuti in sede di separazione consensuale costituisca atto solutorio dell’obbligo di mantenimento, assume rilevanza la disparità economica tra i coniugi, la quale deve essere dedotta non solo dalla valutazione dei redditi, ma da ogni altro elemento di carattere economico, o suscettibile di apprezzamento economico, idoneo ad incidere sulle condizioni delle parti (Sez. 3, Ordinanza n. 17908 del 04/07/2019, Rv. 654438 – 01);

nel caso di specie, la corte territoriale ha espressamente sottolineato come, sulla base degli elementi istruttori complessivamente acquisiti, nessun elemento dimostrativo fosse emerso, nè adeguatamente offerto dalla L., a sostegno della dedotta disparità economica tra i due coniugi, non avendo l’appellante adeguatamente fornito la prova dell’effettiva disparità delle condizioni reddituali, patrimoniali e finanziari dei coniugi al momento della separazione, essendo piuttosto emerso il ricorso di elementi suscettibili di fornire indicazioni in senso contrario (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata);

è, peraltro, appena il caso di sottolineare l’irrilevanza del richiamo, operato dalla ricorrente, al preteso carattere incontestato della circostanza in esame, trattandosi – con riguardo alla circostanza di fatto consistente nella condizione economica di due coniugi in sede di separazione – di fatti legittimamente ignorati dalla società originaria attrice (siccome riferibili alla sfera di esclusiva pertinenza delle controparti), con la conseguente decisiva incidenza, al riguardo, del consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale l’onere di contestazione – la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova – sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (cfr. Sez. L, Ordinanza n. 87 del 04/01/2019, Rv. 652044 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 14652 del 18/07/2016, Rv. 640518 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3576 del 13/02/2013, Rv. 625006 01);

ciò posto, osserva il Collegio come, con il motivo in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata – si sia limitata ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione della norma richiamata sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sè incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;

si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, aì fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio, secondo la liquidazione di cui al dispositivo;

dev’essere, infine, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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