Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5877 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 08/03/2017, (ud. 07/02/2017, dep.08/03/2017),  n. 5877

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5255/2012 proposto da:

T.P., (OMISSIS), QUALE TITOLARE DELL’OMONIMA DITTA,

elettivamente domiciliato in ROMA, V. EZIO 32, presso lo studio

dell’avvocato DANIELE VITALE, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato GIUSEPPE ALESSIO;

– ricorrente –

SCUDERIA S RAFFAELE SEBASTIANO DI C.A. & C SNC IN

LIQUIDAZIONE, P.I. (OMISSIS) IN PERSONA DEL SUO LIQUIDATORE,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA N. 2, presso lo

studio dell’avvocato ARMANDO PLACIDI, rappresentata e difesa dagli

avvocati GIOVANNI FOLCHINO, PASQUALE DI MAIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 220/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 11/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

ESPOSIZIONE DEL FATTO

La società Scuderia S. Raffaele Sebastiano di C.A. & c. snc conveniva innanzi al Tribunale di Forlì T.P., in qualità di titolare della omonima ditta individuale, per sentir accertare la non corretta esecuzione dei lavori di realizzazione di una scuderia, di un box per i cavalli e servizi annessi e conseguentemente condannare il convenuto al pagamento della somma necessaria all’eliminazione dei vizi e difetti relativi alle opere eseguite, oltre al risarcimento dei danni.

Il T., costituitosi, resisteva, opponendo l’intervenuta prescrizione dell’azione, sul presupposto che il contratto concluso dalle parti dovesse qualificarsi come vendita e non anche appalto.

Successivamente, con citazione ritualmente notificata, la Scuderia S. Raffaele Sebastiano di C.A. & c. snc proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento in favore del T. di 90.369,72 Euro oltre ad interessi, per saldo della fattura n. (OMISSIS), relativa alla fornitura della merce in favore dell’opponente.

Disposta la riunione dei procedimenti ed espletata Ctu, il Tribunale di Forlì accoglieva l’eccezione preliminare relativa alla nullità della procura conferita in ambedue i giudizi, non essendo identificabile il soggetto che aveva provveduto al rilascio della medesima in nome della società, trattandosi di firma illeggibile ed essendo presenti nell’ambito della Società Scuderia due soggetti aventi lo stesso nome e cognome ( C.A.).

Il Tribunale dichiarava pertanto esecutivo il decreto opposto e condannava per l’effetto la società Scuderia a pagare al T. la somma di 46.672,06 Euro, oltre ad interessi legali e spese processuali.

La Corte d’Appello di Bologna con la sentenza n. 220/2011, in parziale riforma della sentenza impugnata, disattesa l’eccezione preliminare di nullità della procura e ritenuta la tempestività della denunzia in capo al committente e la sussistenza dei vizi, condannò la Scuderia S. Raffaele Sebastiano snc, detratta la somma riconosciuta a titolo di risarcimento dei danni ex art. 1668 c.c., al pagamento in favore di T.P. del corrispettivo residuo, di 16.672,06 Euro.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso con sette motivi T.P..

La Scuderia S. Raffaele Sebastiano snc resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 125, 156 e 157 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), censurando la sentenza impugnata per aver erroneamente escluso, a differenza di quanto affermato dal primo giudice, la nullità degli atti di citazione, in quanto caratterizzati da incertezza assoluta in ordine al soggetto che aveva conferito la procura, essendovi due soci aventi le medesime generalità, di cui uno solo aveva poteri di rappresentanza.

Il motivo è infondato.

Conviene premettere che l’illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce o a margine dell’atto con cui sta in giudizio una società, esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa, dalla certificazione d’autografia resa dal difensore o dal testo dell’atto o anche quando sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica, che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese (Cass. Ss.Uu. 4814/2005 e quanto alle sez. semplici ex multis, nn. 7179/2015).

Orbene, nel caso di specie era certamente possibile identificare con certezza il soggetto che, in quanto munito dei poteri di rappresentanza della società, aveva conferito in ambedue gli atti considerati, la procura ad litem.

