Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5876 del 04/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 04/03/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 04/03/2021), n.5876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11221/2019 R.G. proposto da:

Z.Y., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Giuseppino Bosso e

Amedeo Pomponio, con domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo in Roma, via Cicerone, n. 44;

– ricorrente –

contro

C.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianluca

Monteleone;

– controricorrente –

e nei confronti di:

La Dolce Vita s.a.s. di T.F. & C.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, n.

26702/2018, pubblicata il 23 ottobre 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 gennaio

2021 dal Consigliere Emilio Iannello.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto notificato il 5 settembre 2014 C.S., onde ottenere soddisfazione coattiva del credito vantato nei confronti della s.a.s. La Dolce Vita di T.F., sottopose a pignoramento il credito da questa vantato nei confronti di Yujun Z. per l’importo di Euro 13.014,46, a titolo di corrispettivo dell’acquisito di un’azienda.

All’esito della dichiarazione resa in udienza dalla predetta, terza pignorata, il Tribunale di Torino, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, con ordinanza del 3-11 novembre 2014, assegnò le somme al C., creditore pignorante, fino alla concorrenza di complessivi C 8.673,31 per capitale e spese sino al precetto, oltre interessi come previsti dal titolo esecutivo successivamente ad esso.

La suddetta ordinanza venne appellata dalla Z. sul rilievo che, avendo essa dichiarato, all’udienza per la sua comparizione, di avere rilasciato per il pagamento del credito pignorato cinquantasette pagherò cambiari a favore della s.a.s., che le aveva immediatamente girate ad S.A. (ex socio accomandatario della s.a.s. Ilevan di S.A. & C., la quale aveva nel novembre del 2011 ceduto l’azienda alla s.a.s. La Dolce Vita), il Giudice dell’Esecuzione avrebbe dovuto rilevare: a) per un verso che a seguito dell’emissione dei pagherò, avvenuta il 29 luglio 2014, la ricorrente non era più nella disponibilità delle stesse; b) e, per altro verso che la debitrice pignorata non era più titolare del credito, essendo divenuto tale il prenditore degli effetti, cioè lo S..

Sostenne inoltre che, poichè il Giudice dell’Esecuzione nella descritta situazione non avrebbe potuto emettere l’ordinanza di assegnazione ed avendola emessa aveva disapplicato gli artt. 102, 100, 15 e 18 L. cambiaria, l’ordinanza di assegnazione aveva acquisito il valore sostanziale di sentenza e come tale era impugnabile con l’appello, anzichè con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 c.p.c..

2. La Corte d’appello dichiarò inammissibile l’appello, ritenendo che l’ordinanza di assegnazione, per il suo contenuto, non esulasse dal contenuto ad essa proprio di atto conclusivo del procedimento di esecuzione forzata per espropriazione di crediti, avente natura di atto esecutivo, e che pertanto andasse impugnata non con l’appello, ma con il rimedio della opposizione agli atti esecutivi.

3. La tesi censoria venne, dalla Z., riproposta a fondamento del ricorso per cassazione che, con la sentenza in epigrafe, la S.C. ha rigettato, affermando, a rettifica, ex art. 384 c.p.c., della motivazione adottata dalla Corte di merito, il seguente principio di diritto:

“nella vigenza del regime dell’art. 549 c.p.c., introdotto dalla riforma di cui alla L. n. 228 del 2012, il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi è l’unico esperibile contro l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, all’esito della risoluzione delle questioni indicate dallo stesso art. 549 e, dunque, anche qualora con il relativo procedimento si sia sommariamente accertata l’esistenza della situazione debitoria del terzo pignorato in presenza di una sua dichiarazione negativa, abbia assegnato le somme pignorate.

“Non è più concepibile ipotizzare invece il rimedio dell’appello, previa qualificazione come sentenza sostanziale dell’ordinanza, nei casi che nel regime antecedente si individuavano come risolutivi da parte del giudice dell’esecuzione di questioni da decidersi in base ad un procedimento di cognizione, atteso che il giudice dell’esecuzione è abilitato dal nuovo art. 549 a risolvere con un accertamento sommario ogni questione insorta in relazione alla dichiarazione del terzo”.

4. Per la revocazione della sentenza della Suprema Corte propone ricorso Yujun Z., ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e dell’art. 395 c.p.c., n. 4, con due motivi, cui resiste C.S., depositando controricorso.

L’altra intimata non svolge difese in questa sede.

5. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo deduce la pendenza, di q.l.c. dell’art. 549 c.p.c. nel testo, applicato nella fattispecie, introdotto dalla riforma di cui alla L. n. 228 del 2012.

La ricorrente ne afferma la rilevanza anche nel presente giudizio, assumendo che la proposta impugnazione per revocazione impedisce il passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’appello.

2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta che la Corte è incorsa in errore di fatto revocatorio per non aver considerato che era stata fornita prova del fatto che essa era in possesso delle cambiali scadute e, dunque, del suo puntuale pagamento al soggetto che ne era il portatore, con la conseguenza che, con la conferma della sentenza di merito, essa era costretta a subire una evidente iniquità, poichè costretta a pagare due volte lo stesso debito.

3. Il secondo motivo è inammissibile.

La sentenza impugnata per revocazione, confermando, sia pure con diversa motivazione, la declaratoria di inammissibiltà dell’appello, ha deciso sulla base di rilievi di carattere processuale, preliminari e ostativi all’esame delle ragioni dedotte al fine di contestare la correttezza, nel merito, dell’ordinanza di assegnazione.

In disparte ogni altra considerazione è evidente, dunque, l’inconferenza della doglianza.

4. Ne discende anche l’inammissibilità della prospettata q.l.c..

L’inammissibilità della istanza di revocazione per l’accertata inconfigurabilità del denunciato errore di fatto impone, infatti, di ritenere irrilevante, e quindi manifestamente inammissibile, la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alla disposizione di legge applicata nella sentenza impugnata (Cass. Sez. U. n. 15426 del 05/12/2001).

E’ appena il caso dunque di rilevare che la q.l.c. cui fa riferimento la ricorrente – sollevata dal Tribunale di Viterbo con ordinanze del 10 gennaio e del 7 marzo 2018, iscritte ai nn. 142 e 143 registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2018 – è stata dichiarata non fondata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 172 del 10 luglio 2019.

5. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2021

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