Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5876 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 08/03/2017, (ud. 31/01/2017, dep.08/03/2017),  n. 5876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11962/2013 proposto da:

DECA S.r.l., (p.iva (OMISSIS)) in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GRAMSCI 54,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE RIZZO (Studio Graziadei

Ferreri), rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCO DE LAURENTIIS;

– ricorrente –

contro

CITIFIN-CITICORP FINANZIARIA S.p.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 61/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE –

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 24/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 16.3.2004 la DE.CA. s.r.l. conveniva in giudizio la Citifin Citicorp Finanziaria s.p.a., proprietaria di un veicolo Ford Sierra recuperato con un proprio carro attrezzi perchè in panne il (OMISSIS) e ricoverato successivamente, onde ottenere il pagamento delle spese di custodia e trasporto correlate.

Radicatosi il contraddittorio, la convenuta eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva per aver concesso il mezzo in locazione finanziaria alla (OMISSIS) e per non aver commissionato alcuna prestazione all’attrice. Con sentenza datata 12.5.2011 il Tribunale di Taranto – Sez. Dist. di Manduria – rigettava la domanda, regolando le spese di lite secondo la soccombenza.

Avverso tale sentenza proponeva appello la DE.CA. s.r.l.. Resisteva la Citifin Citicorp, chiedendo il rigetto del gravame.

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 24.1.2013, ha rigettato l’appello sulla base, per quanto qui ancora rileva, delle seguenti considerazioni:

1) premesso che la parte che, in un contratto di deposito, affida ad un’altra la custodia di un bene non deve essere necessariamente la proprietaria del medesimo, risultava dagli atti che l’autovettura Ford Sierra era stata oggetto di una locazione finanziaria in favore della (OMISSIS) in data 23.6.1992 e, quindi, anteriormente alla richiesta di deposito del (OMISSIS);

2) la proprietaria, dopo aver inutilmente richiesto, a seguito di un provvedimento monitorio, la riconsegna del mezzo, aveva in data (OMISSIS) sporto denuncia per appropriazione indebita nei confronti della utilizzatrice, in tal guisa dimostrando di non trovarsi nel suo possesso;

3) essendo l’utilizzatrice stata dichiarata il 22.2.1995 fallita, la DE.CA. avrebbe dovuto mettere a disposizione del fallimento la vettura ed insinuare in quella sede il proprio preteso credito;

4) dai documenti offerti dalla convenuta era evincibile che non era stata la proprietaria del veicolo a chiedere il Soccorso, ma l’utilizzatrice;

5) l’appellante era nelle condizioni di conoscere la vicenda che aveva subìto la vettura in custodia.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso DE.CA. s.r.l., sulla base di due ordini di motivi.

La Citifin s.p.a. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1766 e 1369 c.c. e artt. 116 e 232 c.p.c., l’assoluta carenza e contraddittorietà della motivazione, l’erronea valutazione delle risultanze processuali e l’omessa statuizione su un punto decisivo della controversia (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per non aver la corte d’appello considerato che, in caso di contratto di leasing, il concedente è l’unico titolare del diritto di proprietà sul bene acquistato, che il contratto di deposito può perfezionarsi anche attraverso una semplice traditio (non necessitando di un previo scambio espresso del consenso), che, alla stregua di quanto riferito dal teste P., al momento del suo intervento il soggetto che consegnò le chiavi della vettura si era dichiarato proprietario e che, dopo il ritrovamento e la consegna in deposito, il mezzo era ritornato nella piena disponibilità della resistente.

1.1. Il motivo è, con riferimento alle censure mosse alla motivazione, inammissibile per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, essendo stata la sentenza impugnata depositata il 24.1.2013, la ricorrente avrebbe dovuto far riferimento al novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti contro sentenze pubblicate a partire dall’11.9.2012 (D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012).

In quest’ottica, la DE.CA. s.r.l. non si sarebbe potuta limitare a denunciare la carenza o contraddittorietà della motivazione, bensì avrebbe dovuto dolersi dell’omesso esame circa un fatto decisivo che fosse stato oggetto di discussione tra le parti.

Invero, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo, come detto, solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015).