Appare al riguardo irrilevante sia la diversa indicazione del soggetto conferente (in un caso il socio, quale legale rappresentante, nell’altro la società) sia la dedotta omonimia.

Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte la procura speciale alle liti rilasciata, per conto di una società esattamente indicata con la sua denominazione, con sottoscrizione affatto illeggibile, senza che il nome del conferente, di cui si alleghi genericamente la qualità di legale rappresentante, risulti dal testo della stessa, nè dall’intestazione dell’atto a margine od in calce al quale sia apposta, ed altresì priva, nell’uno o nell’altra, dell’indicazione di una specifica funzione o carica del soggetto medesimo che lo renda identificabile attraverso i documenti di causa o le risultanze del registro delle imprese, è affetta da nullità relativa, che la controparte può tempestivamente opporre ex art. 157 c.p.c., comma 2, onerando, così, l’istante d’integrare con la prima replica la lacunosità dell’atto iniziale, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell’autore della suddetta sottoscrizione. Solo in difetto di ciò, così come in ipotesi di inadeguatezza o tardività di tale integrazione, si verifica invalidità della procura ed inammissibilità dell’atto cui essa accede (Cass. Ss.Uu. 25036/2013).

Orbene, nel caso di specie, ove pure dagli atti non fosse desumibile con certezza l’identità del soggetto che aveva conferito la procura, non risulta che l’odierno ricorrente abbia tempestivamente sollevato, ex art. 157 c.p.c., nel primo atto successivo, la relativa eccezione di nullità, che resta dunque, in ogni caso sanata, così precludendo la successiva proposizione dell’eccezione (Cass. 15554/2003).

Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), ripropone la censura, già disattesa dalla Corte distrettuale, di inammissibilità dell’atto di appello, per genericità.

Pure tale motivo è infondato.

Il Tribunale aveva infatti respinto la domanda dell’appellante sulla base di una eccezione preliminare di rito, onde, ferma la riproposizione delle domande di merito formulate nel giudizio di primo grado, di cui si dà espressamente atto nella sentenza impugnata, l’appellante ha richiamato nell’atto di appello le argomentazioni svolte innanzi al Tribunale; il che deve ritenersi pienamente legittimo, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. 3064/2012).

Ed invero, qualora, come nel caso di specie, l’impugnazione investa una pronuncia in rito, l’appellante può limitarsi nel gravame a denunciare l’erroneità della decisione ed a richiamare l’atto introduttivo del primo grado, senza bisogno di riprodurne le ragioni di merito, atteso che dall’accoglimento dell’impugnazione discende l’integrale devoluzione al giudice dell’appello del compito di decidere tutte le questioni dedotte nel giudizio di primo grado (Cass. 12092/2004; 5031/2005).

Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione delle norme dettate in tema di accettazione dell’opera eseguita dall’appaltatore e di garanzia prestata da quest’ultimo per i vizi della stessa, (artt. 1665, 1667 e 1668 c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), lamentando che la Corte abbia omesso di rilevare l’accettazione tacita dell’opus da parte della committente, la quale aveva ininterrottamente utilizzato la scuderia sin dall’epoca della consegna della stessa, con conseguente liberazione dell’appaltatore dalla garanzia per i vizi.

Deve al riguardo rilevarsi l’inammissibilità del motivo, trattandosi di questione che non risulta prospettata nei giudizi di merito, onde nessuna pronunzia risulta emessa al riguardo nè dal Tribunale nè dal giudice di appello.

Ciò comporta che trattandosi di questione nuova, il relativo scrutinio in sede di legittimità non è ammissibile.

E’infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 4787/2012).

Come questa Corte ha già affermato, infatti, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 2140/2006).

Con il quarto motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), deducendo l’omessa dichiarazione di cessazione della materia del contendere, nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5), lamentando di aver depositato, nel corso del giudizio di primo grado, atto pubblico 26 luglio 2002 per notar D.O. di (OMISSIS), da cui risultava che il preesistente fabbricato accessorio, ad uso box cavalli, era stato demolito in base alla concessione edilizia del Comune di Forlì del (OMISSIS) (prot. (OMISSIS)).