Inoltre, l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformato, va inteso non in senso illimitato ovvero come conseguente applicazione dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 disp. prel. c.c. e tenendo, quindi, conto della prospettivà della novella mirata ad evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione e non strettamente necessitati dai precetti – costituzionali.

Ne consegue che: a) ronnesso esame” non può intendersi che “omessa motivazione”, perchè l’accertamento se l’esame del fatto è avvenuto o è stato omesso non può che risultare dalla motivazione; b) i fatti decisivi e oggetto di discussione, la cui omessa valutazione è deducibile come vizio della sentenza impugnata, sono non solo quelli principali ma anche quelli secondari; c) è deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi, si risolvanò (ma non è il caso di specie) in una sostanziale mancanza di motivazione (Sez. 1, Sentenza n. 7983 del 04/04/2014).

Da ultimo, va ricordato che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).

In definitiva, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

In secondo luogo, in ipotesi di cosiddetta, “doppia conforme” in fatto a cognizione sommaria, ex art. 348 ter c.p.c., comma 4, è escluso il controllo sulla ricostruzione di fatto operata dai giudici di merito, sicchè il sindacato di legittimità del provvedimento di primo grado è possibile soltanto ove la motivazione al riguardo sia affetta da vizi giuridici o manchi del tutto, oppure sia articolata su espressioni o argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, perplessi o obiettivamente incomprensibili (Sez. 6 3, Sentenza n. 26097 del 11/12/2014).

Il motivo, in conclusione, è, quindi, inammissibile in relazione alla denunciata carenza motivazionale.

1.2. Quanto alle doglianze concernenti le asserite violazioni di legge va premesso, innanzitutto, quanto segue.

Risultano del tutto inconferenti i richiami operati all’art. 232 c.p.c. e art. 2297 c.c..

Il motivo pecca di autosufficienza nella parte in cui assume che, secondo quanto riferito dal teste P., al momento del suo intervento il soggetto che consegnò le chiavi della vettura si sarebbe dichiarato proprietario e che, dopo il ritrovamento e la consegna in deposito, il mezzo sarebbe ritornato nella piena disponibilità della resistente.

Invero, la ricorrente omette di trascrivere sia la deposizione testimoniale sia il tenore della raccomandata, fermo restando che con quest’ultima essa avrebbe solo invitato la società di leasing a ritirare la vettura dal parcheggio presso il quale era custodita.

Con riferimento agli altri rilievi, la DE.CA. s.r.l. formula considerazioni (secondo cui, in caso di contratto di leasing, il concedente è l’unico titolare del diritto di proprietà sul bene acquistato ed il contratto di deposito può perfezionarsi anche attraverso una semplice traditio) non contrastanti con quanto affermato nella sentenza impugnata.

D’altra parte, non viene contestata l’asserzione contenuta in quest’ultima (cfr. pag. 4) a tenore della quale dai documenti offerti dalla convenuta era evincibile che non era stata la proprietaria del veicolo a chiedere il soccorso della vettura, bensì l’utilizzatrice.

Il motivo, in punto, è infondato e, quindi, non può essere accolto.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge, l’erroneità palese e la falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c., nonchè l’illogica motivazione di tutte le risultanze processuali (con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per non aver la corte locale considerato che la mancata risposta da parte della resistente (e da immaginare del suo legale rappresentante) all’interrogatorio formale deferitole costituisce un comportamento processuale qualificato che, nel quadro degli altri elementi probatori acquisiti, può fornire elementi di valutazione idonei ad integrare il convincimento del giudice sulle circostanze articolate sui singoli capi.

2.1. Il motivo è palesemente inammissibile, atteso che, al di là dei rilievi già formulati nel par. 1.2. in ordine al vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, da intendersi qui richiamati, la ricorrente omette di trascrivere, oltre al verbale di udienza nella quale si sarebbe dovuto raccogliere l’interrogatorio, i capitoli di prova articolati, nonchè di indicare gli altri elementi di prova che, ai sensi dell’art. 232 c.p.c., avrebbero dovuto indurre i giudici di merito a ritenere, alla luce della mancata risposta all’interpello, come ammessi i fatti nello stesso dedotti.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

3. In definitiva, il ricorso va rigettato.

4.- Nulla va statuito quanto alle spese del giudizio in considerazione della mancata resistenza della Citifin Citicorp.

5.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello tesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 31 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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