La censura è infondata.

Ed invero, l’abbattimento del manufatto affetto da vizi non comporta, in sè, il venir meno del diritto al risarcimento del danno derivante dalla non corretta esecuzione dell’opus, e dunque dell’interesse ad agire, salva la prova, che non risulta fornita dall’odierno ricorrente, che tale demolizione sia del tutto indipendente dagli accertati vizi e difetti di costruzione e che essa sarebbe stata in ogni caso disposta, trovando giustificazione eziologica in un evento del tutto estraneo ed indipendente da quelli oggetto della controversia in esame, sì che in concreto nessun pregiudizio è derivato al committente dai vizi accertati.

Con il quinto motivo si denunzia la violazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), denunziando la novità della domanda, proposta soltanto in appello, diretta a condannare l’appaltatore a corrispondere, a titolo di risarcimento dei danni, le somme dovute per la cattiva esecuzione delle opere.

Pure tale censura è infondata.

Risulta infatti dal contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di primo, nonchè dall’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti, che la Scuderia dedusse specificamente l’esistenza di danni derivanti dalla cattiva esecuzione delle opere commissionate al T., chiedendo nelle conclusioni prese in ambedue gli atti sopra richiamati, la condanna al risarcimento di tutti i danni derivati e a derivarsi, nonchè conseguenti agli inadempimenti relativi al contratto di appalto delle opere mediante pagamento di somma di denaro a determinarsi e quantificarsi in corso di causa, anche a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio.

Con il sesto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1667 e 1668 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), censurando la statuizione con la quale la Corte territoriale ha pronunciato la condanna dell’appaltatore al risarcimento dei danni derivanti dai vizi di costruzione, senza distinguere, nell’ambito di detti vizi, quelli rimediabili, per i quali il committente può proporre le due specifiche azioni, di eliminazione dei vizi a spese dell’appaltatore e riduzione del prezzo.

Pure tale censura è infondata.

Ed invero, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, in tema di appalto, il risarcimento del danno, in caso di vizi dell’opera appaltata, costituisce rimedio alternativo ed autonomo rispetto alle ulteriori tutele, di riduzione del prezzo e risoluzione approntate in favore del committente dall’art. 1668 c.c., e detto risarcimento normalmente consiste nel ristoro delle spese sopportate dal committente per provvedere, a cura di terzi, ai lavori ripristinatori (Cass. 19103/2012).

Nel caso di specie, non è ravvisabile alcuna surroga di domande, atteso che la Corte si è limitata ad accogliere la domanda di risarcimento dei danni formulata dalla committente in relazione al costo per l’eliminazione dei vizi, onde non assume alcuna rilevanza la distinzione tra i vizi eliminabili e quelli che non lo sono.

Con il settimo motivo si denunzia carenza motivazionale della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 5), avuto riguardo ai criteri di determinazione del danno.

Il motivo è infondato.

La Corte ha infatti specificamente preso in considerazione, ai fini della valutazione del danno, i soli vizi elencati dal ctu, riconducibili all’esecuzione dei lavori commissionati al T. sulla base dei danni obiettivi riscontrati, determinandoli in 30.000,00 Euro ed, a fonte di tale valutazione, non risulta specificamente dedotto alcun elemento idoneo a evidenziare l’inadeguatezza o illogicità del criterio adottato.

Non sussiste dunque il dedotto vizio di carenza motivazionale, configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando possa evincersi l’obiettiva inadeguatezza del procedimento logico posto a base della statuizione censurata.

Nel caso, invece, in cui vi sia mera difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente, il motivo di ricorso si risolve, come nel caso di specie, in un’inammissibile ed apodittica istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Ss.Uu. 24148/2013).

Il ricorso va dunque respinto ed il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano come da dispositivo.

PQM

Respinge il ricorso.

Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio che liquida in complessive 2.700,00 Euro di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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